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Serbia, lo shock del gas russo

Nonostante la recente visita di Putin a Belgrado, la Serbia si è vista tagliare di quasi il 30% le forniture di gas dalla Russia. L’inverno è alle porte e il premier serbo ha pregato Mosca di rateizzare il debito di 200 milioni di euro dovuti per le forniture precedenti

07/11/2014, Dragan Janjić - Belgrado

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A poche settimane dalla visita del presidente russo Vladimir Putin in Serbia, da Mosca è arrivata una doccia fredda: la riduzione delle forniture di gas alla Serbia di quasi il 30%. Nel frattempo i media riportavano le fosche previsioni dei metereologi britannici che in Europa è atteso uno degli inverni più freddi degli ultimi decenni. Quanto basta per sollevare la preoccupazione tra la popolazione, in particolare se si tiene presente che la Serbia si rifornisce solo di gas russo.

È risultato quindi che nemmeno lo spostamento (dal 20 al 16 ottobre) della cerimonia per l’anniversario della liberazione di Belgrado per farlo coincidere alla data della visita di Putin in Serbia, né la parata militare in onore del presidente russo, né l’insistenza sulla vicinanza storica e la indissolubile fratellanza che lega i due popoli hanno portato ai risultati sperati da Belgrado. La fratellanza e gli altri paroloni sulla amicizia storica sono una cosa, i rapporti commerciali e gli interessi economici un’altra.

Le forniture sono state ridotte a causa di un debito accumulato dalla Serbia di 200 milioni di euro. Il premier Aleksandar Vučić nel tentativo di rimediare alla situazione il 5 novembre scorso ha parlato al telefono con Putin. Secondo quanto reso noto dal governo serbo, Vučić sarebbe riuscito ad accordarsi su condizioni più vantaggiose per la restituzione del debito. Non sono stati rivelati dettagli , ma sulla base delle informazioni rilasciate in precedenza dal governo serbo, si può supporre che si tratti della rateizzazione del debito in due o più tranche.

Il problema dei debiti accumulati dalla Serbia erano senz’altro all’ordine del giorno durante la recente visita di Putin a Belgrado e la decisione di Mosca di ridurre le forniture dimostra che in quell’occasione non si sono raggiunti accordi sostanziali. Quando è diventato chiaro che le forniture sarebbero state ridotte Vučić si è trovato nella situazione di dover pregare il presidente russo di fargli qualche concessione. La telefonata, quindi, è stata fatta alla ricerca di una soluzione di emergenza prima dell’inverno, ma non prevede alcuna soluzione di lungo periodo.

La Russia ha ridotto le forniture di gas  a tutti i paesi della regione che hanno forniture precedenti non pagate. L’opinione pubblica in Serbia, e molto probabilmente anche la maggior parte della compagine di governo, si aspettava che la sorella Russia avrebbe comunque avuto più comprensione per la posizione del suo più importante amico e alleato della regione e che le forniture di gas sarebbero proseguite senza problemi nella stessa quantità di prima. La comprensione russa si è limitata ad una rateazione del debito, e solo perché il premier serbo ha pregato la controparte di cedere.

Le attese

A giudicare da quanto riportano i media serbi, il governo sembra si aspettasse che la visita di Putin avrebbe portato ad almeno parziali correzioni del contratto (il cosiddetto accordo energetico), siglato nel dicembre 2008, con il quale in pratica si è dato alla parte russa il monopolio del gas e del petrolio nel paese, oltre ai diritti di sfruttamento delle riserve di gas e di petrolio esistenti in Serbia ad un prezzo eccezionalmente basso.

Secondo alcuni media Belgrado avrebbe tentato di sfruttare i vantaggi concessi nell’accordo energetico alla Russia come argomento per ridurre il debito relativo al gas. Putin, però, non ha accettato di mettere sullo stesso piatto l’”accordo energetico” con il prezzo del gas che la Serbia riceve dalla Russia.

Il contratto sull’accordo energetico fu stretto al tempo in cui era presidente della Serbia il leader del Partito democratico (DS) Boris Tadić, e il suo partner politico Vojislav Koštunica, leader del Partito democratico della Serbia (DSS).  Prima di siglare tali accordi, evidentemente, non si è tenuto conto di tutti i dettagli e delle possibili conseguenze.

Koštunica era stato definito come un leader politico vicino a Mosca, e lui e Tadić, praticamente, hanno gareggiato su chi avrebbe avuto il ruolo più importante nel chiudere l’accordo energetico con la Russia. Uno dei fattori politici in quell’affare fu l’atteggiamento che la Russia avrebbe mantenuto in merito al Kosovo. Tadić, che era definito come un politico filoeuropeo, ha voluto che la Russia intervenisse a favore della sovranità serba al fine di tranquillizzare la destra e l’ultradestra ed evitare la dispersione di sostegno al suo DS.

In tali circostanze non si è pensato molto alla parte tecnica dei contratti siglati con la Russia. Ma Mosca al contrario ha di fatto tenuto conto attentamente di tutti i dettagli, compreso il costo di sfruttamento delle riserve, e non ha previsto alcuna eccezione.

Politica

Il fatto che sulle forniture di gas la Russia abbia messo la Serbia sullo stesso piano degli altri paesi della regione dimostra che Putin durante la visita che a Belgrado è stata definita storica non ha ottenuto quello che voleva. La Serbia, detto in parole povere, non ha offerto quel livello di alleanza politica ed economica che attualmente piacerebbe a Mosca, mentre si trova ad affrontare la crisi nell’Ucraina orientale e le sempre più difficili relazioni con Bruxelles e Washington

La parte serba ancora prima dell’arrivo di Putin aveva dichiarato di voler avviare la procedura per aumentare la rendita di sfruttamento dei giacimenti, ma pare che il governo e il premier Vučić non  abbiano le forze sufficienti per metterlo in pratica. Una revisione del contratto non è gradita ai partner russi e in questo momento è difficile pensare che lo accetterebbero in modo spontaneo. Una mossa unilaterale di Belgrado, in queste circostanze, potrebbe far peggiorare le relazioni, e con ciò minare la stabilità energetica della Serbia.

Vučić ha sì ereditato il problema da Tadić ma, in sostanza, si trova nella posizione in cui Tadić si era trovato prima della firma dell’accordo energetico con la Russia. Se compie una mossa decisiva che potrebbe far innervosire Mosca, rischia di fare i conti con l’insoddisfazione dei nazionalisti e ultranazionalisti che hanno a cuore la Russia, ma anche di suscitare dei problemi con le forniture di gas e petrolio. La difficoltà sta nel fato che proprio tra i nazionalisti e ultranazionalisti il partito del premier (SNP) ha i suoi più forti sostenitori.

Sul piano internazionale la Russia, ovviamente, continua a trarre vantaggio dal fatto che gode di simpatia in Serbia e può contare sul monopolio del gas e del petrolio serbi.

Da tempo inoltre la Russia desidera anche di consolidare lo status del Centro per le situazioni di emergenza (interventi durante le alluvioni, terremoti e simili) che insieme alla Serbia ha creato a Niš (Serbia centrale). La Russia desidera che il suo personale goda di uno status diplomatico, ma è logico supporre che Bruxelles e Washington, così come la NATO, non guardano ben volentieri a questa eventualità. Nel momento in cui nell’est dell’Ucraina si fa una guerra che l’Occidente collega al sostegno militare russo ai separatisti ucraini, dare la completa immunità al personale russo in un centro per le situazioni di emergenza nel cuore dei Balcani dal punto di vista di Bruxelles e Washington non è certo la soluzione migliore.

È difficile pensare che il centro di Niš e lo status del personale russo non siano stati uno dei temi affrontati durante la visita di Putin in Serbia. Sui media serbi, tuttavia, non si è ancora detto se tutti i problemi sono stati risolti, quale sarà lo status del personale russo e quali sono le prospettive della stessa base di Niš. Volente o nolente Vučić pian piano scivola nella situazione di dover dire da che parte sta. Consapevole dei problemi interni, egli vuole però che lo status attuale sia mantenuto il più a lungo possibile e che non vi sia spazio per “fomentare” l’opinione pubblica su questi temi scottanti. 

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