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Sejdiu, nessun accordo con la Serbia

Nessun accordo con la Serbia, indipendenza non negoziabile e da ottenere attraverso una stretta collaborazione con Usa e i principali attori dell’Ue. Un’intervista al presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu dopo il primo faccia a faccia di New York tra serbi e kosovari

15/10/2007, Alma Lama - Pristina

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Signor presidente, lei è di ritorno da New York, dove con la delegazione del Kosovo avete incontrato la rappresentanza serba. Quali sono i risultati di questo primo confronto?

L’incontro di New York era appunto il primo round dei negoziati promossi dalla cosiddetta "trojka". Come ci aspettavamo, si è capito che non è possibile giungere a qualche tipo di accordo, visto che si confrontano due concetti totalmente opposti: da una parte la nostra idea, che posso definire l’idea della nostra esistenza, quella della libertà e dell’indipendenza del Kosovo. Dall’ altra quella di mantenere il Kosovo sotto il governo serbo, figlia di una logica egemone nata nel XIX secolo, quando la Serbia pretendeva di essere l’asse intorno al quale dovevano muoversi tutti i paesi dell’Europa sud-orientale. Questa logica è ancora viva, e purtroppo continua a porre ostacoli anche oggi alla visione politica serba. Ecco perché non si può arrivare ad accordi in questi incontri, né a compromessi sui modelli che ci offrono.

Dalla Serbia alcune voci del mondo politico sono arrivate a minacciare il Kosovo anche con la guerra. Voi prendete seriamente queste minacce?

Queste minacce fanno parte di un arsenale retorico che da parte serba viene utilizzato spesso anche verso altri paesi o nei confronti della Nato. Allo stesso tempo da parte serba si continua ad investire in alcune organizzazioni che si definiscono non governative, ma che io sostengo essere strutture dell’ intelligence serba, civile o militare. Queste minacce non spaventano il Kosovo e i suoi cittadini. Noi abbiamo un visione molto chiara per il futuro, abbiamo un forte supporto internazionale e posso solo dire che il tempo della paura è finito per sempre.

Lei ritiene che la cosiddetta "Guardia di Car Lazar" sia organizzata dai servizi segreti serbi?

Sì, è possibile. Organizzazioni di questo tipo non vengono create da singoli individui, ma sono piuttosto messe in azione alla vigilia di eventi, basati su falsi miti. Con questi metodi, da parte serba, si cerca di mantenere viva, io credo invano, una forma di reazione, si vogliono presentare questi fenomeni come manifestazione dell’impazienza e del nervosismo della popolazione di fronte a possibili sviluppi della situazione.

A New York avete proposto alla Serbia un trattato di amicizia e collaborazione. Pensa che con questo passo, lo Unity Team sia andato oltre il mandato ricevuto dal parlamento, ma anche dal popolo, perdonare cioè i crimini di guerra compiuti dalla Serbia?

No, il trattato di amicizia e buon vicinato vuole essere un atto volto a stabilire una collaborazione nel futuro, ma non ha lo scopo di amnistiare i crimini del passato. Noi aspiriamo ad una cooperazione, nella convinzione che ci sia il bisogno di entrare in una nuova epoca. Allo stesso tempo, però, tutti coloro che si sono macchiati di crimini in Kosovo devono essere portati davanti alla giustizia internazionale o locale, oggi o domani. Sono crimini di cui lo stato serbo deve occuparsi e di cui deve prendersi la responsabilità. Noi vogliamo un rapporto nuovo nel senso di relazioni inter-statali. Chiedere perdono per i crimini commessi contro il popolo del Kosovo, per il genocidio e per le grandi sofferenze causate, dipende solo dalla coscienza dei serbi, ma loro non lo hanno ancora fatto.

Lei si aspetta che la Serbia chiederà perdono?

Non lo so se faranno nel prossimo futuro. Una cosa deve essere molto chiara: il Kosovo è stato la vittima, ha vissuto una situazione terribile, ma nonostante il peso di questo passato noi siamo pronti a dare un’ altra visione dei futuri rapporti con la Serbia. Se però la Serbia continuerà a non voler chiedere perdono al popolo del Kosovo, e vorrà continuare a giocare il ruolo del "Piemonte dei Balcani", sono sicuro che un giorno verrà giudicata per questo.

Come ha accolto la vostra proposta la delegazione serba?

Sono rimasti sorpresi, credo. Innanzitutto dalla filosofia della proposta che abbiamo presentato. Hanno insistito però nel non inserire questo trattato sulla tavola negoziale, sostenendo che i trattati ci possono sottoscrivere solamente tra stati sovrani.

E’ stato detto che la "trojka" non farà proposte durante questo round di negoziati, limitandosi a sostenere quelle provenienti dalle parti. C’è stato qualche tentativo da parte della "trojka" di imporre qualche tipo di idea o soluzione?

No, nessuno. C’è stata forse qualche dichiarazione male interpretata come quella del rappresentante dell’Ue, Wolfgang Ischinger. Durante i negoziati veri e propri, però, non abbiamo assistito a nessun atteggiamento teso ad imporre specifiche tesi o formule.

Cosa si aspetta di ottenere durante questo processo negoziale?

Noi abbiamo presentato la nostra visione, che prevede l’ indipendenza del Kosovo, e questa non è negoziabile. Aspettiamo solamente il riconoscimento da parte della comunità internazionale, che di fatto è molto vicino. Un secondo aspetto molto importante da garantire è l’integrità territoriale del Kosovo, mentre un’ulteriore questione centrale da definire è l’implementazione del piano Ahtisaari.

Ci sono state pressioni sullo Unity Team affinché l’applicazione del piano Ahtisaari cominci anche in assenza di precise garanzie sullo status?

No, non ce ne sono state. Più di ogni altra cosa contano la volontà e la decisione delle nostre istituzioni di preparare il pacchetto legislativo proposto da Ahtisaari nel momento in cui lo status verrà determinato. Questo è un impegno molto chiaro.

Esistono proposte di risolvere la questione dello status del Kosovo senza nominare esplicitamente la parola indipendenza. Lei accetterebbe una simile soluzione?

No, assolutamente no. L’ indipendenza è un concetto che troviamo esplicitamente anche nel pacchetto Ahtisari. All’inizio sarà un’ indipendenza sorvegliata, ma che realizzerà comunque una piena sovranità formale, paragonabile a quella di tutti gli altri paesi.

Cosa farà lo Unity Team dopo il 10 dicembre, quando il rapporto della "trojka" sarà consegnato nelle mani del segretario generale dell’Onu?

Ci sarà l’indipendenza, la cui realizzazione verrà ottenuta in collaborazione con i nostri partner internazionali. Noi coordineremo le nostre iniziative con loro, con i paesi amici del popolo del Kosovo, perché la collaborazione con questi paesi non ci serve soltanto per superare questo momento, per essere traghettati in un nuova epoca, ma ci servirà sicuramente anche in futuro. Il Kosovo, come altri paesi, non può pensare di essere autosufficiente sul piano internazionale.

Quindi non verrà fatto alcun passo senza l’approvazione degli Usa…

Porteremo avanti le nostre iniziative in modo ben coordinato.

Se gli Stati Uniti dovessero chiedere un ulteriore rinvio della soluzione dello status, quale sarà la vostra reazione?

Non voglio entrare nel campo delle possibilità ipotetiche. Siamo in un rapporto di profonda collaborazione con gli Stati Uniti e con i principali paesi dell’Unione Europea, le forze che guidano il processo. Non temiamo un rinvio all’infinito. D’altra parte, però, è importante capire che le procedure adottate possono prendere anche qualche giorno in più del previsto.

Non parliamo di un ritardo di giorni, ma di mesi, come succede nel corso dei negoziati in corso…

Non credo che succederà, non voglio speculare né parlare di varianti pessimistiche.

Ma potrebbe arrivare il momento in cui lo Unity Team possa dire, anche agli Usa, "adesso basta", e dichiarare unilateralmente l’ indipendenza?

Non esiste nessun piano di interrompere la collaborazione con gli Stati Uniti. Ripeto, stiamo collaborando molto strettamente, ed è molto importante essere chiari su questo concetto.

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