Tipologia: Intervista

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Area: Serbia

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Serbia, nessun’idea di futuro

E’ una delle voci in Serbia più attente sul tema Kosovo e allo stesso tempo più controcorrente. Abbiamo incontrato a Belgrado Dušan Janjić, sociologo e analista politico. La sua opinione su nord del Kosovo, sul Presidente Tadić e sul processo di integrazione europea

24/10/2011, Cecilia Ferrara -

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Come interpreta le ultime vicende che hanno visto coinvolta la Kfor nel nord del Kosovo. Si può dire che la presenza militare internazionale abbia preso le parti di Pristina?

La Kfor agisce sotto il mandato della risoluzione ONU 1244 che deve garantire la libertà di movimento e la rimozione delle barricate va in questa direzione. Il premier albanese Thaci dopo il tentativo di prendere i passi doganali con la forza, ha smesso di giocare al rialzo con le richieste e ha lasciato in “campo” la comunità internazionale.

Oggi la responsabilità maggiore secondo me è del presidente della Serbia Boris Tadić che non è riuscito a convincere le autorità locali a prendere accordi con la Kfor: non stiamo negoziando lo status del Kosovo, si sta parlando di sicurezza. Siamo in un momento molto pericoloso, il rischio di un nuovo confronto diretto con la Nato è alto. Tadić ha pochi giorni ancora per uscire dall’impasse, impedire un’escalation violenta e diventare parte attiva nel negoziato. Altrimenti la comunità internazionale si rivolgerà a Thaci per un piano di integrazione del Kosovo del nord con Pristina.

Intanto il dialogo tra Pristina e Belgrado è di nuovo fermo…

Il dialogo tecnico su alcuni argomenti che riguardavano le popolazioni che vivono in Kosovo è stato condotto male fin dall’inizio e parte della responsabilità è sulle spalle di Robert Cooper e di Catherine Ashton cioè della Commissione Europea. Sfortunatamente ancora una volta l’Ue ha dimostrato che non ha strumenti per dirimere conflitti così profondamente politici come il conflitto per lo status del Kosovo e del nord del Kosovo.

Pristina e i governi che sostengono il raggiungimento della sua piena indipendenza hanno usato la situazione in Kosovo per sgelare il "frozen conflict" ovvero sbloccare la situazione e creare una nuova realtà, che tradotto significa – come ha detto il cancelliere tedesco – smantellare tutte le strutture parallele nel nord del Kosovo.

Ci sono due livelli istituzionali nel nord del Kosovo: uno è quello dei corpi amministrativi controllati da Belgrado, il secondo livello – quello che preoccupa più l’Ue probabilmente – è quello della sicurezza. Esiste una sicurezza parallela formata da ex ufficiali dei servizi di sicurezza serbi, ex poliziotti ancora ben connessi all’interno del governo serbo, ma anche con la connessione con una parte del crimine organizzato locale.

Dal punto di vista serbo il collasso del dialogo può essere utilizzato per implementare l’idea della partizione.

Quali sono i motivi del fallimento del dialogo?

All’inizio c’era volontà di cooperare tra le parti. Si sono discusse 22 questioni e sono stati trovati accordi su sette punti tra cui le tasse doganali e il timbro da utilizzare ai valichi, poi su registri civili, catasto, diplomi, libertà di movimento.

Il problema è però che l’Europa, per far avviare il dialogo, aveva fatto promesse alle due parti: a Pristina la liberalizzazione dei visti e a Belgrado lo status di Candidato per l’Ue.

A metà giugno l’Ue frena fortemente sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari alienandosi la loro collaborazione. A questo punto Thaci ha cercato una soluzione ed ha ritenuto che il controllo amministrativo del Kosovo del nord avrebbe potuto rappresentare una via d’uscita. Teniamo anche conto che l’anno prossimo ci sono le elezioni a Pristina.

Dall’altro lato Belgrado ha messo la questione politica sul piatto, lo status, giusto per mostrare che Tadić teneva duro sul suo slogan "Sia Europa sia Kosovo". Quando Belgrado ha capito che ci sarebbe potuto essere un vero dramma sullo status di candidato per la Serbia e che non venivano fissate le date dei negoziati, ha avviato una campagna sciovinista molto forte. Tadić voleva evitare qualsiasi tipo di risultato vero, non voleva alcuna responsabilità sull’implementazione degli accordi.

E ora?

Adesso la vera questione è come verranno attuati i punti su cui già c’erano accordi: il servizio doganale, la libertà di movimento, documenti e registri civili. Per esempio il servizio doganale non è in questione, il timbro sarà "Kosovo Custom Service", ma come sarà svolta la procedura sul posto? Ho informazioni secondo le quali Belgrado non protesterà se Eulex farà un controllo sulla frontiera alla presenza della polizia kosovara.

Tadić sta preparando il suo partito per le elezioni. Non penso che dirà assolutamente nulla su come vengono gestite le dogane. Belgrado con Eulex e Pristina raccoglieranno i soldi alle frontiere, ma basta non menzionarlo, si dirà internamente che non ne sapevamo nulla che non è colpa nostra ma poi andremo a Bruxelles a dire quanto siamo cooperativi. Questo è purtroppo il nostro modo di agire fin dai tempi di Milosević.

Ma pensa che questo paghi in termini elettorali visto che ora è Toma Nikolić (leader dell’SNS, partito progressista serbo, nazionalisti moderati) in vantaggio secondo tutti i sondaggi?

Il vantaggio non riguarda la questione Kosovo, neanche Nikolić ha idea di come risolvere la questione. Non c’è mai stato un dibattito vero nessuno, ha mai cercato di buttare giù una strategia.

Per il momento Nikolić è il "tipo duro" che ha più influenza nel nord del Kosovo ed è finanziato là dal controverso businessman Zvonko Veselinović (ritenuto uno dei boss del contrabbando di benzina a Mitrovica Nord, nei suoi confronti c’è un mandato di cattura emesso da Eulex per crimine organizzato e  contrabbando di benzina anche se per Belgrado sono accuse di tipo politico ndr.); del resto i democratici di Tadić stanno facendo la stessa cosa nella municipalità di Leposavić. Entrambi i partiti vogliono il potere e dichiarano di essere "i più europei", ma non indicano nessuna prospettiva di cambiamento né in Kosovo né in Serbia.

Per quanto riguarda la competizione politica a Belgrado io non scommetterei su nessuna delle due carte, siamo un Paese che sembra potersi avvicinare al Nord Africa, a società instabili, abbiamo un problema serio di possibili turbolenze nel prossimo mese.. e a febbraio-marzo ci potrebbe essere un paesaggio politico totalmente differente. Solo allora si potrà valutare il rating dell’SNS.

I media serbi dopo la pubblicazione del "Progressive report" dell’Ue sulla Serbia non sembravano granché felici. Quella con l’Europa continua ad essere una relazione complicata. Qual è il motivo?

Sono uno dei fondatori e dei promotori del Movimento Europeo in Serbia quindi non mi si può dire di non essere pro-europeo; ma devo dire che anch’io non ero contento del "Progressive report". Non riconoscevo il mio Paese nel report.

Ad esempio tutto va bene nel report per la Serbia, ma nella realtà non c’è niente che vada: le persone sono davvero preoccupate dalla mancanza di soldi e di lavoro. Per loro la presenza dell’Ue in Serbia viene sempre più identificata con le banche che li stanno derubando con interessi altissimi.

Dall’altro lato è sbagliato il modo in cui la leadership serba presenta l’europeizzazione del nostro Paese: le condizionalità di Bruxelles come elementi negativi, mentre il lato positivo sono solo un po’ di soldi che arrivano. Dal 2000 sono arrivati 70 miliardi di euro e non si vedono. Non si vedono nelle strade, nei ponti, nelle infrastrutture. Tutto ciò che si vede sono i nostri politici che vogliono essere come Putin o come Berlusconi e pensano alle elezioni. Tadić userà sicuramente l’ottenimento dello status di Candidato della Serbia per la sua campagna elettorale, svalutandone così il significato.

Invece sarà un passo molto importante sia per noi che per l’Europa che non ha rinunciato all’allargamento. Anche se ci vorranno 15 anni per essere davvero pronti ad entrare in Europa. Questo i cittadini lo sanno e sono preoccupati, per questo non celebrano, stanno calcolando come fare a sopravvivere nel frattempo.

Ci potrebbe essere la tentazione di puntare sulle meno burocratiche Russia e Cina?

La Serbia non ha un piano strategico sul proprio sviluppo. Appare come una persona senza soldi che prende qualsiasi cosa che venga messa sul tavolo, o sotto… Se si parla di Cina, gli investimenti in Croazia sono molto maggiori rispetto a quelli in Serbia, noi abbiamo un ponte, e la promessa di tre milioni di investimento. Però il nostro debito con la Cina è di un miliardo di euro, quindi non si tratta di veri investimenti, sono un modo per ripagare i debiti senza passare dalle banche ma attraverso investimenti congiunti.

La Russia è un’altra storia. Quello che preme di più a Mosca adesso è il mercato energetico e re-investire qualche soldo delle aziende petrolifere russe nei Balcani. Ma da quello che ho capito gli investimenti energetici della Russia non sono in contrasto con la membership europea. Quello cui la Russia si oppone è l’entrata della Serbia nella Nato, visto che l’alleanza atlantica si occupa di sicurezza ma anche di facilitare la sicurezza energetica. Il gioco per questa opposizione passa anche dal Kosovo ovviamente.

Vero è che con le prossime elezioni potremmo avere per la prima volta nella storia serba un governo pro-russo mentre nemmeno Tito durò tanto come alleato di Mosca. La situazione è tale che se Nikolić va al potere ci andrà solo con Koštunica ed entrambi i partiti, SNS e DSS, hanno firmato un accordo di partenariato con il partito di Putin “Russia Unita”.

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