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Serbia, il blocco della Croazia e la visita di Lavrov

Mentre Mosca sfrutta il malcontento serbo suscitato dal veto posto dalla Croazia su uno dei capitoli negoziali con l’UE, il premier serbo Vučić cerca di mantenere l’equilibrio e se la prende con Zagabria

15/12/2016, Dragan Janjić - Belgrado

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Nello stesso momento in cui la Serbia a Bruxelles, con un mezzo successo, apriva nuovi capitoli negoziali con l’Unione europea, a Belgrado arrivava il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov.

La sovrapposizione temporale di questi due eventi illustra bene la complicata posizione internazionale della Serbia, schiacciata tra Mosca da un lato e Bruxelles e Washington dall’altro.

Il governo di Belgrado si aspettava l’apertura dei capitoli 5, 25 e 26, ma la Croazia ha bloccato il capitolo 26, sostenendo che la Serbia non ha colmato gli impegni rispetto all’istruzione nelle lingue delle minoranze. Il blocco del capitolo 26 ha suscitato ira e malcontento a Belgrado, ma per Lavrov è stata una buona notizia, sapendo che Mosca continua ad aumentare la sua influenza nella regione, e che la Serbia è il più importante partner russo nei Balcani.

Durante la sua visita Lavrov ha insistito sul fatto che la Russia non ricatta la Serbia, mentre l’UE richiede a Belgrado di chiudere il centro umanitario russo-serbo di Niš. Bruxelles non è soddisfatta di questa struttura, utilizzata dall’aviazione russa, ma non esistono indicazioni evidenti che sia stato chiesto davvero alla Serbia di chiuderlo completamente. Il premier Aleksandar Vučić a seguito delle dichiarazioni di Lavorv ha precisato che dall’UE non ha ricevuto richieste di chiusura del centro di Niš, cosa che a Mosca non piacerà affatto.

Piazzando l’informazione su ipotetiche richieste di chiusura del centro di Niš, il capo della diplomazia russa ha evidentemente voluto suggerire all’opinione pubblica serba che la Russia nei confronti della Serbia si comporta diversamente dall’Occidente e non utilizza ricatti e ultimatum. Dal canto suo Vučić, dichiarando che dall’UE non è arrivato alcun ricatto, ha dimostrato di non voler sfruttare i recenti avvenimenti per avvicinarsi ancora di più alla Russia.

Russia

Nell’attuale situazione, il tentativo russo di imporsi con più forza nella regione è comprensibile e non comporta praticamente alcun rischio per Mosca. Tanto meglio se riesce a sfruttare politicamente il malcontento dei cittadini serbi e del governo di Belgrado rispetto al sostegno all’euro-integrazione ricevuto da Bruxelles, ritenuto insufficiente. Anche in caso di insuccesso Mosca non rischia nulla, visto che si è già garantita i propri interessi economici e politici in Serbia.

Vučić, senza dubbio la figura politica più influente del paese, cerca di mantenere l’equilibrio e per ora non sembra aver voglia di trasformare l’insoddisfazione sul sostegno che riceve da Bruxelles in un ulteriore avvicinamento alla Russia. In segno di protesta per il veto della Croazia sul capitolo 26, il premier serbo ha abbandonato Bruxelles dove avrebbe dovuto presenziare all’apertura dei capitoli negoziali, e ha puntato il fuoco delle critiche sulla Croazia, evitando di giudicare o attaccare gli altri membri dell’UE.

I partner di coalizione di Vučić hanno però mostrato un diverso atteggiamento. Il ministro degli Esteri e leader del Partito socialista serbo (SPS) Ivica Dačić, che ha fama di essere incline al rafforzamento delle relazioni con Mosca, non ha nascosto la propria soddisfazione e un largo sorriso durante l’incontro con Lavrov, sottolineando che la Russia non ha mai ricattato la Serbia. Ribadendo che la Serbia, per quanto riguarda l’apertura dei capitoli negoziali, non ha ottenuto quanto si aspettasse, Dačić ha sostenuto che la Croazia non riuscirebbe ad ostacolare da sola il percorso di avvicinamento di Belgrado all’UE.

La dichiarazione del capo della diplomazia serba suggerisce quindi che dietro il blocco ci siano paesi più potenti e più importanti della Croazia, il che significa che la decisione di bloccare il capitolo 26 non è casuale, né frutto del momentaneo capriccio di un piccolo paese ostile. In sostanza Dačić ha suggerito al pubblico serbo che è in atto un vero e proprio sabotaggio del percorso europeo della Serbia, cosa che influirà negativamente sul già debole euro-ottimismo del paese. Ciò non significa automaticamente l’aumento dell’influenza della Russia, ma apre comunque spazi per eventuali sviluppi in questa direzione.

Vučić

Al momento il premier serbo cerca di sviluppare le relazioni con la Russia, ma senza superare il punto in cui queste rischiano di danneggiare la posizione serba agli occhi dell’Occidente. Atteggiamento comprensibile, visto che l’equilibrio del governo, così come la stessa posizione internazionale della Serbia, dipendono profondamente dall’UE, suo principale partner economico. Per la Serbia è però importante mantenere buone relazioni anche con la NATO, e quindi ogni avvicinamento alla Russia va portato avanti con estrema cautela.

La mancanza di un pieno successo sull’apertura dei capitoli negoziali con Bruxelles nel momento in cui Lavrov si trovava in vista a Belgrado non gioca certo a favore di tali equilibrismi, motivo per cui Vučić ha motivi solidi per essere arrabbiato e nervoso. Il suo partner di coalizione Dačić al momento ha meno responsabilità da portare, e quindi può parlare più liberamente toccando le corde gradite alla maggioranza dell’elettorato nazionalista.

Vučić ha risolto la difficile situazione in cui si è trovato indirizzando la rabbia e il malcontento verso la vicina Croazia. Dopo che la ministra per l’Integrazione europea Jadranka Joksimović a Bruxelles aveva firmato i due capitoli accolti, Vučić ha tenuto a Belgrado una conferenza stampa dedicata interamente ad un duro attacco contro Zagabria.

Il premier ha confutato le accuse alla Serbia di non aver adempiuto agli obblighi sull’istruzione in lingua materna per la minoranza croata, facendo allo stesso tempo riferimento all’esodo di centinaia di migliaia di serbi dalla Croazia durante il conflitto degli anni Novanta e alla difficile condizione dei cittadini serbi che vivono oggi nel paese vicino. Allo stesso tempo Vučić ha detto che, nonostante tutto, la Serbia resta saldamente sul cammino europeo.

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