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Se non si può più emigrare

Inutile investire in Kosovo e nel suo sviluppo se poi si blocca la valvola di sfogo che è l’emigrazione e le rimesse dall’estero. Lo si afferma in un approfondimento a cura dell’ ‘European Stability Initiative’, di cui abbiamo tradotto l’introduzione

17/10/2006, Redazione -

Se-non-si-puo-piu-emigrare

Di European Stability Initiative, 18 settembre 2006 (titolo originale: "Cutting the lifeline. Migration, families and the future of Kosovo")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Caterina Brandmayr

Se c’è una certezza assoluta riguardo la situazione nel Kosovo del dopoguerra, è il fatto che la sua economia resta in piedi grazie alle rimesse degli emigrati. I politici kosovari sembrano essere convinti che la diaspora e la sua leggendaria generosità non solo continueranno ad aggiustare il bilancio dei conti finanziari dello stato, ma garantiranno un aiuto sociale per le famiglie ai margini della povertà così da sopperire alla mancanza di uno stato sociale.

Questo rapporto sostiene che i tempi stanno cambiando. Le rimesse si sono ridimensionate notevolmente dopo il picco nell’immediato dopoguerra, quando gran parte dei finanziamenti andava alla ricostruzione delle abitazioni in Kosovo. Il motivo è palese: dall’intervento NATO nel 1999, i flussi migratori hanno avuto un’inversione di rotta, con oltre 100.000 rifugiati kosovari albanesi obbligati a rientrare soprattutto dalla Germania. In aggiunta, è ormai impossibile sperare che questa migrazione verso l’estero continui, dal momento che le uniche persone a cui è permesso emigrare sono quelle che rientrano nel programma di riunificazione delle famiglie nei paesi ospitanti.

Un’immediata conseguenza è la drastica riduzione delle famiglie che ricevono regolarmente rimesse dall’estero: meno del 15%, secondo le stime attuali, e quasi sicuramente destinate a diminuire. Sta per svanire ciò che per anni è stata una fonte di salvezza per le zone rurali del Kosovo. Questo è il retaggio che il futuro Kosovo dovrà affrontare.

Questo rapporto presenta un messaggio sgradito ai paesi membri dell’Unione europea: è assolutamente incoerente investire centinaia di milioni di euro per stabilizzare il Kosovo, e al contempo impedire drasticamente qualsiasi migrazione futura. Per di più, è assurdo e incoerente che questo succeda nel caso di una società dai numeri ridotti come il Kosovo (meno di 2 milioni di abitanti) quando milioni di romeni, lettoni, bulgari o polacchi stanno trovando lavoro in varie parti dell’UE. Se l’Europa è davvero interessata a trovare una soluzione politica duratura per il Kosovo, dovrà garantire ai kosovari delle zone rurali la possibilità di trovare temporaneamente un lavoro all’estero. L’alternativa sarebbe quelle di mandare sempre più forze di polizia sul territorio per gestire una generazione di giovani frustrati e incattiviti.

Il rapporto si rivolge in modo critico anche ai politici kosovari. Migrazione e rimesse sono state per molto tempo un’ancora di salvezza, ma non hanno certo determinato uno sviluppo economico del paese. Hanno semplicemente sopperito alle mancanze della politica economica. Così facendo, hanno contribuito a mantenere un’istituzione tra le più antiche e conservatrici: il patriarcato. Nei villaggi, le grandi famiglie hanno resistito a 50 anni di socialismo, proteggendo la comunità albanese del Kosovo da istituzioni statali ostili o deboli. Purtroppo hanno anche rallentato lo sviluppo nelle zone rurali, trascurando notevolmente l’educazione dei giovani e determinando una mancanza di innovazione ed imprenditorialità. I tassi di occupazione ed educazione femminile sono i più bassi in Europa. Lasciando che queste zone del Kosovo dipendessero dalle rimesse dall’estero hanno permesso che si instaurasse un circolo vizioso di sottosviluppo.

Al giorno d’oggi, il patriarcato è enormemente sotto pressione. L’eccessiva crescita demografica nei villaggi e la frammentazione delle proprietà terriere sta mettendo in crisi la stessa agricoltura di sussistenza. I tassi di disoccupazione sono a livelli altissimi ed è difficile ottenere un lavoro stipendiato. Le famiglie non hanno più la possibilità di mandare i giovani a lavorare in Germania o in Svizzera. Con il progressivo ridursi delle rimesse, sempre più famiglie patriarcali stentano ad arrivare a fine mese.

Vista la crescente tensione, sembra non ci siano alternative alla disintegrazione del sistema del patriarcato, così come è già successo in situazioni simili nel resto dei Balcani. Le conseguenze per la società rurale sarebbero molto serie. Annientando il sistema della solidarietà famigliare, aumenterebbe la vulnerabilità e peggiorerebbero le condizioni dell’individuo. In aggiunta, la disgregazione della famiglia patriarcale potrebbe porre fine alla tradizionale passività delle regioni rurali, portando le discordie intrafamigliari nella sfera pubblica. Tutto questo è già successo altre volte nell’Europa sud-orientale.

Lo stato del Kosovo non può permettersi di rimanere assente nelle zone rurali. Dovrà individuare provvedimenti specifici, istituzioni e risorse per rispondere alla sempre più profonda crisi sociale nelle campagne, altrimenti ogni progetto di consolidamento dello stato fallirà. Se il governo non saprà reagire per tempo, si troverà a discutere un’agenda progressivamente determinata dalla rabbia dei suoi cittadini.

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