Sava Šumanović, allievo parigino con il cuore in Vojvodina
Nella città di Šid, situata all’estremo sud-ovest della Vojvodina, si trovano la Galleria e la Casa Museo di Sava Šumanović (1896-1942), il più grande pittore serbo della prima metà del XX secolo. Un viaggio alla scoperta della vita e dell’opera di questo eccezionale artista
Se state viaggiando da Belgrado verso Zagabria, oppure in direzione opposta, la Galleria “Sava Šumanović” è un buon motivo per dirigervi con la vostra macchina verso Šid, o per scendere alla stazione ferroviaria di questa cittadina di confine tra Serbia e Croazia. Si tratta di una delle più importanti strutture museali in Serbia. Se nonostante tutte le indicazioni per la galleria vi perdete, non preoccupatevi: anche i bambini sapranno dirvi come arrivare a via San Sava. Gli abitanti vi consiglieranno di visitare anche la Casa Museo di Sava Šumanović, situata nei pressi della galleria, in una via che porta il nome del grande pittore. Già queste semplici, brevi conversazioni con gli abitanti di Šid vi rassicureranno sul fatto che i cartelli con la scritta “Benvenuti nella città di Sava Šumanović”, posti agli ingressi della città, non sono meri segni di benvenuto ai visitatori.
Un enorme patrimonio artistico lasciato in eredità alla città di Šid
Credo che una delle più grandi e profonde verità sull’arte sia il monito che ci invita a conoscere un artista e la sua visione del mondo soprattutto attraverso le sue opere. Ciononostante, ormai da anni visito volentieri le case-museo di scrittori, pittori, scultori in diversi paesi per il semplice motivo che spesso contengono alcune particolari testimonianze della vita e dell’opera dell’artista (Crnjanski diceva che da sempre lo incuriosiva conoscere anche la vita degli artisti).
La Casa Museo di Sava Šumanović è un edifico piano terra a pianta rettangolare di solida costruzione, originariamente destinato a ospitare una fabbrica di birra. All’inizio del XX secolo fu acquistato dal padre dell’artista, Milutin Šumanović, che lo adibì ad abitazione. L’esterno della casa non si differenzia molto da quello di simili edifici della stessa epoca – tutti caratterizzati da ricche decorazione esterne – a Sombor, Subotica, Novi Sad e in altre città della Vojvodina, ma anche in Slavonia e Ungheria meridionale. Sopra le tre finestre centrali ad arco semicircolare è scolpito l’anno di costruzione: 1867. In questa casa Sava Šumanović trascorse la sua giovinezza e l’ultimo e più fecondo periodo della sua vita. La casa, che il comune di Šid acquistò dagli eredi dell’artista, fu aperta al pubblico nel 1982.
Dieci anni dopo la morte del suo unico figlio, la madre del pittore, Persida Šumanović, donò alla città di Šid un patrimonio di inestimabile valore artistico. Durante la Seconda guerra mondiale Persida riuscì a salvare l’atelier e tutte le opere di suo figlio.
Nell’immediato dopoguerra, quando in Jugoslavia fu avviato il processo di nazionalizzazione dei beni privati, Persida riuscì a mantenere il possesso della casa di famiglia, che attualmente ospita la Casa Museo, e dopo aver regalato le opere di suo figlio alla città, le venne restituita la vecchia casa di famiglia, situata in via San Sava.
Anche oggi è difficile non rabbrividire di fronte alle parole di Persida Šumanović scritte nel contratto di donazione: “Ritenendo mio dovere come madre ed essere umano di rispettare il desiderio di mio figlio, lo realizzo oggi come un nostro obiettivo comune, regalando le opere di Sava alla sua città, che egli ha immortalato attraverso il suo amore, l’ha resa nota e famosa con i suoi dipinti. Dopo la tragica e improvvisa morte di mio figlio ho mantenuto vivo, come un’eredità, il suo desiderio, tante volte ripetuto, che la sua arte trovasse posto e venisse custodita nella nostra terra natia. Realizzando questo desiderio, sono convinta che l’eredità di mio figlio sarà accettata con profonda comprensione e amore sia dai cittadini di Šid sia dalle generazioni future”.
La casa in via San Sava, che Persida Šumanović lasciò in dono alla città insieme alle opere di suo figlio, fu ampliata e adattata ad uso espositivo trent’anni fa, e oggi la galleria occupa uno spazio di 600 metri quadri, dedicato alle opere di uno dei più importanti pittori serbi del XX secolo. Vesna Burojević, direttrice della galleria, sottolinea con orgoglio che questa struttura, grazie alla ricchezza del patrimonio artistico di cui dispone, è il principale punto di riferimento per lo studio della vita e delle opere di Sava Šumanović. La galleria custodisce la più grande collezione di opere di Šumanović, composta da 350 dipinti ad olio su tela e 67 schizzi realizzati in varie tecniche (matita, pastello, acquerello, tempera diluita), nonché numerosi documenti e materiali d’archivio.
La mia vita è trascorsa così
La mostra di Sava Šumanović organizzata nel 1939 nella nuova sede dell’Università di Belgrado (oggi sede della Facoltà di Lingue), alla quale furono esposte 410 opere, suscitò grande attenzione. Per l’occasione Sava scrisse un testo autobiografico che fu inserito nel catalogo della mostra.
“La mia vita è trascorsa così”, scrisse all’inizio di questo denudarsi di fronte a se stesso e agli altri. Questo testo autobiografico è un vero e proprio compendio di tutti i suoi sogni e scontri con la realtà, di tutte le cadute e ascese sperimentate durante le diverse fasi del suo percorso artistico e personale. C’è tutta la sua vita, come sul palmo di una mano: il trasferimento da Vinkovci, la sua città natale, a Šid; il periodo liceale trascorso a Zemun, dove scoprì la sua vocazione artistica e si iscrisse a un corso di pittura; il ritorno a Šid e la sorpresa del padre quando scoprì che Sava non aveva alcuna intenzione di diventare avvocato bensì pittore.
Ma tra la contrarietà del padre e l’appoggio della madre prevalse quest’ultimo: nel 1914 Sava si iscrisse alla Scuola superiore di arti e mestieri a Zagabria. Al primo anno frequentò la classe guidata dal professor Oton Iveković, poi passò alla classe del professor Klement Crnčić. Nella sua conquista del sapere Sava si ispirò ai vecchi maestri – Dürer, Michelangelo, Rembrandt – , continuando al contempo a richiamarsi e lasciarsi influenzare dall’impressionismo, che conobbe già a Zemun. Nel 1918, oltre alla partecipazione alla mostra finale degli studenti della sua generazione, tenne una mostra insieme al collega Bogumil Car, presentando alcune opere realizzate nello spirito secessionista, allora dominante. In quel periodo Sava si dedicò con entusiasmo alla realizzazione di illustrazioni per la rivista d’avanguardia Juriš [Assalto], fondata dal giovane poeta Antun Branko Šimić, lavorando anche come scenografo al Teatro nazionale di Zagabria. Nel 1920 tenne la sua seconda mostra a Zagabria, che ottenne recensioni positive da parte della critica.
Con i soldi ottenuti dalla vendita dei dipinti, e con un piccolo aiuto del padre, partì per Parigi. I pochi mesi che vi trascorse furono sufficienti affinché Parigi e la Francia rimanessero per sempre impressi nell’anima del giovane pittore (nessun pittore jugoslavo ha amato così tanto quella città e quel paese come Sava Šumanović). A Parigi frequentò lo studio di André Lhote e fu uno dei migliori allievi di questo grande maestro del costruttivismo e cubismo. A quel periodo risalgono alcuni dei più noti quadri di Šumanović realizzati nello spirito cubista, tra cui Mornar na molu [Il marinaio sul molo] e Skulptor u ateljeu [Lo scultore nello studio]. Tornato a Zagabria, vi rimase quattro anni, segnati dall’insoddisfazione per l’incomprensione della critica e del pubblico nei confronti del suo lavoro.
Nel 1925 si recò di nuovo a Parigi, rimanendo però sorpreso e deluso dal comportamento dell’amministrazione francese: con difficoltà ottenne un visto per un periodo di tempo limitato e per motivi di studio, con il divieto di vendere i suoi dipinti. Tornò nell’atelier di André Lhote; partecipò al Salon d’Automne del 1926; alcune importanti riviste d’arte scrissero con toni elogiativi dell’opera del giovane pittore jugoslavo. Al secondo periodo parigino risalgono alcuni dei quadri più celebri di Šumanović, tra cui Doručak na travi [Colazione sull’erba] e Pijani brod [Nave ubriaca]. Frequentava gli ambienti bohémien di Montparnasse, trascorrendo il tempo in compagnia di Modigliani e Picasso, ma lo angosciava l’incertezza riguardo alla possibilità di stabilirsi in modo permanente a Parigi. Consumato dall’ansia, nel 1928 decise di tornare a Šid, per recuperare le forze.
A Belgrado espose il ciclo di dipinti realizzati a Parigi e la mostra riscosse un grande successo di critica ma anche dal punto di vista economico. Il denaro ottenuto dalla vendita dei quadri gli permise di tornare a Parigi, per l’ultima volta. Non essendosi mai completamente ripreso, nel 1930 ebbe un esaurimento nervoso e, accompagnato dalla madre, ritornò in patria, dove venne ricoverato in una clinica di Belgrado.
Da allora, fino a quel fatale giorno di agosto del 1942, Šumanović si dedicò interamente alla pittura. A dominare i suoi quadri è la città di Šid: i paesaggi e le persone vicine all’artista. Questo fecondo periodo artistico fu coronato dalla grande mostra belgradese del 1939.
Šumanović, cittadino della Repubblica dei colori
Nella Casa Museo di Sava Šumanović, stando di fronte al cavalletto dell’artista, mi ha invaso una strana sensazione, diversa da quelle provate di fronte agli altri oggetti presenti nella casa. Mi è sembrato che sopra il cavalletto, come in uno scontro silenzioso, galleggiassero i raggi di luce e le ombre tenebrose.
Cominciamo da queste ultime. Parlano del 28 agosto 1942.
Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando la città di Šid fu inclusa nello Stato indipendente della Croazia, Šumanović decise di non firmare più i suoi quadri in segno di protesta contro il divieto dell’uso dell’alfabeto cirillico imposto dal regime ustascia. Venne arrestato all’alba di quel giorno di agosto e, insieme ad altre 150 persone, fu portato a Sremska Mitrovica. Dopo essere stati picchiati, tutti i prigionieri furono condannati a morte da un tribunale ustascia creato ad hoc. Le fosse erano già pronte. Sava, come tutti gli altri prigionieri [1], fu ucciso con un colpo d’arma da fuoco alla nuca nella notte tra il 29 e il 30 agosto nei pressi di un vecchio cimitero ortodosso.
Marija Demšar, un’esule slovena che trascorse il periodo della guerra nella casa della famiglia Šumanović, nelle sue Lettere da Šid [2], che inviava alla sua famiglia rimasta a Žiri in Slovenia, parla anche dell’ultimo giorno che il pittore trascorse nella sua casa. Quando le ombre tenebrose vennero a prenderlo, gli permisero (acconsentirono alla sua richiesta) di lavarsi, di prendere alcuni effetti personali e di baciare la mano alla madre. Persida Šumanović fece di tutto per salvare Sava, offrì se stessa in cambio della liberazione del figlio, bussò a tante porte, ma inutilmente. Per molti anni dopo la morte del figlio aveva continuato a rifare il suo letto e a mettere a tavola un piatto anche per lui, sempre nella stessa casa, dove nel 1937 morì suo marito e dove ricevette la visita di Tito (da lui sollecitata). Persida morì nel 1968 in profonda vecchiaia.
Marija Demšar ricorda come il Signore (così chiamava Sava) le avesse chiesto di posargli con un cesto pieno di uva sulla spalla. Gli fece da modella un paio di volte, così nacque un ciclo di quadri, rimasto incompiuto, intitolato Beračice [Raccoglitrici]. Quando le ombre tenebrose arrestarono l’artista, sul cavalletto c’era il suo ultimo quadro, ancora fresco, rappresentante una ragazza con un cesto.
Sava Šumanović lasciò dietro di se uno splendore coloristico che gli valse un posto nell’immaginaria ma tangibile Repubblica dei colori, dove gli artisti non si distinguono in base all’appartenenza nazionale bensì in base al loro potenziale coloristico. E le ombre tenebrose? Appartengono ormai al Regno del Buio, nonostante i loro successori stiano alzando la testa con sempre maggiore arroganza in tutti i Balcani.
Non sono bravo a dare consigli, lo so, pertanto sta voi a decidere se visitare prima la Galleria o la Casa Museo del grande pittore. Vi propongo invece due frammenti tratti dal summenzionato testo autobiografico di Sava Šumanović, scritto nel 1939.
….
[Nel 1925] il signor Dorić di Zagabria ho acquistato i miei dipinti per aiutarmi nel mio intento di recarmi a Parigi, e l’ufficio passaporti mi ha rilasciato il passaporto senza alcun problema, solo nel consolato francese erano duri. Mi hanno concesso un visto per un periodo di soli sei mesi, e non sono riuscito a convincerli a rilasciarmi un visto di ingresso ordinario. Ho citato la mia francofilia, la mia propaganda a favore della Francia, e infine il mio reddito abbastanza sicuro. È stato tutto inutile. Quelli che hanno intrapreso il viaggio qualche settimana più tardi non hanno riscontrato alcun problema, solo io che, spinto dal mio grande amore per la Francia, ero intenzionato a diventare un cittadino francese. […]
Ero venuto a Parigi per vivere alla mercé della polizia francese, con un permesso di soggiorno della durata di sei mesi, ed era solo l’inizio; poi i colloqui, il nervosismo durante il lavoro, l’incertezza sulla possibilità di rimanere a Parigi; poi mi è stato vietato di vendere i miei quadri, e alla fine ho ottenuto un permesso di soggiorno come “allievo”. Mi sono detto: se mi trattano così e mi hanno degradato allo status di allievo, mentre a ogni straniero che forse nemmeno ama la Francia concedono un permesso di soggiorno e offrono la cittadinanza, e danno spazio nelle loro collezioni alle opere fiacche e “antifrancesi”, va bene, studierò da loro, ma poi basta per sempre.
Dopo aver fatto chiarezza dentro di me ho abbandonato anche lo stile che avevo sviluppato a Parigi, basato sull’uso del chiaroscuro e del colore, per cui ho dovuto trovare un modo per rappresentare adeguatamente quella luce e quella limpidezza che caratterizzano il paesaggio dello Srem. È una terra limpida, chiara come nessun’altra terra che ho visto finora. Lì ho dovuto abbandonare “il tonalismo” ed esprimermi con i colori e con la luce. Quella terra dettava il mio modo di dipingere. Pertanto ho dovuto ricorrere all’uso della linea di contorno, soprattutto nei quadri raffiguranti il corpo umano e, invece di circondare i corpi con le superfici scure, ho cominciato a dipingerli come di solito si dipinge con toni scuri. Usando la linea di contorno riesco a rappresentare più facilmente il sole, nonché la luce forte. I motivi di questi quadri sono stati presi da diverse parti del territorio di Šid, e poi disposti così come li vedete su molti quadri, sempre simili tra di loro, così ho ottenuto un effetto di continuità che caratterizza questo ciclo di composizioni.
[1] Durante la razzia ustascia della tarda estate del 1942 furono uccise 6000 persone, perlopiù serbi, ma anche rom ed ebrei [2] Pisma iz Šida (Galerija “Sava Šumanović”, Šid, 2014), a cura di Vesna Burojević e Marija Stanonik, figlia dell’autrice delle lettere. Ispirandosi ai racconti della ragazza slovena e alle sue lettere in cui parla del pittore e degli anni della guerra trascorsi a Šid, nel 2014 il regista Nikola Lorencin ha realizzato un documentario intitolato “Slikar i beračica grožđa” [Il pittore e la raccoglitrice d’uva]
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