Sasha Seregina: protestare in Serbia contro l’invasione russa dell’Ucraina

Con l’invasione russa dell’Ucraina, una parte della società serba, tradizionalmente filo-russa, è scesa in piazza per protestare contro il Cremlino. Tra i primi manifestanti, molti cittadini russi, come Sasha Seregina, che abbiamo intervistato

 

15/06/2023, Francesco Martino - Belgrado

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Sasha Seregina, originaria di Samara, in Russia, vive e lavora in Serbia da più di dieci anni. Impegnata nel settore culturale, con l’invasione dell’Ucraina ordinata dal Cremlino ha deciso di attivarsi in prima persona per testimoniare la propria opposizione alle politiche del presidente Vladimir Putin e il proprio sostegno al popolo ucraino. Una decisione d’istinto che l’ha portata – insieme ad un gruppo formato inizialmente soprattutto da russi, ucraini e bielorussi, ma poi sempre di più da cittadini serbi – a creare dal basso un’organizzazione informale che ha unito alle proteste nelle strade di Belgrado e altre città del paese attività online e iniziative culturali per ricordare alla società serba la tragedia della guerra in Ucraina. L’abbiamo intervistata

Nel febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina. Lei come ha reagito a questo evento? Perché ha deciso di attivarsi?

Il 24 febbraio del 2022 è stato un giorno davvero tragico. Quella mattina mi ha svegliato un messaggio di un mio amico. Pur essendosi trattato di un messaggio molto breve, ho subito capito di cosa parlava, anche perché la tensione era molto alta per diversi mesi prima dell’invasione, quindi avevo un brutto presentimento riguardo all’intera vicenda. Per tutto il giorno ho fatto ricerche in rete cercando di capire se ci fosse qualche evento pubblico o protesta contro la guerra. Poi ho scoperto che quella sera era in programma un raduno davanti all’ambasciata russa e in Piazza della Repubblica, la principale piazza di Belgrado. Ero sicura di volerci partecipare, ma non avevo nessuno con cui andare, ero da sola.

Alla fine sono andata a quel raduno dove ho conosciuto molte persone perlopiù provenienti, come emerso in seguito, dalla Russia, dall’Ucraina e dalla Bielorussia, quindi da paesi maggiormente coinvolti nel conflitto. Naturalmente c’erano anche alcuni cittadini serbi. Ho avvertito un certo sollievo osservando tutte quelle persone radunate in quel luogo in quel preciso momento, anche se non eravamo in molti, al massimo qualche decina di persone.

Poi cos’è successo?

Abbiamo deciso di rimanere in contatto. Abbiamo intuito che non sarebbe stata una sfida facile, anche perché nella società serba hanno sempre prevalso i sentimenti filo-russi. Quindi, abbiamo deciso di stare insieme dando vita ad una piccola comunità di attivisti contro la guerra. Così abbiamo creato un gruppo Facebook, decidendo sin dall’inizio di pubblicare tutti i contenuti in lingua serba in modo da poter raggiungere il maggior numero possibile di persone. Il principale intento del gruppo era quello di informare il pubblico serbo su quanto stava accadendo, facendo riferimento ad alcune valide fonti russe, ucraine e bielorusse. Lo scopo ultimo era di scardinare la narrazione e la propaganda imperialista russa tuttora dominante in Serbia.

Quindi, sin dall’inizio, il gruppo Facebook era “il punto d’incontro” della vostra comunità?

Esatto. Prima di tutto, abbiamo creato un gruppo Facebook, aperto a tutti, gestito da pochi amministratori. Poi qualche mese dopo, abbiamo lanciato una pagina Facebook che in un certo senso è diventata il canale di comunicazione ufficiale del nostro gruppo. Successivamente, abbiamo aperto degli account anche su altri social, tra cui Instagram, Twitter e Telegram.

Come si sono evolute in seguito le attività del gruppo?

Attività e azioni offline, cioè “fisiche”, messe in atto nelle strade, sono rimaste il fulcro del nostro lavoro, insieme alla gestione degli account sui social, utilizzati anche per informare l’opinione pubblica. Dal 24 febbraio 2022 ad oggi abbiamo organizzato oltre trenta proteste e altre iniziative contro la guerra. Inizialmente, nei primi mesi dopo l’inizio dell’invasione, abbiamo organizzato una protesta contro la guerra ogni settimana, poi almeno una al mese.

Abbiamo lanciato anche vari eventi culturali, proiezioni cinematografiche, discussioni, iniziative umanitarie, i lunedì dedicati alla cucina ucraina, qualsiasi cosa che potesse coinvolgere i cittadini non solo dal punto di vista politico, ma anche a livello umano e culturale. Purtroppo, le persone si stanno abituando e sono sempre più stanche della guerra in Ucraina. Nel frattempo, anche il potenziale di mobilitazione è diminuito. Noi siamo ancora attivi sui social e portiamo avanti le nostre attività pacifiste. Cerchiamo di marcare ogni mese di guerra che passa: il 24 di ogni mese organizziamo qualche evento per ricordare che in Europa c’è ancora una guerra in corso.

Inizialmente, le persone che scendevano in strada per protestare erano perlopiù cittadini russi, ucraini e bielorussi residenti in Serbia. Questa dinamica è cambiata col tempo?

Sì. Circa i due terzi dei partecipanti alla prima protesta parlavano russo, quindi erano russi, ucraini e bielorussi. Allo stesso tempo però, anche molti cittadini serbi ci hanno detto che le nostre attività online erano molto importanti per loro come uno spazio di libertà dove potersi trovare, godere dell’essere parte di una comunità ed esprimere le proprie opinioni, che sono molto lontane dall’opinione prevalente nella società serba. Con il passare del tempo la situazione è evoluta e cambiata, tanto che oggi la maggior parte delle persone coinvolte nel nostro gruppo online, come anche i principali organizzatori della comunità, è di origine serba.

Il nostro gruppo vanta anche la partecipazione di molte persone provenienti da altri paesi della regione, tra cui la Bosnia Erzegovina e la Croazia, e per noi è un aspetto molto interessante e importante. In un certo senso il nostro gruppo pacifista non riguarda solo il conflitto in Ucraina, ma anche le complesse relazioni tra i paesi di una regione [quella ex jugoslava] ancora segnata dalle ferite delle guerre degli anni Novanta. I cittadini della regione percepiscono il nostro gruppo come un luogo sicuro dove poter comunicare e scambiare opinioni.

Prima ha menzionato che in Serbia c’è un sentimento, ossia una tradizione filo-russa di lunga data. Come definirebbe l’atteggiamento prevalente dell’opinione pubblica serba nei confronti delle vostre iniziative? Avete limitato il vostro impegno a Belgrado?

Le nostre attività si sono principalmente concentrate a Belgrado, ma abbiamo organizzato qualche iniziativa anche in altre città, come Novi Sad e Kruševac, coinvolgendo anche alcuni gruppi locali. Non è stato facile portare avanti queste iniziative, soprattutto nello spazio online, perché anche la nostra pagina e il nostro gruppo hanno subito numerosi attacchi, e abbiamo addirittura ricevuto mail e messaggio di minaccia. Col tempo simili pressioni sono diminuite, e ora solo di tanto in tanto riceviamo delle minacce.

Cosa pensa dell’atteggiamento delle autorità e del governo serbo?

Credo che l’atteggiamento dell’establishment nei nostri confronti possa essere sintetizzato nell’affermazione: “Non deve accadere alcuno scandalo”, quasi a voler dire: “esigiamo l’ordine e la quiete pubblica”. Sanno che, qualora gli attivisti pacifisti filo-ucraini dovessero essere apertamente aggrediti a Belgrado, sarebbe un grande scandalo, e quindi un problema per loro. Credo ne siano ben consapevoli. Se avessero voluto complicarci la vita, lo avrebbero già fatto. Quindi, penso che [tra gli attivisti e il potere] ci sia una sorta di fragile equilibrio.

E il resto della società civile serba? Si è dimostrata disposta a collaborare con voi?

In un primo momento ci siamo chiesti dove fosse scomparsa l’intera società civile, una domanda piuttosto scontata, soprattutto considerando che la maggior parte dei cittadini serbi, in un modo o nell’altro, ha appoggiato la guerra. Quindi, inizialmente siamo rimasti delusi del modo in cui la società civile ha reagito alla guerra in Ucraina. Sono stati soprattutto i singoli cittadini, anziché le organizzazioni, a reagire e sostenere la nostra protesta. Tuttavia, in tutti questi mesi abbiamo avuto un’ottima collaborazione anche con alcune organizzazioni della società civile, tra cui le Donne in Nero, l’Iniziativa dei giovani per i diritti umani, il Nuovo ottimismo, che hanno organizzato diversi eventi a sostegno dell’Ucraina. Quindi, non è che non ci sia stato alcun attivismo civico filo-ucraino. Però ad essere sincera, a suscitare la nostra preoccupazione è stato il fatto che la società civile ha reagito in modo molto meno intenso di quanto ci aspettassimo.

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Questo pomeriggio, dalle 15.00 alle 16.30, OBCT e CeSPI organizzano un seminario online nel contesto del progetto “Serbia e Bosnia Erzegovina, la guerra in Ucraina e i nuovi scenari di rischio nei Balcani occidentali” cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). 

Il seminario verrà tenuto in lingua inglese. A questo link, il modulo per potersi iscrivere e partecipare all’evento .

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