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Area: Bulgaria

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Strandzha, terra di lotta e di mistero – II

Un parco naturale, al confine tra Bulgaria e Turchia. E’ la regione di Strandzha lacerata da lotte antiche che hanno lasciato cicatrici sotterranee: scompaiono nel silenzio delle sue valli boscose per poi riaffiorare all’improvviso come fiumi carsici. Un reportage, la seconda di due puntate

01/09/2006, Francesco Martino -

Strandzha-terra-di-lotta-e-di-mistero-II

La prima puntata del reportage

"Che cosa è cambiato veramente negli anni della transizione? La differenza è che prima eravamo molto più ricchi dei nostri vicini turchi, di quelli che stanno dall’altra parte del confine, adesso, invece, è proprio il contrario. Quelli che passano la frontiera qui a Malko Tarnovo hanno tutti belle macchine, moderne, noi invece solo vecchie Lada e motociclette Simson, quelle della Germania Orientale." E’ con queste parole, pronunciate con una sfumatura amara della voce, che l’ingegner Zlatarov, direttore del parco naturale della Strandzha, ci da la chiave di lettura di un’altra delle battaglie silenziose che caratterizzano questa terra marginale e orgogliosa, ma anche la Bulgaria nel suo complesso. E’ la lotta per il potere economico tra le grandi città, in cui in questi anni si sono concentrati capitali, risorse umane ed energie, e le medie e piccole realtà come quelle di Malko Tarnovo e della regione della Strandzha, che alla marginalità geografica hanno visto aggiungersi, nell’ultimo decennio e mezzo, anche una marginalizzazione economica e umana.

Un manifesto silenzioso a quello che succede in queste terre è il malinconico sfasciarsi delle case in legno, una volta curate e quasi eleganti, del paesino di Kondolovo, a circa metà della strada, solitaria e tutta buche, che unisce Tzarevo, sul mare, a Malko Tranovo e al punto di confine per Istambul e la Turchia. Fino all’89 nei dintorni di Malko Tarnovo erano attive ben quattro miniere di rame, attività presente nella zona almeno dal periodo romano. Adesso nessuna delle quattro lavora. "Quando lavoravo per il ministero dell’Agricoltura, prima dell’89, qui c’era fin troppo lavoro. Dovevamo andare in giro nei Balcani e sui Rodopi per trovare le braccia che ci mancavano per il lavoro nei boschi. Adesso anche questo non esiste più, di fatto qui non c’è nessuna attività produttiva, e l’unico lavoro possibile è quello di agente nella polizia di frontiera". Anche per questo, insiste Zlatarov, il parco naturale è un’opportunità che non va sprecata, e che potrebbe portare risorse indispensabili per la gente della Strandzha. Il problema è che né l’establishment, né buona parte della popolazione locale sembrano essersene accorti.

Nella regione si assiste ad uno spopolamento consistente, che riguarda soprattutto i più giovani. Malko Tarnovo, che fino all’inizio degli anni ’90 contava circa cinquemila abitanti, oggi vede la sua popolazione ridotta a tremilacinquecento persone. "I giovani scappano da qui, non c’è niente da fare per loro in questa città", mi dice Anastasia, originaria di Yambol, ma che da più di cinquant’anni vive a Malko Tarnovo, e che adesso, dopo la pensione, vende candele e cartoline all’interno della bella chiesa dedicata all’Assunzione della Vergine, ornata di numerose icone della prima metà dell’800. Ma la stessa situazione vale, in forma anche più accentuata, per i villaggi sparsi nelle valli della Strandzha, fino al mar Nero.

Radka ha quasi ottant’anni, e vende gelati in uno spiazzo semivuoto di Rezovo, l’ultimo villaggio bulgaro sulla costa prima della frontiera turca, di fronte alla grande caserma oggi in disuso. Al suo fianco, una torretta di avvistamento di legno e metallo sembra ancora voler spiare un nemico che è più tale. "Qui ormai siamo rimasti una cinquantina di persone, tutti pensionati o quasi. Una volta c’erano i militari, oggi non c’è più niente, e ci dobbiamo arrangiare. Anche i miei figli sono andati in città, e non vedo come un giorno possano tornare qui".

Incontro Plamen mentre lavora, insieme ad una squadra di collegi della BTK, la compagnia telefonica bulgara, sul ponte che unisce le due sponde della Veleka, non lontano da Gramatikovo. Le forti piogge cadute a giugno hanno gonfiato i meandri profondi del fiume, che ha strappato pioppi e carpini scendendo impetuoso a valle, danneggiando seriamente anche il ponte e i cavi che ci passano sopra. "Non riesco a crederci, adesso anche gli italiani hanno scoperto che da queste parti c’è il mare!", mi dice con un sorriso ampio, contadino. "Qui però non c’è mentalità turistica, non sanno servire i clienti, ci vorranno anni prima che le cose inizino a cambiare!".

Le zone marginali ed isolate, si sa, hanno sempre creato personalità testarde e punti di vista controcorrente, e se da una parte si vorrebbe non essere più marginali, dall’altra c’è chi l’isolamento lo vive più come un dono che come una condanna. "Il vero problema non è che il paese sta morendo, il problema è che il paese sta risorgendo, e presto inizieranno anche qui a costruire e a venire in tanti a fare villeggiatura, come già succede a Sinemoretz", si lamenta, in modo inaspettato, Georgi, proprietario di una piccola casa-albergo a Rezovo, dove ama intrattenere i suoi ospiti con storie di boschi e di mare. "Allora dovrò dire per sempre addio a questa tranquillità, a questo silenzio. Sarà un altro posto allora, un posto che non sentirò più mio".

A Malko Tarnovo si nascondono le ultime tracce di un’altra tensione, sotterranea e sconosciuta, oggi quasi spenta in verità, ma che in passato a portato a scontri ostinati e violenti nelle vallate della Strandzha. E’ quello che ha contrapposto la chiesa ortodossa e quella cattolica uniate, che intorno al 1860 era riuscita a ritagliarsi uno spazio importante, per poi regredire fino a diventare un fattore di importanza marginale. Qui, a Malko Tarnovo, il cattolicesimo uniate trovò un forte attore di attrazione nel liceo fondato ad Edirne dai padri resurrezionisti. Nel 1862 circa seicento famiglie accolsero l’Unione con la chiesa di Roma, attratte tra l’altro dalla possibilità di far studiare i propri figli in lingua bulgara, privilegio accordato ai cattolici. Iniziarono però scontri anche violenti, che portarono addirittura all’anatema pubblico per coloro che avevano deciso di entrare nella chiesa uniate.

"Questa è una missione difficile. Lo è sempre stata, visto l’isolamento, i tanti anni di repressione sotto il regime e la necessità di operare con estrema prudenza, per non essere accusati di fare proselitismo. Questo è pur sempre un paese ortodosso", mi dice padre Roman, che, nato in un paesino polacco, perso tra Varsavia e Danzica, ha speso gli ultimi quattordici anni come sacerdote della comunità uniate di Malko Tarnovo. Lo incontro mentre lava i vetri della chiesa della Santissima Trinità, costruita nel 1935 con l’interessamento attivo dell’allora nunzio in Bulgaria Angelo Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, e che oggi conserva, in una piccola bacheca all’ingresso, la papalina bianca di un’altro pontefice che ha segnato la storia recente, Giovanni Paolo II, donata durante la sua visita in Bulgaria nel 2002. Oggi ci sono appena duecento cattolici nella Strandzha bulgara, tutti concentrati a Malko Tarnovo. Prima ce n’erano anche negli altri paesi della zona, ma molti sono emigrati all’estero o verso le grandi città, oppure sono venuti a Malko Tarnovo. Chiedo a padre Roman se ci siano ancora fedeli a prendere parte alla celebrazione della domenica. "Sempre di meno", mi risponde il sacerdote con occhi miopi e sorridenti," ma finchè ci sarà un sacerdote ci saranno sempre fedeli a partecipare alla messa".

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