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Serbia, l’adesione è possibile

Via libera dei 27 alla domanda di adesione di Belgrado, inviata ora alla Commissione. Una svolta che premia la prudenza di Tadić. Cresce il suo ruolo di "guida ragionevole" di un Paese potenziale membro Ue tra 8 anni, se consegnerà tutti i ricercati al Tpi

28/10/2010, Alvise Armellini - Bruxelles

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L’Unione europea scongela la candidatura della Serbia.

Ferma da dicembre, la domanda di adesione di Belgrado è stata trasmessa lo scorso lunedì 25 ottobre alla Commissione europea a seguito di una decisione unanime dei ministri degli Esteri Ue.

Un piccolo passo, arrivato a Lussemburgo malgrado l’opposizione durissima dell’Olanda, decisa a difendere il principio secondo cui, prima di qualsiasi avvicinamento verso Bruxelles, la Serbia dovrebbe consegnare al Tribunale Penale Internazionale (TPI) dell’Aja i superlatitanti sospettati di nascondersi sul suo territorio: Ratko Mladić e Goran Hadžić.

Belgrado premiata per la prudenza sul Kosovo

Il Presidente serbo Boris Tadic (DEMOKRATSKA STRANKA / Flickr)

Alla fine hanno avuto la meglio considerazioni più “politiche”, dettate dall’esigenza di premiare la Serbia per la marcia indietro compiuta a settembre, quando accettò di stemperare i toni revanscisti della sua risoluzione sul Kosovo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nel documento finale, sottoscritto insieme alla Ue, Belgrado ha accettato invece di avviare un “dialogo” con la sua ex provincia, prendendo implicitamente atto del fallito tentativo di cancellare la sua indipendenza tramite il ricorso alla Corte internazionale dell’Onu.

Tadić, il grande garante

“Il presidente serbo si è dimostrato un leader ragionevole, alla guida di un Paese che tanto ragionevole non è” ha commentato un diplomatico europeo, alludendo alle violenze omofobe di Belgrado e agli scontri di Genova, avvisaglie di un rigurgito ultranazionalista, che secondo alcuni osservatori potrebbe essere foriero di un colpo di Stato contro il governo filo-occidentale di Boris Tadić.

In cambio del suo via libera lo scorso lunedì 25 ottobre, l’Olanda ha strappato l’impegno scritto della Ue a non concedere più nulla alla Serbia fino a quando non ci saranno sviluppi sulla latitanza di Mladić e Hadžić.

Qualsiasi “passo ulteriore verrà preso quando il Consiglio (dei ministri Ue) deciderà all’unanimità che la piena cooperazione con il TPI c’è o continua ad esserci” recitano le conclusioni dei Ventisette.

Stretto monitoraggio Ue sulla collaborazione con il Tpi

Il cimitero di Srebrenica (eleleku /Flickr)

“Ogni volta che compierà un passo sulla strada verso l’Europa, la Serbia dovrà dimostrare di cooperare in pieno con il tribunale.

E’ una questione legata allo stato di diritto internazionale” ha insistito il neo-ministro degli Esteri olandese Uri Rosenthal, esponente dell’esecutivo di centro-destra appoggiato dagli islamofobici di Geert Wilders.

Per l’Aja l’arresto di Mladić è una questione di onore, visto che nel 1995 erano stati i suoi caschi blu ad arrendersi alle truppe dell’ex generale serbo-bosniaco a Srebrenica, lasciando che avvenisse il peggior massacro in territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale: 8.000 bosniaci-musulmani trucidati in una manciata di giorni.

Un rapporto sulle responsabilità delle autorità olandesi, nel 2002, provocò addirittura la caduta del governo di Wim Kok.

L’endorsement italiano

L’Italia, che da mesi si spendeva a favore di Belgrado ma che è riuscita a far valere le proprie ragioni soltanto quando altri pesi massimi come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna si sono volte alla causa in riconoscimento della svolta serba sul Kosovo, si è dichiarata soddisfatta.

Anche se, insieme alla Svezia, ha mal digerito le concessioni all’intransigenza dei Paesi Bassi.

L'Alto Rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton (European Parliament / Flickr)

E’ un “segnale concreto per la prospettiva europea della Serbia che sia l’Italia che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, con il suo grande impegno personale, hanno fortemente e pazientemente incoraggiato" ha fatto sapere la Farnesina in una nota.

Da Belgrado, Tadić ha salutato “un grande passo in avanti nel processo di integrazione europea della Serbia.”

Un piccolo passo nel futuro

In realtà, quello deciso a Lussemburgo è soltanto un piccolo passo, sia pur significativo. L’esame della Commissione durerà almeno un anno.

Poi occorrerà convincere la Ue a concedere alla Serbia lo status di candidato, e successivamente ad aprire i negoziati di adesione veri e propri, dalla durata prevista di circa cinque anni: in soldoni, vuol dire che Belgrado non arriverà in Europa prima del 2018-2020, a patto naturalmente che nel frattempo riesca a catturare Mladić e Hadžić.

Ma i compiti per Belgrado non sono finiti qui: la contropartita del via libera di Lussemburgo è un avvio rapido del dialogo con Pristina, possibilmente già dal mese prossimo, come traspare da quanto pronunciato a caldo da Catherine Ashton.

Ai cronisti, la rappresentante Ue per gli Affari esteri ha riferito di aver immediatamente chiamato Tadić per annunciargli la buona notizia. E di avergli sottolineato "l’importanza di veri progressi al dialogo tra Serbia e Kosovo, che speriamo inizi al più presto".

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