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Serbia, maglia nera per l’inquinamento

In Serbia è allarme inquinamento: la sola centrale termoelettrica Kostolac B emette una quantità di anidride solforosa superiore a quella di tutte le centrali termiche della Germania. E il governo non sembra intenzionato a spendere in tutela ambientale i fondi ricevuti in prestito da varie agenzie internazionali

23/01/2020, Antonela Riha - Belgrado

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Secondo i risultati del monitoraggio della qualità dell’aria, alla metà di gennaio la Serbia è stata uno dei paesi più inquinati al mondo. Nulla di nuovo, dicono gli esperti, visto che l’inquinamento dura ormai da molti anni. Tuttavia, nella prima metà di gennaio in Serbia le condizioni atmosferiche erano tali da rendere difficoltosa la respirazione, e la nebbia, che non si alzava per giorni, ha ulteriormente contribuito alla creazione di una sensazione apocalittica, soprattutto nelle aree industriali del paese.

Nella sua prima reazione al panico che di giorno in giorno stava crescendo tra la popolazione a causa dell’inquinamento, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha affermato che l’inquinamento è conseguenza dell’aumento dello standard di vita dei cittadini serbi.

Secondo i dati dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, per diversi giorni la concentrazione di polveri fini PM10 e PM2,5 era superiore ai 300 µg/m3, un valore di ben sei volte superiore ai limiti di legge. Si è cercato di ricondurre le cause dell’inquinamento a diversi fattori: le emissioni di sostanze tossiche dalle centrali termoelettriche, le condizioni meteorologiche avverse, l’uso dei combustibili solidi per riscaldamento domestico, l’aumento del traffico, l’uso di veicoli non conformi agli standard ecologici, ma anche l’inerzia delle autorità che non si occupano affatto della tutela dell’ambiente.

A differenza della leadership di Belgrado, che continua a ripetere che la situazione attuale dell’inquinamento atmosferico non è peggiore rispetto agli anni precedenti, il segretariato della Comunità dell’energia – ente internazionale di cui fanno parte gli stati membri dell’UE, i paesi del sud-est Europa e alcuni paesi della regione del Mar Nero – ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in Serbia in una lettera inviata al governo serbo lo scorso 15 gennaio.

Secondo un’analisi effettuata dalla Comunità dell’energia, ben 9 dei 16 grandi impianti di combustione in Serbia emettono nell’aria sostanze tossiche in quantità superiori a quelle consentite. Il segretariato della Comunità dell’energia, nella sua lettera, ha espresso rammarico per la mancata implementazione, da parte del governo serbo, della Direttiva europea sui grandi impianti di combustione, entrata in vigore l’1 gennaio 2018, ricordando inoltre che il governo serbo, nonostante ripetute sollecitazioni, non ha ancora adottato il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti.

In risposta agli avvertimenti della Comunità dell’energia e alla crescente pressione dell’opinione pubblica, il governo serbo ha annunciato che adotterà misure urgenti per ridurre l’inquinamento, mentre il presidente Vučić ha reso noto che la Serbia ha firmato un accordo con l’Agenzia giapponese per la cooperazione internazionale (JICA) per il finanziamento di interventi di desolforazione dei fumi prodotti dalle centrali termoelettriche in Serbia, interventi che, stando alle parole di Vučić, dovrebbero contribuire in misura “drastica” a risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico.

Centrali termoelettriche serbe, le più inquinanti d’Europa

La Serbia è afflitta da gravi problemi di inquinamento ormai da anni. Stando ai dati dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, la principale fonte di inquinamento atmosferico in Serbia è rappresentata dagli impianti di produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Analizzando l’operato dell’Agenzia elettrica della Serbia (EPS), il Consiglio fiscale della Serbia ha constatato – come si legge in un rapporto pubblicato nel novembre 2019 – che nessuna delle centrali termoelettriche gestite dall’EPS soddisfa tutte le norme nazionali ed europee in materia ambientale, motivo per cui l’EPS è diventata il più grande inquinatore della Serbia.

Nel suo rapporto, il Consiglio fiscale spiega che la quantità annua di anidride solforosa emessa dalle centrali gestite dall’EPS è superiore a quella emessa da tutte le centrali a lignite dell’UE messe insieme, nonostante la quantità di energia elettrica prodotta dalle centrali dell’EPS sia dieci volte inferiore alla quantità prodotta dalle centrali europee. La centrale termoelettrica Kostolac B emette da sola circa 130.000 tonnellate di anidride solforosa all’anno, una quantità superiore a quella emessa da tutte le centrali termiche della Germania messe insieme. Nel rapporto si sottolinea inoltre che nel 2018 nessuna delle centrali gestita dall’EPS disponeva di un impianto, completamente funzionante, per la desolforazione dei fumi.

Il direttore del Segretariato della Comunità energetica Janez Kopač ha dichiarato che la quantità di sostanze tossiche emessa dalla centrale di Kostolac è 14 volte superiore a quella consentita, mentre la quantità emessa dalla centrale Nikola Tesla di Obrenovac è 4,7 volte superiore. Kopač ha raccomandato che in queste centrali vengano installati filtri per limitare l’inquinamento, precisando però che ci vogliono anni per far funzionare gli impianti di desolforazione e per ridurre le emissioni di sostanze inquinanti. Kopač ha inoltre ricordato che tali interventi richiedono, secondo alcune stime effettuate dalla Comunità dell’energia nel 2013, un investimento complessivo di circa 640 milioni di euro.

Questioni alle quali lo stato non è grado di dare una risposta

Reagendo all’affermazione del presidente Vučić, secondo cui il governo serbo avrebbe stipulato un accordo con il Giappone per la desolforazione delle centrali termoelettriche serbe, alcuni media indipendenti hanno ricordato che già nel 2011 l’EPS aveva ottenuto dal governo giapponese un prestito di circa 226 milioni di euro, della durata di 15 anni, per la costruzione di impianti ecologici nella centrale termoelettrica Nikola Tesla A ad Obrenovac, nei pressi di Belgrado. Il complesso di Obrenovac è il più grande produttore di energia elettrica nel sud-est Europa e copre più del 50% del fabbisogno energetico nazionale.

Nel 2016 è scaduto il primo quinquennio dalla concessione del prestito da parte del governo giapponese, durante il quale la Serbia non ha dovuto pagare le rate né alcun tasso di interesse. Ma siccome fino al 2016 i lavori di costruzione previsti non erano nemmeno cominciati, l’EPS ha dovuto pagare una penale per il mancato utilizzo del denaro, la cosiddetta commitment fee. Tuttavia, la Serbia non ha chiesto prestiti solo al governo giapponese.

Come ha dimostrato un’inchiesta del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), negli ultimi dieci anni l’EPS ha pagato quasi 15,8 milioni di euro di penale per il mancato utilizzo dei 13 prestiti ottenuti da diverse banche e agenzie internazionali. Anche il Consiglio fiscale ha messo in guardia dall’utilizzo irresponsabile dei fondi ottenuti in prestito, ma fino ad oggi il governo serbo non ha fornito alcuna spiegazione sul perché gli interventi previsti per innalzare gli standard ambientali tardano a concludersi o non sono nemmeno stati avviati.

Misure rivoluzionarie

Sull’onda della preoccupazione dell’opinione pubblica, il governo serbo ha annunciato “misure rivoluzionarie”, tra cui gli incentivi per l’acquisto di automobili elettriche e la sostituzione di combustibili fossili con biomasse. Si è parlato anche dell’intenzione di velocizzare la realizzazione di impianti di gassificazione, di incentivare la sostituzione degli impianti di riscaldamento a carbone e a gasolio con quelli a pellet, di sostituire i filtri nelle centrali termoelettriche, di introdurre norme più rigorose sui controlli tecnici dei veicoli, di vietare l’importazione di veicoli di categoria Euro 3 e di intensificare gli interventi di forestazione.

Nel frattempo, ai cittadini serbi non resta che controllare i livelli di inquinamento attraverso le applicazioni installate sui loro smartphone, di indossare maschere sul viso e di sperare che si alzi il vento o che cada la neve che potrebbe “pulire l’aria” e dissipare l’odore sgradevole. In tutti questi giorni in cui nelle zone colpite dall’inquinamento l’aria era letteralmente visibile e molti cittadini mostravano, sui social network e nel corso delle trasmissioni televisive, lo sporco che per giorni si accumulava sui loro balconi, le autorità competenti non hanno ritenuto opportuno farsi sentire e fornire ai cittadini consigli utili su come comportarsi. Il ministro della Salute Zlatibor Lončar ha dichiarato che non c’è motivo di panico e che l’inquinamento non può causare gravi problemi di salute in quanto sarebbe dovuto all’aumento del numero delle auto a Belgrado.

Non ci sono ancora dati ufficiali sulle conseguenze per la salute di questo ultimo peggioramento dell’inquinamento atmosferico in Serbia. Alcuni medici intervistati dai media hanno detto che le conseguenze prima o poi si faranno sentire. Quando la nebbia si disperde e l’aria si ripulisce c’è da aspettarsi che un altro tema rimpiazzi la paura provocata dall’inquinamento. In un paese povero, come la Serbia, le questioni ambientali non suscitano reazioni intense e costanti, nemmeno quando si tratta di evidenti minacce alla salute, come quelle causate dall’inquinamento atmosferico. Ne è prova il fatto che una petizione lanciata da un’iniziativa civica per chiedere l’aria pulita finora è stata sottoscritta soltanto da 14mila cittadini.

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