“We Love Sarajevo”: i piccoli imprenditori che si rifiutano di lasciare la Bosnia
Un tatuatore, il creatore di un’azienda tecnologica, un ristoratore vegano, un gallerista e un ottico: tutti loro hanno contrastato la tendenza all’emigrazione aprendo attività nella capitale bosniaca
(Originariamente pubblicato da BIRN il 26 agosto 2020)
La Bosnia Erzegovina soffre di una crisi demografica. Nel 1991, appena prima della guerra, la popolazione era composta da circa quattro milioni di persone, ma ora la stima è di solo 3,3 milioni: numeri che probabilmente scenderanno ulteriormente.
L’emigrazione è un fattore importante: molti giovani partono per cercare un futuro migliore, via dal sistema disfunzionale del paese e dalla mancanza di opportunità.
Ma alcuni vogliono restare. A Sarajevo, il fotografo Sacha Jennis ha ritratto una serie di imprenditori che continuano a cercare il successo nonostante le scarse prospettive economiche.
"La Bosnia offre un’opportunità di cambiamento"
Nel 2017 Erna Šošević, avvocato, ha avviato Bizbook, una rete peer-to-peer di aziende bosniache, con l’obiettivo di aiutare la comunità imprenditoriale a svilupparsi.
"Desidero sviluppare un’azienda tecnologica in Bosnia Erzegovina proprio perché non voglio andarmene. Ho visto un’opportunità stimolante per mettere in rete i vari attori, aiutandoli a conoscersi attraverso i prodotti e i servizi che offrono e trovare partner commerciali affidabili", spiega.
Ora la rete Bizbook ha 700 membri ed è gestita da un team di cinque donne con sede al Networks, un centro commerciale e spazio di co-working nell’area centrale di Skenderija.
"Per me andare via non è mai stata un’opzione, perché la Bosnia Erzegovina, nonostante la brutta situazione geopolitica ed economica, offre opportunità di cambiamenti significativi che provengono dai giovani, che devono essere più coinvolti nei vari processi di questo paese", racconta Šošević.
"Non riusciamo a immaginare di vivere altrove"
"Abbiamo deciso che possiamo farcela ovunque se restiamo uniti, anche se è qui a Sarajevo. Tutto ciò che serve è un gruppo di buoni amici e voglia di lavorare, e abbiamo visto i risultati subito dopo l’apertura dello studio", ha detto il grafico e tatuatore Erva Nevesinjac.
Nevesinjac ha aperto il suo studio di tatuaggi in un piccolo appartamento vicino a via Maresciallo Tito, nel centro di Sarajevo, ed è determinato a rimanere lì.
"Amiamo Sarajevo e amiamo la Bosnia, e non possiamo immaginare di vivere e tatuare altrove. Tatuare le persone della Bosnia è un’esperienza veramente unica, che non si può descrivere", spiega.
"Ho portato a Sarajevo idee nuove e interessanti"
Miran Lazić ha iniziato a stampare le sue magliette nel 2000, quando a Sarajevo era difficile trovare abbigliamento da skate e abbigliamento da basket dagli Stati Uniti. All’inizio produceva per gli amici e per sé, ma nel 2010 ha deciso di fondare Revolt Clothing, azienda di street fashion. Da luglio 2019 gestisce anche il suo negozio, Royal With Cheese.
"Sono cresciuto da rifugiato a Mosca, dove ho scoperto la cultura hip hop, i graffiti e tutto il resto", racconta Lazić. Dopo essere tornato a vivere nel suo paese d’origine, ha continuato a viaggiare molto e "portare tutte le idee nuove e interessanti a Sarajevo".
"Volevo far conoscere ai giovani e al pubblico qui la mia esperienza e le cose che ho imparato", spiega.
"Voglio che i bosniaci mangino in modo più sano"
Essere vegani in un paese dove la cucina è dominata dalla carne può essere difficile, e aprire un ristorante vegano in una città piena di ćevapi (carne macinata alla griglia) è ancora più ambizioso. Ma lo chef Saša Obućina continua a cucinare deliziosi piatti nel suo ristorante slow food, Karuzo, nel centro di Sarajevo, con ingredienti provenienti dal mercato locale e una selezione di vini bosniaci per accompagnare il cibo.
"La mia ambizione era quella di far mangiare i bosniaci in modo più sano e di renderli più consapevoli dei benefici del mangiare verdure", racconta Obućina. "Ho deciso di aprire il mio ristorante vegano a Sarajevo perché è la mia vita".
"Renderemo più forte la nostra scena d’arte contemporanea"
La Galleria Brodac è un piccolo spazio di arte contemporanea vicino al quartiere dei bazar della città vecchia di Baščaršija, in un edificio che era una volta una prigione femminile (da qui le barre nel suo logo). È gestita da Mak Hubjer, un gallerista indipendente che cambia spesso le opere in esposizione.
Hubjer vuole creare "opportunità per artisti e pubblico di interagire in uno spazio indipendente, al riparo da qualsiasi impatto politico o sociale indesiderato", e aiutare "a rendere la nostra scena artistica contemporanea più forte e più grande, come merita".
"Lavora, goditi la vita e sorridi"
Nebojša Savić ha deciso di aprire il suo negozio di ottica a Ciglane, un sobborgo residenziale vicino al sito delle Olimpiadi invernali di Sarajevo del 1984, dopo il ritorno della sua famiglia dalla Francia, dove era fuggita durante l’assedio della capitale bosniaca degli anni ’90. La Francia avrebbe potuto essere un luogo più redditizio per la sua attività, ma Savić, racconta, voleva "vedere se fosse possibile vivere nel mio luogo di nascita".
"Le finanze e gli affari, soprattutto ora, non sono in gran forma", dice. "Ma anche in questi tempi difficili bisogna lavorare, godersi la vita e sorridere!".
Il fotografo belga Sacha Jennis è stato più volte in Bosnia Erzegovina per lavorare a progetti di reportage fotografici sul paese e sulla sua gente. Guarda le sue foto sul suo sito .
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