Sarajevo, sempre più stretta
All’indomani della pace di Dayton furono in molti i serbi a lasciare Sarajevo. Ora si parla di nuovo del rischio di un esodo di massa. Sicuramente un’esagerazione. Ma la comunità serba nella capitale bosniaca è in continua diminuzione
Di Predrag Popovic, Sarajevo – IWPR (Balkan Insight, 14 June 06)
Traduzione a cura di Gaia Baracetti, Osservatorio sui Balcani
Rappresentanti influenti della comunità serba di Sarajevo hanno smentito le affermazioni di politici della Republika Srpska (RS) secondo cui la loro comunità si starebbe preparando a lasciare presto la città; ma, numericamente in declino, con una situazione economica scoraggiante, e vittime di discriminazioni, i serbi di Sarajevo non sembrano avere prospettive molto rosee.
Il numero di serbi nella capitale è crollato da 160.000 negli anni ’90 a una cifra che si colloca tra i 20.000 e i 40.000 oggi. Non si sa il numero esatto perché dalla fine della guerra non c’è stato nessun censimento in Bosnia Erzegovina.
Durante l’assedio serbo degli anni novanta, i serbi furono vittime di violenze da parte dell’armata bosniaca, che attaccò, uccise e cacciò i serbi dalle proprie case. Alcuni calcolano centinaia di morti, ma la RS sostiene che siano in migliaia ad essere stati uccisi.
Sotto pressioni internazionali, il Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina ha acconsentito il mese scorso a formare una Commissione per la verità per Sarajevo, con il compito di svelare il vero numero di vittime tra tutti i gruppi etnici e la natura della loro morte.
Mentre i politici discutevano, alcuni dei media della RS hanno soffiato sulle fiamme con la pubblicazione di resoconti drammatici delle discriminazioni di cui sono vittime i serbi di Sarajevo, dichiarando che un esodo di massa è imminente.
Alcuni importanti serbi di Sarajevo, come Nenad Markovic, allenatore della squadra nazionale di basket, hanno ridicolizzato queste affermazioni. Markovic ha dichiarato di non aver nessuna intenzione di abbandonare la città in cui vive da quando aveva quattro anni.
"Qui ho frequentato l’asilo e le elementari, giocato nelle squadre giovanili di basket, incontrato il primo amore. Tutto", ha detto a Balkan Insight.
"Dopo tutto questo, non avrebbe senso andare a Belgrado o a Zagabria in cerca di fortuna solo perchè non sono un bosgnacco, un musulmano."
La decisione di Markovic di giocare per la squadra nazionale di basket durante l’assedio gli ha conquistato tanta ammirazione da parte dei bosgnacchi quanta antipatia da parte dei nazionalisti serbi.
"Quando vado a Bileca nella RS, mi insultano", ha raccontato. "Lo stesso succede a Banja Luka. Ma io cerco di far sentire ogni ospite a proprio agio a Sarajevo, e di impedire ai fan locali di insultarlo."
Il più grande esodo di serbi si verificò dopo che l’accordo di pace di Dayton del 1995 fissò i confini delle due nuove entità, la RS e la Federazione, lasciando la capitale a quest’ultima.
Nel febbraio e nel marzo del 1996, la maggior parte dei serbi seguì il consiglio dei leader del Partito Democratico Serbo (SDS), e si trasferì nella RS o in Serbia.
Alcuni di quelli che rimasero pensano ora che l’esodo non era necessario, e ne danno la colpa ai politici che lo incoraggiarono.
"Il più grande responsabile della pulizia etnica dei serbi da Sarajevo fu Momcilo Krajisnik un ex dirigente dell’SDS", ha dichiarato Veljko Droca, membro del Consiglio civico serbo della città.
"70.000 serbi abbandonarono le zone periferiche di Ilijas, Vogosca, Hadzici e Ilidza per colpa di Krajisnik. Dove andarono? A Srebrenica, Bratunac, nelle cantine e nei garage, o nelle case che erano dei bosgnacchi".
Srdjan Dizdarevic, presidente della sezione locale della Helsinki Committee for Human Rights, ha dichiarato che i serbi furono spinti ad andarsene sia da altri serbi che da bosgnacchi.
"Dopo che l’ex presidente bosgnacco della Bosnia Alija Izetbegovic disse che tutti quelli che non avevano armi durante la guerra potevano restare, si spaventarono tutti", ha detto a Balkan Insight. "Tutti sapevano che quelli che non erano scappati erano stati mobilitati per l’esercito".
Le statistiche ufficiali indicano che molti serbi sono poi tornati a Sarajevo.
Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati, UNHCR, al marzo di qeust’anno sono rientrati 81.820 serbi. Ma questa cifra trae in inganno, perché include coloro i quali sono tornati temporaneamente per mantere i diritti di usufrutto delle proprie case e appartamenti.
"Spesso salta fuori che invece di una famiglia intera è tornato un solo membro di quella famiglia", ha dichiarato a Balkan Insight Bakir Jalovic, il portavoce dell’UNHCR in Bosnia Erzegovina.
Secondo un sondaggio dell’Helsinki Committee i serbi sono più del dieci per cento della popolazione in solo due dei distretti municipali della città.
"La pulizia etnica è riuscita in Bosnia Erzegovina," ha commentato Dizdarevic.
Droca, del Consiglio civico serbo, ha affermato che il numero di serbi è destinato a calare ulteriormente, dal momento che molti dei serbi rimasti sono pensionati che hanno scelto di restare solo perché le pensioni della Federazione sono più alte di quelle dell’RS.
I serbi più giovani hanno poche speranze di trovare un impiego nella pubblica amministrazione, il principale datore di lavoro. Anche se per legge le istituzioni statali devono assumere una certa quota di serbi, bosgnacchi e croati, in proporzione al censimento del 1991, le regole in generale non vengono rispettate.
Secondo Dizdarevic, nell’amministrazione del distretto di Ilidza, che era 43 percento bosgnacco e 37 percento serbo prima della guerra, lavorano 256 bosgnacchi e solo 13 croati e 12 serbi.
"Il governo si nasconde dietro alle leggi, e si mostra riluttante a dare segnali di buona volontà", ha criticato Dizdarevic, aggiungendo che è soprattutto colpa dei partiti nazionalisti al potere.
"Ovunque essi dominino, si rifiutano di ascoltare le minoranze e i loro problemi. Ma quando sono loro a rappresentare una minoranza, allora si battono per il rispetto dei diritti umani."
Dato il tasso di disoccupazione di circa il 40 percento in Bosnia Erzegovina, la competizione per gli impieghi pubblici è intensissima, e i serbi sono in fondo alla fila.
Il caso di Dragojla Vukovic, un’infermiera, è emblematico. È disoccupata da tre anni e neanche il marito ha un lavoro.
"Voglio vivere a Sarajevo", ha detto, "e ho sentito che il cantone assumerà 150 infermieri, così spero di essere tra quelli". "Mi piacerebbe credere che non ci sono discriminazioni basate sulle differenze nazionali e religiose, ma non ne sono così sicura."
Milena e suo marito Ljubisa sono in una situazione simile. "Non c’è lavoro e non c’è vita qua per noi", ha detto Ljubisa, un avvocato. Quando la guerrà inizio, Ljubisa fu arruolato nella polizia, mentre Milena andò a vivere a Herceg Novi, in Montenegro, con i loro due figli piccoli. Ora sono tornati tutti nel loro vecchio appartamento a Ilidza ma la ricerca di un lavoro si è rivelata infruttosa.
"Vorrei andarmene ma non so dove", ha detto Ljubisa. "Abbiamo cercato di stabilirci in Montenegro, ma non ha funzionato. Ora faccio quello che posso ma non ho fortuna. Per noi serbi Sarajevo non è un posto in cui vivere."
Anche Milena ha studiato come avvocato e la sua storia è simile a quella del marito. "Ho fatto almeno cento domande, ma senza nessun risultato", si è lamentata. "La disoccupazione è alle stelle ma sembra anche che non ci vogliano per la nostra provenienza etnica. Nessuno ce l’ha detto in faccia ma le nostre domande sono state rifiutate per motivi irrilevanti". "Spero che cambi, per il bene dei nostri figli che stanno studiando e crescendo qui."
La tragica situazione economica della Bosnia Erzegovina e l’abbandono di Sarajevo da parte di molte aziende significa che i lavori nel settore privato scarseggiano. Inoltre i bosgnacchi espulsi dai serbi dalla Bosnia orientale tendono ad essere avvantaggiati.
Dizdarevic sostiene che il sentimento anti-serbo è molto pià nascosto e meno violento di quanto non lo fosse negli anni novanta, ma c’è ugualmente.
"Può anche trattarsi di tollerare gli abusi edilizi commessi dai bosgnacchi più di quelli commessi dai serbi", ha detto. "Ci sono degli incidenti ma si tratta soprattutto di graffiti scritti sui muri con lo spray".
Ljubica Zikic, una scrittrice che ha vinto un premio letterario in Bosnia Erzegovina per il suo romanzo "Immagini di un tempo disarticolato", sottolinea come spesso i posti di lavoro vengano assegnati a persone la cui unica qualifica è la loro attività patriottica durante la guerra.
Zikic, che lavora per la società educativa e letteraria serba Prosvjeta, ha detto di essere a conoscenza di un dirigente di una municipalità di Sarajevo a cui è stato dato il posto solo perché aveva rifornito l’edificio municipale di carbone durante l’assedio.
"Ci sono molti di questi casi,", ha aggiunto Zikic.
Dice che la sua assenza dalla città durante l’assedio, quando lei era in Slovenia e in Serbia, si è sempre ritorta contro di lei. Quando ha ricevuto il suo premio, i media l’hanno trascurata. "Ma ho vissuto qui per più di quarant’anni", ha protestato.
Ma non ci sono solo cattive notizie per i serbi di Sarajevo. Nonostante le difficoltà percepite dai vecchi abitanti della città, alcuni si sono trasferiti a Sarajevo dalla Serbia dopo la guerra, e si trovano bene. Una di questi è Dragana Erjavec, una giornalista che si è trasferita da Belgrado nel 2001 ed è rimasta a Sarajevo.
Si è resa conto che Sarajevo è una città dove si può divertire e rilassare. "Non sto dicendo che è meglio o peggio di Belgrado, ha solo uno stile di vita diverso", ha spiegato. Erjavec sostiene di non essere stata vittima di discriminazioni per il fatto di venire da Belgrado. "Al contrario, la gente a Sarajevo, nonostante le cose orribili che sono successe, ama Belgrado, e sono contenta che i giovani stiano ricostruento i legami tra le due città", ha continuato. "Per me la vita a Sarajevo è fantastica, e finché resta così, rimarrò qua."
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