Sarajevo, protestano i lavoratori
Al governo dell’entità della Federazione di Bosnia Erzegovina pressano per una riforma della legge sul lavoro. I sindacati però non ci stanno, e sono scesi in piazza a Sarajevo
Alcune migliaia di lavoratori hanno protestato ieri di fronte al parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina contro la riforma della Legge sul lavoro, attualmente in fase di approvazione. I manifestanti, provenienti da tutto il territorio dell’entità, hanno occupato la via davanti l’edificio per svariate ore. Pochi gli attimi di tensione: nel primo pomeriggio, i presenti hanno cercato di forzare il cordone di polizia per entrare direttamente nel Parlamento; per un po’ hanno anche cercato di bloccare il traffico a Skenderija, occupandone le strade. Nel complesso, però, la protesta non ha causato disordini, anche se i delegati alla Dom Naroda (la camera alta del parlamento dell’entità) sono stati costretti a lasciare l’edificio dalle uscite di sicurezza.
Ismet Bajramović, il presidente dell’Unione dei sindacati indipendenti di Bosnia Erzegovina, ha dichiarato che la lotta continua e ha invitato i lavoratori a nuove proteste. "Questa non è la fine della partita, siamo solo a metà tempo", scandisce un manifestante sulla cinquantina al megafono. "Dopo il voto della Camera dei popoli, il testo dovrà essere approvato anche dalla Camera dei rappresentanti". "Cosa faremo adesso?", s’interroga il vicepresidente dell’Unione, e presidente del Sindacato degli insegnanti dell’educazione elementare Selvedin Šatorović, mentre attorno a lui i manifestanti scemano per fare ritorno alle proprie case: "Tutto fa pensare che si andrà allo sciopero generale. Paralizzeremo la Federazione", ammonisce ai microfoni di Osservatorio.
Una legge controversa
Mentre al di fuori del Parlamento federale i lavoratori occupavano le strade e lanciavano ultimatum alle forze politiche, nella camera alta si approvava la riforma, con 28 voti a favore (su 47 totali, provenienti principalmente dai due principali partiti al governo nell’entità, l’SDA e l’HDZBiH) e 3 contrari, mentre alcune formazioni (Naša Stranka, SBBBiH, SDP e Demokratska Fronta) hanno scelto di lasciare l’aula per protesta.
"Questa legge sul lavoro è la più liberale in Europa", ha dichiarato il premier dell’entità, Fadil Novalić (SDA), che ne ha difeso i pregi sostenendo che "senza questa riforma, sarà impossibile garantire occupazione e creazione di nuovi posti di lavoro". Negli ultimi giorni il premier ha cercato un accordo con i sindacati, ma non è stato possibile trovare un compromesso. Questo perché, a detta del capo del governo dell’entità, "i sindacati non hanno chiesto altro che la sospensione della riforma".
Di una riforma del lavoro in Bosnia Erzegovina si parla già da qualche anno, nonostante finora non sia stato fatto alcun passo in avanti. Concretamente, essa verrebbe adottata con due leggi separate (una per la Federazione di Bosnia Erzegovina, una per la Republika Srpska) sotto gli auspici della Comunità internazionale, in particolare del FMI e dell’Unione europea, che proprio delle politiche sull’impiego e delle riforme sociali aveva fatto la chiave di una nuova iniziativa per l’integrazione della Bosnia Erzegovina, come scritto a suo tempo da Osservatorio.
In effetti in favore della nuova legge si è speso l’ambasciatore britannico in Bosnia Erzegovina, Edward Ferguson, il cui Paese era stato tra i promotori principali della svolta diplomatica di Bruxelles: "La riforma del lavoro favorirà la creazione di nuovi impieghi", dichiarava solo qualche giorno fa al Sarajevese Dnevni Avaz . "Si tratta di un significativo progresso volto alla stabilizzazione dell’economia, che consentirà al Paese di fare enormi passi in avanti sul percorso d’integrazione verso l’UE, e che offrirà maggiori opportunità professionali per i giovani".
A favore della nuova legge si è espresso anche il capo della delegazione dell’UE in Bosnia Erzegovina, Lars-Gunnar Wigemark: "La nuova normativa sarà decisamente migliore di quella attualmente in vigore, che risale agli anni di Tito. Dovremmo seriamente chiederci se vogliamo continuare a vivere nel passato, oppure se desideriamo qualcosa di più moderno", sono state le sue parole.
Secondo i sindacati di Federazione e Republika Srpska, tuttavia, la legge contiene molti punti estremamente controversi, che sono stati raccolti in un lungo elenco stilato da Radio Sarajevo : in primo luogo, renderà più semplice il licenziamento, per lavoratori in condizione di disabilità o per chi usufruisce di un permesso di malattia superiore ai sei mesi; l’estensione del limite massimo delle ore settimanali lavorative (comprese di straordinari) dalle attuali 48 alle 60; la fine di alcune agevolazioni normative (relative, per esempio, a un maggiore periodo di ferie) per i lavoratori minorenni; oppure la possibilità che un lavoratore sia destinato (per un massimo di 60 giorni annuali) a un lavoro non compreso tra le proprie mansioni contrattuali.
In generale, si tratta di una riforma che cerca di introdurre maggiori elementi di flessibilità nel mercato del lavoro bosniaco. La disposizione che ha generato la maggiore opposizione da parte dei sindacati è, ad ogni modo, la fine della contrattazione collettiva. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, infatti, i contratti di lavoro collettivi dovranno adattarsi alla nuova normativa, pena il loro decadimento. La legge ha ottenuto il sostegno delle rappresentanze degli imprenditori. Ma per i sindacati, sostenere che la nuova legge aiuterà l’impiego "è un’offesa all’intelligenza non solo dei lavoratori della Federacija, ma di ogni cittadino di Bosnia Erzegovina".
La protesta dei lavoratori dell’entità croato-musulmana ha incassato la solidarietà dei loro pari della Republika Srpska. La presidentessa dell’Unione dei sindacati della RS, Ranka Mišić, ieri era a Sarajevo per dare il proprio sostegno ai lavoratori della Federazione: "Solo uno stupido penserebbe che la nuova legge del lavoro abbia dei contenuti positivi", ha dichiarato. "Questa legge rasenta lo schiavismo", ha aggiunto, sostenendo che "se siamo qui a dimostrare sostegno ai lavoratori della Federazione è proprio perché anche Banja Luka ha l’ambizione di passare una riforma di questo tipo".
Il DF, un partito di opposizione e di governo
Incassato il placet della Camera dei popoli del parlamento della Federacija, la proposta di legge ora dovrà essere approvata anche dalla Camera dei rappresentanti. Può essere interessante, a questo proposito, fare alcune considerazioni politiche. Da mesi ormai la maggioranza che era stata trovata a marzo, basata su una Trojka SDA-HDZ-DF, scricchiola. Il Fronte Democratico ha lasciato ufficialmente il governo in giugno e ora l’entità non dispone di una maggioranza stabile (anche se sarebbe più corretto dire che la crisi politica, nella maggiore entità di Bosnia Erzegovina, dura ininterrottamente da almeno cinque anni).
Il Fronte Democratico aveva solennemente dichiarato che si sarebbe opposto alla legge sul lavoro. Ma, come è stato già detto in apertura, invece di votare contro il partito di Željko Komšić si è limitato ad abbandonare l’aula. Una soluzione tutto sommato di comodo, che permette al DF di stare nominalmente all’opposizione, senza però realmente ostacolare il governo.
Se HDZ e SDA disponevano dei voti necessari per imporre il disegno di legge alla camera dei popoli, tuttavia, essi non beneficiano di una maggioranza comparabile nella camera bassa. Difficile, però, credere che il DF si opporrà apertamente alla riforma, dopo che essa è stata pensata proprio per venire incontro alle richieste di Bruxelles e del Fondo Monetario Internazionale. Il Fronte Democratico è infatti ancora al governo a livello centrale, nonostante abbia lasciato la maggioranza della Federacija. E, in quanto membro della maggioranza statale, si è impegnato a proseguire sulla strada delle riforme. "Più che una legge sul lavoro, questa è una legge sullo schiavismo", è stata la reazione di uno degli esponenti più in vista del DF, Emir Suljagić, alle nostre domande in proposito. Ma sembra estremamente improbabile che il suo partito abbia intenzione di affondare una legge che pure, a parole, combatte.
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