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Serbia e Kosovo negoziano, i criminali ne approfittano

Serbia e Kosovo non collaborano nella lotta alla criminalità organizzata. E quest’ultima ne approfitta. Un’inchiesta del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia

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(Originariamente pubblicato dal portale web CINS il 10 novembre 2015, titolo originale: Srbija i Kosovo pregovaraju, kriminalci profitiraju )

Nella tarda serata del 25 dicembre 2014 la polizia kosovara ha arrestato Slobodan Gavrić, sospettato di essere coinvolto nella preparazione di un attacco terroristico. Gavrić, ispettore veterinario, in quel momento occupato al ministero serbo per l’Agricoltura e la Protezione ambientale, era in possesso di circa 12,5 kg di esplosivo.

Gavrić quel giorno era entrato in Kosovo attraverso il passaggio amministrativo Jarinje dove la polizia aveva controllato i suoi documenti ma non il veicolo in cui, come scoperto in seguito, si trovava l’esplosivo. Nella sua macchina c’erano 25 ordigni, confezionati in borse di plastica. Secondo l’accusa, l’esplosivo se l’era procurato a Belgrado, appena prima dell’arresto.

Gavrić, sotto processo dinanzi al tribunale di Pristina, ha negato l’accusa di un suo coinvolgimento nella preparazione di un attentato. Il suo "lavoro", per cui gli erano stati promessi 5.000 euro, consisteva solo nella consegna dell’esplosivo.

Questo è il terzo tentativo registrato in cui si è cercato di vendere dell’esplosivo in Kosovo, al prezzo di circa 1.500 euro al kg – i precedenti due sono falliti per problemi di comunicazione durante la consegna dell’esplosivo a Pristina, resa difficile dall’assenza di segnale degli operatori serbi di telefonia mobile sul territorio kosovaro. Secondo la testimonianza di Gavrić, in cinque giorni ha passato il confine tra i due territori per cinque volte, ogni volta trasportando esplosivo.

Le istituzioni serbe e kosovare non hanno i problemi di comunicazione riscontrati da Gavrić, ciò nonostante la cooperazione tra due parti non funziona: la Procura speciale del Kosovo non ha infatti potuto accertare fino da dove proviene l’esplosivo di Gavrić, quale scopo avesse quando l’ha trasportato a Pristina e quali persone della Serbia e del Kosovo siano state coinvolte in questo caso.

L’ufficio della Procura speciale del Kosovo, nel gennaio 2015, mediante il ministero della Giustizia kosovaro, ha invitato ufficialmente la Serbia ad una cooperazione diretta per risolvere insieme il caso in questione. Poiché le istituzioni serbe rifiutano il contatto diretto con le istituzioni kosovare, la richiesta di ottenimento delle informazioni in possesso degli inquirenti kosovari è stata indirizzata all’Eulex (European Union Rule of Law Mission in Kosovo, ndr). Questo non corrispondeva alle richieste della parte kosovara: la Procura richiedeva la cooperazione diretta e a questa richiesta il ministero serbo non dato risposta.

Drita Hajdari, funzionaria della Procura speciale del Kosovo, sostiene che lo scambio indiretto delle prove non può portare al successo dell’indagine perché questo approccio “prende parecchio tempo in modo del tutto irragionevole, e può danneggiare la segretezza del procedimento, cosa che alla fine va a vantaggio solo dei criminali”.

Anche la Serbia è rimasta priva di informazioni preziose per la sicurezza dei suoi cittadini: Gavrić ha ammesso ha trasportato esplosivo più volte da Belgrado a Pristina, prima di essere arrestato. Le istituzioni serbe così hanno perso l’occasione di raccogliere informazioni non solo sull’arresto, ma anche sull’esplosivo rinvenuto, sulle dichiarazioni rilasciate dall’accusato e sui risultati delle perizie sull’esplosivo.

L’assenza di una cooperazione tra le due parti favorisce maggiormente lo sviluppo della criminalità organizzata. A parte rallentare i processi e le indagini, porta a problemi che entrambe le parti hanno con fuggitivi e contrabbandieri, la maggior parte dei quali ha trovato rifugio in Kosovo o nel Sud della Serbia.

Zone sicure per i fuggitivi

Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008, mentre i negoziati sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina sono iniziati nel marzo 2011, è sono stati la condizione necessaria per continuare l’integrazione della Serbia nell’UE. Serbia e Kosovo hanno firmato a Bruxelles un accordo nel 2013, da lì è cominciato il dialogo politico tra le due parti.

Il confine amministrativo col Kosovo, lungo 382 km, in Serbia è considerato ancora parte integrante del confine statale, ma dall’inizio dei negoziati ad oggi è stata stabilita una dogana su entrambe le parti su due passaggi di frontiera – Jarinje e Brnjak – nei quali sono previste le stesse procedure di tutti gli altri passaggi frontiera.

Esistono altri passaggi alternativi, per lo più illegali. I residenti li utilizzano giornalmente – in questo modo visitano i propri terreni o vanno più velocemente in altri villaggi, senza le attese dei passaggi ufficiali. Queste vie sono anche usate come rotte da latitanti e contrabbandieri che da un territorio possono entrare in un altro, senza che vi sia controllo.

Visto che tra Serbia e Kosovo non esistono accordi sulle estradizioni, praticamente è impossibile che una o l’altra parte procedano reciprocamente all’estradizione dei ricercati.

Un ricercato in Serbia può essere arrestato nel territorio del Kosovo, dove gli si possono imporre 40 giorni di detenzione, ma se durante questo termine le autorità serbe non inviano una richiesta formale di estradizione, il sospettato viene rilasciato.

Considerando che le autorità serbe non riconoscono il Kosovo come uno stato indipendente, la comunicazione diretta con la polizia non è possibile e i latitanti possono liberamente restare in Kosovo fino alla prescrizione del procedimento a loro carico.

All’inizio del 2015 la polizia ricercava Bojan Božović, ex giornalista della Tanjug, per detenzione di materiale pedo-pornografico. Era già stato condannato in Serbia a tre anni di carcere per pedofilia, ma era stato rilasciato anticipatamente. Ora che vive a Zubin Potok (Kosovo, ndr), per le autorità serbe resta intoccabile.

I media negli anni precedenti hanno scritto del caso di Leme Džema, ex direttore delle Poste e di Telekom Kosovo, che nel 2008 è stata condannata a tre anni di carcere per corruzione. È riuscita a evitare il carcere perché prima della sentenza definitiva nel 2011 è tornata nella sua città di nascita, Medveđa, in Serbia, dove la polizia kosovara non ha autorità.

Sul suo conto era stato emesso un mandato dell’Interpol, ma se il ministero dell’Interno serbo l’avesse arrestata di conseguenza sarebbe stata estradata in Kosovo. Džema è stata per un breve periodo anche l’aiutante del sindaco di Medveđa, durante il 2013.

Il procedimento giudiziario contro Džema è stato archiviato nel maggio 2014 e nel settembre dello steso anno è stata candidata alle elezioni locali a Kosovo Polje.

Alla domanda del Centro per il giornalismo d’inchiesta della Serbia (CINS) su come assicurare alla giustizia le persone sospettate di nascondersi nel territorio kosovaro, il ministero della Giustizia serbo ha risposto che per loro la comunicazione attraverso Eulex al momento è l’unico modo possibile.

Interpol come intermediario

La polizia kosovara afferma di collaborare con la polizia serba anche attraverso l’ufficio dell’Interpol a Pristina (UNMIK). La polizia kosovara afferma inoltre che durante il 2015 due serbi sono stati arrestati su mandato dell’Interpol emesso dalla Serbia: uno è stato rilasciato, mentre l’altro è stato consegnato alla polizia serba.

Dai dati del piano d’azione relativo al capitolo 24 dei negoziati di adesione della Serbia all’UE durante il 2014, la polizia serba e kosovara hanno scambiato 970 informazioni tramite l’Interpol, soprattutto relative a indagini riguardanti la falsificazione delle patenti di guida, furto di veicoli e accertamento d’identità.

La polizia serba e kosovara a volte riescono a trovare dei modi creativi per cooperare e consegnare alla giustizia i ricercati.

Questo è successo nel maggio 2013, quando Filip Vilotijević e Vukašin Cmiljanić sono fuggiti durante le indagini sull’uccisione di una ragazza al club Just Vanilla di Belgrado. Sono riusciti a fuggire usando i passaggi alternativi verso il Kosovo. Nella fuga sono stati aiutati da Liridon, figlio di Naser Keljmendi, attualmente sotto processo a Pristina per omicidio e traffico di eroina che dall’Albania e dalla Turchia arriva in Kosovo, da dove viene poi distribuita agli stati dell’Europa occidentale.

La polizia kosovara non ha ricevuto informazioni sull’omicidio avvenuto a Belgrado, ma ha arrestato i due ragazzi perché non avevano con sé la carta d’identità. Dopo l’arresto a uno di loro è stata trovata della marijuana. Subito c’è stato un contatto informale con la polizia serba ed è stato organizzata la consegna dei sospettati al confine con la Serbia, dove li attendeva la polizia serba.

“Questo esempio dimostra che si può sviluppare una buona cooperazione, una lotta di successo contro il crimine”, dice Bojan Elek, ricercatore del Centro belgradese per la politica di sicurezza (BCBP). Tuttavia, spiega che per l’assenza di scambi di informazione nella regione di Mitrovica, la polizia kosovara non può controllare la circolazione di persone in entrata nel Nord del Kosovo, ma solo quelle in uscita. Secondo Elek, la depoliticizzazione della questione relativa alla cooperazione tra le polizie svilupperebbe maggiormente la sicurezza dei cittadini.

BCBP ha recentemente pubblicato una ricerca sulla cooperazione tra le polizie di Serbia e Kosovo. Secondo le analisi “la mancanza di cooperazione tra gli organi legislativi serbi e kosovari crea una situazione che favorisce varie forme di attività criminale trans-frontaliera, come il contrabbando illegale di merci e reati minori”.

Contrabbandieri attraverso le strade di campagna

I reporter di CINS hanno percorso il passaggio alternativo Batnjik – Tresava nei pressi di Raška. Sono riusciti a malapena a compiere il viaggio, dato che non avevano a disposizione, come la maggior parte dei conducenti che hanno incontrato, un veicolo adatto alle strade di montagna.

C’erano molte salite strette e pendenti, oltre che una strada tortuosa che hanno reso il viaggio poco piacevole. I camion che i residenti del villaggio di Mrmonje vedono ogni giorno riescono a malapena a percorrere quel percorso.

I residenti non hanno voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali giornalisti, ma hanno spiegato che la strada viene utilizzata per lo più per il contrabbando, soprattutto quando tramonta il sole. Come affermano i residenti, spesso passano grandi camion con doppi rimorchi, compresi quelli registrati in Croazia e Slovenia.

Secondo gli abitanti del luogo, il più grande problema è che i grandi veicoli danneggiano la strada e questo gli impedisce di uscire dal villaggio, particolarmente in inverno e quando piove. Nonostante ciò, dicono che a volte gli stessi contrabbandieri riparano le strade per semplificarsi il tragitto.

La polizia e la gendarmeria controllano insieme quest’area. Tuttavia, gli abitanti del luogo sostengono l’esistenza di persone che avvisano i contrabbandieri quando c’è un controllo. Ai giornalisti del CINS è stato detto che in alcuni casi gli osservatori guadagnano fino a 10 euro a chiamata, mentre i contrabbandieri per il trasporto guadagnano intorno ai 100 euro.

Lungo la strada alternativa che da Raška porta in Kosovo, i giornalisti del CINS hanno incontrato qualche sguardo curioso o di rimprovero dalle macchine della corsia opposta, ma nessuna pattuglia di polizia.

Da questa strada alternativa due persone provenienti da Novi Pazar hanno tentato gli scorsi anni di contrabbandare quattro tonnellate di frutti esotici del valore di mezzo milione di euro. Sono stati accusati anche per l’attraversamento illegale del confine amministrativo.

Fino a marzo 2015 era in vigore il Decreto del governo serbo che ha provato a risolvere la questione politica del confine kosovaro con l’introduzione di una linea amministrativa: ogni attraversamento del passaggio alternativo veniva punito con una sanzione pecuniaria.

Il tribunale di Raška ha così visto aumentare i casi in cui c’erano cittadini sanzionati per il passaggio illegale e il trasporto di varie merci: dal cibo alle sigarette. Questo decreto è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale serba quest’anno e le sanzioni per il passaggio illegale sono state sospese. I passaggi vengono ancora sorvegliati dalla polizia e dalla gendarmeria che cercano di fermare il contrabbando.

Nella strategia per la lotta alla criminalità organizzata in Kosovo c’è scritto che a causa dei problemi di efficacia dei controlli sul confine, i gruppi criminali serbi, albanesi e bosniaci, riescono con le strade alternative a organizzare “tutti i tipi di contrabbando, traffico di droga, armi e persone”.

Il contrabbando senza confini

La cooperazione diretta tra la polizia serba e kosovara è applicata soltanto a livello della polizia doganale, sulla base dell’Accordo sulla gestione integrata delle frontiere entrato in vigore alla fine del 2013. L’accordo presuppone riunioni costanti tra i membri della polizia doganale serba e kosovara, alla presenza di Eulex.

Adriatik Stavileci, portavoce dell’amministrazione della dogana kosovara ha detto al CINS che dalla firma dell’accordo il contrabbando è diminuito e che prima grandi quantità di merci arrivavano in Kosovo dalla Serbia o viceversa senza il pagamento dei dazi doganali.

“Nel primo anno, il 2014, abbiamo raccolto tra i due e tre milioni. È cominciato lentamente, ma oggi tra i sei e i sette milioni di euro all’anno di dazi vengono pagati tra i due passaggi settentrionali (Jarinje e Brnjak)”, dice Stavileci.

Dalla dogana fanno sapere che viene contrabbandata quella merce che in questo momento è economicamente conveniente per i contrabbandieri. Sono spesso merci con accise alte: diesel, benzina, sigarette, ma anche articoli per l’igiene di noti marchi di lusso.

Nella regione di Mitrovica che copre anche il Nord del Kosovo, dove vivono prevalentemente serbi, la merce dominante per il contrabbando è l’olio combustibile. Nel magazzino della dogana di Mitrovica si trovano decine di camion, grandi e piccoli, furgoni e anche autovetture completamente attrezzate per il contrabbando.

“Ci sono piccoli camion con serbatoi, botti, camion adattati al contrabbando. Abbiamo un enorme bunker ricoperto da un telo cerato, con oltre 10.000 litri di olio”, dice Bashkim Arifi, direttore delle dogane per la regione di Mitrovica.

L’Amministrazione della dogana serba spesso trova merce contrabbandata di provenienza kosovara, come sigarette o tabacco trinciato, abbigliamento. L’ultimo sequestro è avvenuto il 29 ottobre quando sulla strada di Davidovac – Vranje è stata fermata una persona con 100 kg di tabacco trinciato confezionato in dieci borse, senza alcun documento.

L’amministrazione della dogana serba non ha presentato al CINS dati sul contrabbando né del territorio kosovaro né di quello serbo, nemmeno dopo due settimane dall’inoltra della richiesta. Neanche il MUP serbo ha voluto discutere con i giornalisti del CINS su questo tema.

Dall’altra parte, sembra che non esistano problemi di cooperazione tra i criminali serbi e albanesi.

“In una frase direi che il contrabbando non è etnicamente diviso”, ha concluso Stavileci.

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