Serbi in Kosovo: voglia d’autodifesa
Un reportage di una nostra corrispondente sulle municipalità serbe del nord del Kosovo. Tra comitati di autodifesa, divisioni interne, sindrome da ”tradimento” e prospettive per il futuro
La comunità serba in Kosovo
Secondo la comunità internazionale i serbi residenti in Kosovo sono 100.000. Secondo le autorità serbe sono 40.000 in più, in particolare residenti nel nord della Provincia: Mitrovica nord, Zvecan, Zubin potok, Leposavic. Il resto si divide tra le enclaves del Kosovo centrale, Gracanica, Lipljan, Caglavica, Laplje selo, Partesh, Pasjane, Silovo; nel sud come a Strpce, Brezovica; infine nei villaggi dell’ovest del Kosovo: Velika Hoca, Orahovac e Gorazdevac.
L’autodifesa dei serbi del Kosovo
A partire dall’ottobre 2005 ci sono stati 186 casi di violenza nei confronti dei serbi del Kosovo, con due casi di omicidio e venti di lesioni gravi. Nel Kosovo settentrionale la situazione è diventata estremamente tesa dopo l’omicidio di Milan Veskovic, avvenuta lo scorso giugno. In seguito a questo evento i sindaci di Zvecan, Zubin Potok e Leposavic hanno richiesto all’Unmik di salvaguardare la sicurezza della comunità serba, oltre a una sostituzione d’emergenza del sistema di polizia che opera nella zona. Dragisa Milovic, sindaco di Zvacan, ha richiesto lo stato di emergenza per quattro municipalità del Kosovo settentrionale, e l’interruzione di ogni rapporto con le istituzioni ad-interim kosovare fino alla scoperta degli assassini di Milan Veskovic e di atri cittadini serbi. E’ stato creato un "Comitato serbo di emergenza", insieme alla decisione di intraprendere misure di auto-organizzazione e autodifesa. Dragisa Milovic ha dichiarato ai media che per questo scopo erano stati contattati 385 riservisti, informazione poi smentita dallo stesso Milovic. Il 25 giugno il quotidiano kosovaro "Koha Ditore" ha parlato di "riservisti invisibili" intorno alla fabbrica di mattoni del villaggio di Zitkovic, nel nord del Kosovo. Circa 300 membri della cosiddetta "difesa territoriale" sarebbero stati dispiegati sul terreno, ma sia l’UNMIK che la KFOR hanno smentito la notizia. Secondo Nenad Radosavljevic, uno dei leader del Consiglio nazionale serbo per il Kosmet (Kosovo e Metohija, secondo il nome ufficiale serbo della provincia), capeggiato dal vescovo Artemje, "l’auto-organizzazione della comunità serba per l’autodifesa è legale e rientra nella cornice delle regole della missione Osce in Kosovo".
Questa farebbe riferimento a circa 500 poliziotti serbi rimasti disoccupati, e che dovrebbero lavorare per un corpo di protezione civile, con tanto di uniformi blu. Non si tratterebbe comunque delle stesse persone che apparvero armate durante gli incidenti del 17 marzo 2004, e il loro compito sarebbe quello di monitorare le zone più a rischio. Radosavljevic sostiene che questo corpo risponderebbe alle regole di Osce e Unmik.
A giugno le municipalità del Kosovo settentrionale hanno poi deciso di rafforzare i cosiddetti Comitati per la resistenza civile, strutture che collaborano con le unità locali del KPS ( Kosovo Police Service) che qui sono composte da personale serbo. I serbi hanno deciso di non interrompere i rapporti con le autorità dell’UNMIK, ma solo quello con le istituzioni ad-interim del Kosovo. "E’ possibile che in qualche villaggio serbo del nord del Kosovo verranno organizzate squadre di vigilanza contro la violenza albanese, ma queste persone non saranno armate, e avranno il ruolo di monitorare la situazione e collaborare con le forze di polizia", ha dichiarato Radosavljevic ad Osservatorio.
"Al momento per i serbi non è possibile organizzare un’autodifesa, e non esistono nemmeno unità paramilitari" ha dichiarato ad Osservatorio Oliver Ivanovic, leader del partito "Serb List for KOSMET", che ha partecipato alle ultime elezioni in Kosovo. Secondo Ivanovic la situazione attuale è totalmente diversa da quella del 1999, quando i serbi si organizzarono per l’autodifesa. "All’epoca c’era un gruppo di sette intellettuali rispettati di Mitrovica nord a elaborare la strategia di difesa", ci ha detto Ivanovic, "oggi il gruppo si è sciolto, e non esiste più un’élite serba di quel livello".
Anche Rada Trajkovic, vice presidente del Consiglio nazionale serbo per il Kosmet e direttrice del centro sanitario di Gracanica, è piuttosto scettica sulla possibilità di formare squadre di autodifesa nel Kosovo settentrionale. "Belgrado non può venirci in aiuto in caso di emergenza, nè con uomini nè con mezzi, senza aver prima negoziato con la Nato". In caso di attacco da parte albanese, sostiene la Trajkovic, la resistenza serba sarebbe solo temporanea e a breve tempo. Secondo la Trajkovic il "Comitato serbo di emergenza" non sarebbe nient’altro che un modo per "mostrare i denti".
I leader serbi del Kosovo sono divisi da molte dispute. L’unificazione degli attuali due Consigli nazionali serbi, a parere di Milan Ivanovic, leader del Consiglio del Kosovo settentrionale, "è un’utopia simile a quella del comunismo". Secondo Momcilo Trajkovic, leader del movimento serbo di resistenza SPOT, con base nel villaggio di Laplje Selo, il vescovo Artemje, attuale guida del Consiglio nazionale per il Kosmet (l’altro consiglio) "dovrebbe fare solo il vescovo, e non il politico".
"In Kosovo tutti vogliono cavalcare il somaro, e tutti vogliono comandare" ci ha detto Trajkovic con un sorriso. Secondo lui, tutti i politici serbi in Kosovo sono espressione della politica di Belgrado, e tutte le polemiche che hanno luogo nella capitale hanno ricadute su quello che succede in Kosovo.
I serbi del Kosovo si sentono inoltre isolati rispetto al processo di negoziazione dello status della provincia. Si lamentano per il basso livello di comunicazione con i politici di Belgrado che si occupano del Kosovo. Le critiche verso la lontana Belgrado, spesso in Kosovo assumono un tono tagliente.
Serbi del Kosovo contro Belgrado
"Belgrado sta semplicemente perdendo la battaglia per il Kosovo", ha detto ad Osservatorio Nenad Radosavljevic. Il problema, secondo lui, è che i politici di Belgrado non capiscono i problemi dei serbi del Kosovo, e non li sentono come una priorità personale. "Non hanno responsabilità nel processo di negoziazione di Vienna. Al massimo possono perdere il lavoro ed i voti per le prossime elezioni. Ma chi perde veramente sono i serbi del Kosovo", ha detto Radosavljevic. Secondo Momcilo Trajkovic il premier Kostunica ha fatto del Kosovo una questione privata del partito, e solo membri della sua formazione politica fanno parte del team di diplomatici a Vienna, come Marko Jasic, Vuko Antonjeic e Milorad Todorovic.
Gli altri, a parere di Trajkovic, sono marginalizzati, e le persone che prendono le decisioni importanti non sono mai state in Kosovo. " La Serbia dovrebbe negoziare sulla questione dello status, ma per tutto il resto dovrebbero trattare i serbi del Kosovo", ci ha detto Trajkovic, insistendo che a Vienna il tema della decentralizzazione dovrebbe essere discusso tra serbi e albanesi del Kosovo.
"C’è una bella differenza tra i serbi che vivono nel Kosovo settentrionale e quelli che vivono nel resto del Kosovo", ha detto a Osservatorio Rada Trajkovic. "I serbi che vivono nelle enclave sono bloccati, vivono in una situazione di rischio. Quelli che vivono al nord (Mitrovica, Zvecan, Leposavic, Zubin Potok), hanno una vita più libera e sicura. I serbi delle enclave hanno più problemi di sicurezza legati agli albanesi, ma d’altra parte quelli del nord non sono riusciti a risolvere i propri problemi interni. A Mitrovica", ha concluso la Trajkovic, "è più facile comprare un chilo di droga che un chilo di arance".
Slavisa Petkovic e la sindrome del collaborazionismo
I leader serbi kosovari si scambiano numerose accuse reciproche, di cui la più frequente è quella di collaborazionismo interessato con gli albanesi o con i rappresentanti della comunità internazionale.
"Ci sono molte organizzazioni create dalla comunità internazionale o dagli albanesi per simulare la multietnicità del Kosovo", sottolinea Rada Trajkovic "adesso due o tre semianalfabeti possono creare un partito soltanto per provare che i serbi collaborano, così da avere accesso agli aiuti della cooperazione internazionale".
Tra i serbi del Kosovo è facile ascoltare forti critiche verso Slavisa Petkovic, unico rappresentante serbo nel governo del Kosovo, e si ha la percezione che goda di poco rispetto e di nessuna influenza. Secondo molti il suo ruolo è quello di simulare multietnicità, mentre l’intera comunità serba boicotta le istituzioni ad-interim del Kosovo. Secondo Milan Ivanovic, "Slavisa Petkovic è solo un avanzo di galera, che si dà da fare per far vedere al mondo che il Kosovo è multietnico". Anche Oliver Ivanovic è critico verso il ministro, "perchè ha un’immagine negativa tra i serbi del Kosovo". Secondo Milan Ivanovic "c’è una piccola percentuale di traditori in ogni popolo, pronta a tutto pur di raggiungere denaro e potere. Parlo del gruppo di Oliver Ivanovic, un’impostore che ha ottenuto appena lo 0,23% durante le ultime elezioni". Sempre secondo Milan Ivanovic, una parte dei serbi lavora negli interessi degli albanesi, e un’altra parte in quelli della comunità internazionale, che spesso non coincidono con quelli dei serbi. " La comunità internazionale appoggia questi utili fantocci, anche nella ricetta politica di Milosevic c’erano albanesi buoni e rispettabili".
Otto municipalità serbe oppure quindici?
Milan Ivanovic è critico sulla proposta avanzata da Oliver Ivanovic sulla decentralizzazione, che prevede solo otto municipalità serbe in Kosovo. "E’ inaccettabile e meschino", ha dichiarato Milan Ivanovic ad Osservatorio. Di fatto non solo Pristina e Belgrado hanno mappe completamente differenti riguardo alla decentralizzazione, anche le proposte dei leader serbi del Kosovo differiscono sostanzialmente l’una dall’altra. Oggi ci sono cinque municipalità a maggioranza serba in Kosovo, Leposavic, Zvecan, Zubin Potok, Novo Brdo, e Strpce. Il team di Belgrado a Vienna ha proposto la creazione di quindici municipalità, mentre i negoziatori di Pristina non vogliono che ne aumenti il numero.
Per adesso l’unico accordo tra le due delegazioni riguarda i criteri per creare municipalità a maggioranza serba, almeno cinquemila abitanti e il 70% di popolazione serba. Belgrado inoltre insiste per la creazione di municipalità per i turchi, i rom e i gorani. Secondo il piano di Oliver Ivanovic, le nuove municipalità da creare dovrebbero essere Mitrovica nord, Priruzja, Gracanica, Lipjan, Vrbovac, Partesh, Raniluk oltre all’allargamento della municipalità già esistente di Novo Brdo, che verrebbe unita a parti delle municipalità di Gnijlane e Kosovska Kamenica, per poter arrivare ad avere una popolazione di 11-12mila abitanti. Secondo Oliver Ivanovic ogni tentativo di riunire Mitrovica è senza senso. Nella sua visione Mitrovica nord sarà una municipalità con circa 21mila abitanti. Nella sua proposta dovrebbe essere creato un consiglio cosultivo tra il sud e il nord di Mitrovica, diretto da un rappresentante della comunità internazionale con un mandato di quattro anni. Al tempo stesso, secondo Oliver Ivanovic, è difficile prevedere l’unione di Mitrovica nord, un distretto di tipo urbano, con la municipalità prevalentemente rurale di Zvecan, che conta circa 14mila abitanti. "I serbi dovrebbero avere uno status separato" ha dichiarato a Osservatorio Oliver Ivanovic, "sono la seconda comunità etnica del Kosovo e non dovrebbero essere accumunati alle altre".
Nenad Radosavljevic è convinto che il ritorno dei serbi in Metohja sia fattibile, visto che ci sono molti campi liberi e la popolazione albanese non è molto numerosa. Secondo lui, le condizioni per l’agricoltura nel villaggio di Jercan sono migliori anche di quelle in Vojvodina. Nel villaggio di Osojane, non lontano da Pec/Peja, la terra è fertile, e i serbi sono tornati. Belgrado, però, ha supportato economicamente la ricostruzione di soltanto 64 case serbe, si lamenta Radosavljevic. Nelle sue parole, la prima condizione per portare avanti i negoziati di Vienna deve essere il ritorno della popolazione serba, anche se con un approccio pragmatico: il ritorno dei serbi è possibile solo nelle zone a maggioranza serba. "La proposta del Consiglio Nazionale Serbo prevedeva diciotto municipalità, ma alla fine la proposta di Belgrado di proporne quindici è stata accettata", ha detto ad Osservatorio Milan Ivanovic. Sulle mura centro sanitario di Mitrovica nord, di cui Ivanovic è il vice direttore, campeggiano un manifesto con la scritta "Kosovo, l’anima della Serbia", una croce ortodossa e tre poster dai colori della bandiera serba, rosso, bianco e blu. C’è anche una mappa del Kosovo con le agognate municipalità serbe, che occupano il 18-19% del territorio kossovaro. "Non si può negoziare su questo, non possiamo fare nessun passo indietro", sono queste secondo Ivanovic le direttive di Belgrado. "Anche Gazimestan dovrebbe essere una nostra municipalità, visto che lì si trovano i monumenti che ricordano la battaglia di Kosovo Polje. E’ parte dell’antica Serbia, centro dello stato medievale serbo e non possiamo cederlo". Al di là della questione territoriale, secondo Ivanovic il problema principale della comunità serba è la libertà di movimento, e la possibilità di raggiungere la Serbia senza problemi. Il problema non riguarda tanto i serbi che vivono nel nord, che confina direttamente col resto della Serbia. I serbi della Metohja avranno un punto di transito a Zubin Potok, mentre quelli dei villaggi del Kosovo centrale come Gracanica, Caglavica, Laplje selo saranno collegati alla Serbia via Novo Brdo. La cosa importante, secondo Ivanovic, è che ognuno di questi territori abbia una via di collegamento con la Serbia, e che non faccia parte di strutture nazionali totalmente albanesi.
Secondo Momcilo Trajkovic la Serbia dovrebbe creare un fondo speciale per il Kosovo, e supportare economicamente ogni famiglia serba che vive nella regione per un totale di 150 milioni di dollari all’anno. "I serbi del Kosovo hanno bisogno di fondi per lo sviluppo, e non solo per l’assistenza umanitaria. Il fondo che esiste oggi, e che è basato sulle donazioni, ha solo questo scopo, ma nessuno finanzia lo sviluppo di piccole e medie imprese", ha detto Trajkovic ad Osservatorio.
Attualmente lo stato serbo fornisce ai serbi che sono rimasti in Kosovo un aiuto economico, che si concretizza nel pagamento dei salari per chi lavora nel sistema sanitario, nel campo dell’istruzione e nelle amministrazioni locali delle aree serbe.
Questi salari sono più consistenti rispetto a quelli pagati in Serbia, ma i serbi del Kosovo non amano specificare l’ammontare specifico dei loro stipendi. Secondo Rada Trajkovic Belgrado dovrebbe sostenere i quattro pilastri della comunità serba del Kosovo, preti, insegnanti, dottori e amministratori locali. Al tempo stesso i serbi non dovrebbero essere pagati dall’UNMIK nel campo dell’educazione e della sanità, visto che questa istituzione non è in grado di risolvere i problemi fondamentali dei serbi del Kosovo.
Nel centro ambulatoriale di Gracanica, di cui Rada Trajkovic è la direttrice, lavorano attualmente 650 serbi. "In realtà avremmo bisogno di appena cento dipendenti, ma nel centro di Gracanica lavorano tutti i serbi cacciati e licenziati dagli ospedali di Pristina, Belgrado aiuta tutte queste persone, mentre l’UNMIK è pronto a pagare soltanto 70 stipendi. Questo creerebbe condizioni per la discriminazione e il conflitto tra di noi. Ecco perché i serbi di Gracanica non hanno bisogno dei soldi dell’UNMIK per l’ambulatorio", conclude Rada.
Quest’estate i serbi del Kosovo sembrano, se possibile, ancora più pessimisti sul proprio futuro. Molti hanno comprato case in Serbia, e sono pronti a fuggire da un Kosovo diventato indipendente. D’altra parte, però, sanno che non saranno i benvenuti. Ci sono già moltissimi rifugiati in Serbia, e un nuovo flusso di arrivi potrebbe destabilizzare il paese, e radicalizzare ancora di più la sua vita politica.
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