Scrivanie vuote
La crisi economica attanaglia la Romania. Per evitare il peggio, il governo ha deciso di licenziare in massa i dipendenti pubblici. Entro la fine dell’anno il numero dei licenziati toccherà i 14mila, ma si prevede che entro il 2014 saranno in 360mila ad essere obbligati a lasciare il posto di lavoro
La Romania dimostra di essere tra i paesi europei più colpiti della crisi economica mentre i segnali di un’eventuale ripresa sono drammaticamente lontani. Oltre 14mila dipendenti pubblici stanno per essere licenziati entro la fine dell’anno, e altre decine di migliaia del settore privato subiranno la stessa sorte.
Lo stato è a corto di fondi, che si riducono anche per le famiglie che da un giorno all’altro si trovano senza uno stipendio in casa. Il quadro economico è reso ancora più caotico e incontrollabile da una classe politica in aperta lotta in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 22 novembre.
Entrambi i partiti al governo, il Partito socialdemocratico (PSD) e il Partito democratico liberale (PDL) propongono un proprio candidato per la carica più alta dello stato. I socialdemocratici lanciano nella sfida il proprio presidente Mircea Geoana, attualmente presidente del Senato, mentre i democratici liberali appoggeranno l’attuale presidente Traian Băsescu, che però non ha ancora annunciato ufficialmente la propria intenzione di ricandidarsi per un secondo mandato.
Se tutti i giorni vengono ripetute assicurazioni sulla disponibilità di fondi per pagare stipendi e pensioni, in realtà tutti aspettano il Fondo monetario internazionale e la seconda tranche del prestito chiesto dalla Romania all’FMI per affrontare la crisi.
I politici devono invece fare sempre di più i conti con le promesse fatte, che nell’attuale congiuntura, con l’economia che sprofonda giorno dopo giorno in una recessione sempre più profonda, convincono sempre meno.
Se nel primo trimestre del 2009 l’economia si è contratta del 7,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nel secondo trimestre la dimuzione ha toccato l’8,8% e secondo l’Istituto nazionale di statistica la situazione peggiorerà fino alla fine dell’anno.
Per risparmiare ma anche per poter aumentare gli stipendi, il governo romeno ha trovato come unica soluzione la misura estrema del licenziamento collettivo. In un paese dove, secondo il presidente del Blocco nazionale sindacale Dumitru Costin, il 6% della popolazione lavora per lo stato (primo posto in Europa) le misure anti-crisi annunciate da Bucarest hanno seminato incertezza e disperazione.
Ben 14mila statali si troveranno quindi presto senza lavoro. E quelli risparmiati dalla decurtazione saranno obbligati a prendere dieci giorni di ferie non pagate entro la fine dell’anno. I sindacati annunciano battaglie legali, come spiega il presidente della Federazione "Spiru Haret", Gheorghe Isvoranu, secondo il quale gli statali quereleranno lo stato perché non vogliono prendere ferie obbligate non pagate, visto che non esiste alcuna base legale per portare avanti una simile misura.
Essendo il 2009 un anno elettorale, si procede con una certa cautela e i più importanti licenziamenti si prospettano per il 2010, quando si stima che rimarranno disoccupati circa 150mila lavoratori pubblici. Ma i licenziamenti in massa, a quanto pare, sono destinati a diventare la "normalità", e circa 360mila persone dovranno lasciare il settore pubblico entro il 2014.
Il primo ministro democratico liberale Emil Boc assicura che i licenziamenti seguiranno ad "un’analisi efficiente sul principio della competenza, ma si terrà conto anche della situazione familiare dei funzionari per non mandare a casa i membri della stessa famiglia". Non sono pochi però quelli che temono licenziamenti basati su criteri politici .
Le chance della Romania di uscire dalla crisi sono, secondo il presidente dell’Istituto Nazionale di Amministrazione presso il ministero dell’Interno Mircea Cosea, basate sul ritorno al "patriottismo economico, tramite il quale gli investitori romeni vengano portati in primo piano."
In un’intervista al quotidiano "Ziare", Cosea sostiene che la Romania è un paese di tipo coloniale, che lavora solo per altri mercati e non ha carattere di mercato nazionale. "Importiamo tutto quello che mangiamo, che vestiamo e trascuriamo le risorse che abbiamo, principalmente l’agricoltura." L’esperto è convinto che sarebbe proprio l’agricoltura il settore che potrebbe rilanciare le esportazioni romene. Cosea ritiene che la disoccupazione potrebbe toccare il picco del 10% (a luglio era intorno al 6,3%), e che il paese non entrerà nella zona euro prima del 2015, ma considera che non si corre il rischio di bancarotta, grazie soprattutto all’ombrello garantito dal prestito del FMI.
Il presidente Băsescu offre invece altri scenari. Per Băsescu la Romania uscirà dalla crisi sei mesi dopo che ne saranno venuti fuori i paesi trainanti dell’economia mondiale, come Stati Uniti o Germania. Ma, aggiunge poi il capo dello stato, "nulla sarà come prima ". La soluzione per uscire dalla crisi consiste secondo Băsescu nella continuità degli investimenti. "La Romania è estremamente dipendente dalla ripresa dei mercati esteri, non può uscire da sola dalla crisi". Băsescu si è anche pronunciato per una ristrutturazione amministrativa, con una riduzione dei funzionari pubblici del 20%, una misura ritenuta eccessiva da alcuni analisti.
Intanto tutte le categorie di salariati protestano o hanno in vista proteste contro la politica anti-crisi del governo Boc. Anche la legge unica che riguarda i salari desta preoccupazione soprattutto per i magistrati, che nel futuro dovranno incassare uno stipendio molto ridotto.
La crisi tocca tutti e le forze dell’ordine non fanno eccezione. Anzi. A causa della mancanza di fondi sempre più spesso i poliziotti romeni sono costretti a pagare di tasca propria la benzina, oppure usare biciclette e mezzi pubblici durante il servizio. E, come scrive la stampa romena, non pochi sono stati i casi in cui i poliziotti hanno trasferito detenuti con il tram o con l’autobus. La crisi manda i poliziotti in tram e i casi di rapina a mano armata raddoppiano. Se l’anno scorso nessuna banca era stata presa d’assalto, nel 2009 oltre 6 istituti bancari (tre banche e tre uffici di cambio) sono stati presi i mira dai criminali. I sociologi lanciano segnali di preoccupazione su una possibile esplosione del fenomeno.
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