Serbia, campagna e elezioni
Le elezioni parlamentari del 21 gennaio in Serbia: la comunicazione politica fra spot televisivi, cartelloni e slogan mirati per le diverse fasce di elettori. Decisivo il voto degli… indecisi e della popolazione rurale? Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Riccardo Masnata*
Al termine delle elezioni politiche fissate per domenica 21 gennaio sapremo molte cose in più sulla Serbia futura. O forse no, all’atto pratico non cambierà granchè e si andrà avanti con il tran tran degli ultimi anni. Di sicuro le elezioni sono un grande evento mediatico e sulle strade e sui mezzi di informazione serbi impazza la battaglia degli spot, come in ogni campagna elettorale moderna.
Partiti, uomini e slogan
I sondaggi accreditano il partito radicale (Srpska Radikalna Stranka, SRS) di un 30% che fa venire i brividi a molti osservatori, soprattutto occidentali, ma che non è difficile da spiegare per chi conosce la realtà serba.
Il leader di fatto del SRS, Vojislav Seselj, è all’Aja a fare i conti con il Tribunale Penale Internazionale, ma il suo seguito in patria è sempre forte. Se, come sembra, i radicali saranno il partito più votato alle elezioni (che poi arrivino a governare è un altro discorso) non sarà certo per le doti di comunicatore di Tomislav Nikolic, che, in assenza di Seselj, conduce la campagna in patria.
Rispetto al suo (ex?) "capo", Nikolic è tutt’altra figura di politico. Tanto è sanguigno, eccessivo, deciso Seselj, quanto è pacato, serafico, riflessivo Nikolic. Uno sparge minacce, lancia accuse, in una teoria pressoché infinita di proclami ad effetto e anche insulti veri e propri; l’altro spiega, argomenta, ragiona. Quello urla, questo parla.
Monotono, nel senso più letterale del termine: Nikolic non cambia mai voce, né quando parla di sviluppare l’economia né quando tocca i temi più delicati, che (non incidentalmente) sono anche quelli più cari all’elettorato radicale: la collaborazione col tribunale dell’Aja, appunto, che Nikolic non può che garantire, ma anche la lotta alla corruzione e alla criminalità.
Questo è un argomento facile, se vogliamo, per il partito che oggi si proclama orgogliosamente "unica opposizione" in Serbia, ma che domani vuole governare, e per davvero. "50% + il vostro voto" è infatti uno slogan della SRS, che fa presa soprattutto nella grande massa di scontenti: disoccupati, pensionati, lavoratori a basso reddito, operai e contadini.
I radicali, che governano già in molte municipalità del Paese specie a Sud, invece di fantasticare su un futuro europeo, che molti altri partiti promettono ma che con ogni evidenza è di là da venire, rimangono più terra-terra. "Che sia meglio già da domani" è infatti un altro messaggio, di sicura presa per chi oggi in Serbia non può permettersi di fare prospettive a lunga scadenza ma deve vivere una quotidianità spesso incerta e talora drammatica. Il Kosovo? "Autonomia sì, indipendenza no". Già sentita, ma di indubbia chiarezza.
Completamente diverse le scelte di comunicazione della Demokratska Stranka (DS) dell’attuale presidente serbo Boris Tadic, che i sondaggi indicano seguire di pochi punti i radicali. Il partito come "ponte" tra Serbia e Unione Europea, integrazione con tutti i Paesi e le organizzazioni occidentali, riforme strutturali: la DS prova a giocare su un terreno più largo e con un raggio di tempo più ampio.
L’immagine del leader si presta a un utilizzo variegato e difatti la comunicazione del partito democratico spazia su diversi fronti. Carisma, autorevolezza, dialettica e anche fascino non mancano a questo ex insegnante di psicologia alla facoltà di Belgrado, di cui a suo tempo parecchie studentesse si invaghivano. Tadic oggi prova invece a "sedurre" più che altro quel 50% di serbi che, sempre secondo i sondaggi, il 21 gennaio potrebbero starsene a casa invece di andare a votare. Conquistare una parte di quei voti sarà decisivo.
Significativo un redazionale in onda sulle principali televisioni nazionali in cui Tadic, seduto in mezzo a un gruppo di giovani (presumibilmente studenti) in quella che ha tutta l’aria di essere un’aula universitaria, risponde a varie domande dei ragazzi, che si rivolgono a lui chiamandolo "Boris". Si va dalle prospettive europee del Paese al (divertente) aneddoto sul serbo emigrato in Canada che, seduto accanto a lui in aereo, non lo riconosce ma attacca un discorso incentrato sulla voglia di tornare nella madrepatria e su quanto gli manchi il saporito "burek" di certe panetterie belgradesi. Tadic sfrutta abilmente l’esempio per invitare i giovani a restare in Serbia, per costruire insieme il futuro del Paese.
L’attuale premier Vojislav Kostunica gioca la carta della notorietà internazionale: gli spot della sua Demokratska Stranka Srbije (DSS) – che si presenta in lista insieme alla Nova Srbija (NS) di Velimir Ilic – sono una carrellata dei suoi incontri con i capi di Stato e di Governo dei Paesi più avanzati."Viva la Serbia" e "Il popolo lo sa meglio di tutti" sono i claim, non certo un folgorante esempio di originalità, per un politico comunque molto stimato, non solo in casa, e un partito che punta ad arrivare al 20%.
Per arrivarci la DSS punta a ricordare i risultati raggiunti negli ultimi anni di governo, ma non rinuncia a toccare i tasti di un nazionalismo "sobrio" che se ben gestito vale sempre parecchie preferenze. "Non diamo il Kosovo!" è il messaggio che campeggia nella home page della DSS, a scanso di equivoci. Poi si specifica che gli albanesi potranno scegliere liberamente la propria forma di autonomia, ispirandosi a quella da loro preferita fra i modelli già in uso negli altri Paesi europei.
I partiti minori
E’ un magma in ebollizione quello dei partiti piccoli, formato da coloro che nei sondaggi sono dati attorno al 3% e anche meno, e che quindi hanno come primo obiettivo la sopravvivenza in senso politico. La soglia di sbarramento è infatti fissata al 5%: per tutti questi soggetti anche pochi voti potrebbero essere decisivi.
Monarchico. Nazionalista. Filo-occidentale. Estremista. Moderato. Avversario di Milosevic. Alleato di Milosevic. Nuovamente avversario. Al Governo. All’opposizione. Animoso ras delle piazze e sobillatore di folle ieri. Posato e composto ministro degli Esteri oggi.
Bravo chi riesce a tenere il conto di tutti i cambiamenti dell’enigmatico Vuk Draskovic, sicuramente uno dei politici più interessanti da analizzare di tutti i Balcani. La vecchia, lunga barba nera si è solo accorciata e ha cambiato colore, ammantandosi di argento. Ma il ghigno, quasi diabolico, è sempre lo stesso, quello che da dieci anni fa di Draskovic un grande protagonista della vita politica della regione.
Il controverso capo dello SPO (Srpski Pokret Obnove, movimento del rinnovamento serbo) oggi usa toni soft: "Vale la pena impegnarsi" è il mansueto messaggio che manda nel suo spot, che parla anche di "Serbia in Europa, Kosovo nella Serbia". Secondo molti analisti lo SPO, che corre da solo, non entrerà in Parlamento ma con Draskovic è lecito aspettarsi ogni genere di sorpresa in qualunque momento.
Mladjan Dinkic e il suo G17 sono invece chiaramente un partito di opinione, che vuole pescare consensi nelle classi medie e alte e rivolge quasi tutte le sue attenzioni alla sfera economica e sociale. Lo slogan "Competenza prima della politica" probabilmente dice poco e a pochi, ma tant’è questa è stata la scelta del G17, che ha un programma basato sulla formazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese come ricetta per il rilancio dell’economia in tempi rapidi. Molta attenzione anche alla sanità e immancabile annuncio di sforzi nella lotta contro la criminalità organizzata.
"Dipende da noi" dice invece agli elettori la Liberalno Demokratska Partija (LDP, partito liberaldemocratico) del cosiddetto enfant prodige della politica serba Cedomir Jovanovic. Quello che un tempo fu il leader delle proteste studentesche anti-regime è oggi, a trentacinque anni, un politico navigato che punta molto sul suo ascendente presso i settori più scolarizzati della società serba, e ovviamente sulla fiducia che molti suoi coetanei continuano a dargli. "Schengen e non Scheveningen" è un passaggio illuminante della comunicazione della LDP, a conferma che l’Europa che si vuole è quella dell’integrazione simboleggiata dal famoso trattato non quella del famigerato carcere olandese dove sono rinchiusi i criminali di guerra.
Resteranno probabilmente le briciole alla Socijalisticka Partija Srbije (SPS, partito socialista) di Ivica Dacic, il partito "erede" di Milosevic. I socialisti (o comunisti?) tentano di scuotere l’orgoglio di chi è deluso, frustrato con lo slogan "Serbia, su la testa", ma con prospettive che al momento appaiono limitate.
Buio pressoché assoluto infine sul destino del Pokret Snaga Srbije (PSS, movimento Forza Serbia) di Boguljub Karic, figura trasversalmente in bilico tra business, politica e folklore. L’uomo d’affari – più o meno oscuri – imperversa in televisione con lo slogan "La Serbia ha la forza" pronunciato con il suo inconfondibile vocione e l’accento dei serbi kosovari. Karic è anche su migliaia di manifesti e cartelloni stradali, ma la sua è una presenza puramente virtuale: da molti mesi vive in una località nascosta, probabilmente fuori dalla Serbia, dove si guarderà bene dal tornare prima delle elezioni.
Ne sapremo di più lunedì 22 gennaio, a seggi chiusi. Forse.
* Riccardo Masnata è giornalista ed esperto di comunicazione
Per scrivere all’autore:lechners@libero.it
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