Sarajevo: lettera aperta alla comunità internazionale
Nella primavera del 1992, i cittadini bosniaci organizzarono a Sarajevo la più grande manifestazione di sempre contro i partiti nazionalisti. Furono zittiti dai cecchini. Questa volta, il mondo dovrebbe ascoltarli. Lettera aperta di 130 accademici e ricercatori sulla situazione in Bosnia Erzegovina
Da più di vent’anni la comunità internazionale legge ed interpreta lo scenario politico della Bosnia Erzegovina quasi esclusivamente facendo ricorso a chiavi di lettura etniche, nonostante il fatto che molta letteratura accademica abbia sistematicamente messo in guardia contro le semplificazioni etno-politiche e la pericolosa tendenza ad assecondare le élite etno-nazionaliste.
La guerra, e la pace che ne è seguita, entrambe supervisionate ("aiutate ed istigate", per usare la terminologia del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia) dalla comunità internazionale, non hanno fatto altro che rafforzare la partitocrazia etno-nazionalista che, protetta dalla paura di nuove guerre e altra violenza, ha continuato ad arricchirsi in un paese dove la disoccupazione giovanile sfiora il 57%.
Non è una coincidenza che l’epicentro delle recenti proteste sia stato Tuzla, città operaia che si oppose alle tendenze etno-nazionaliste anche durante la guerra. Le manifestazioni di questi giorni riflettono anche una profonda delusione per il partito socialdemocratico che ha vinto le elezioni nel 2010 e che da allora ha dilapidato il suo capitale politico comportandosi in un modo non molto diverso dai partiti etno-nazionalisti. I manifestanti stanno dunque esprimendo disappunto per l’assenza di alternative politiche e per il fatto che nessun partito sembra capace di affrontare i problemi economici e sociali.
I primi giorni delle proteste sono stati rovinati dalla violenza, dalla repressione della polizia, ma anche da una forte manipolazione politica e mediatica. I manifestanti sono stati criminalizzati, le loro richieste ridicolizzate, politicizzate e manipolate, e le teorie cospirative, con una prevedibile prospettiva etnica, sono proliferate. Nonostante questo, i risultati delle proteste iniziali sono stati notevoli. Le manifestazioni si sono rapidamente diffuse e hanno portato alle dimissioni di politici locali in molti cantoni e municipalità. Assemblee di cittadini sono state organizzate città dopo città in tutta la Federazione. Le richieste dei manifestanti, per quanto leggermente diverse da comunità a comunità, si sono concentrate su temi quali il lavoro, le pensioni, la sanità, la confisca delle proprietà illegalmente ottenute e la formazione di governi non-etnici e, in alcuni casi, tecnici. In nessun luogo le rivendicazioni sono state avanzate in chiave etnica, religiosa o lungo le altre linee divisive che caratterizzano la Bosnia Erzegovina nel tenace stereotipo ancora vivo a livello internazionale.
Fino ad ora la risposta della comunità internazionale alle proteste bosniache è stata muta, confusa e inopportuna. L’Alto Rappresentante Valentin Inzko, in un’intervista al quotidiano austriaco “Kurier”, ha dichiarato che "se la situazione si aggrava, potremmo essere costretti a pensare all’invio di truppe da parte dell’Unione europea” (“Wenn die Lage eskaliert, werden wir eventuell an EU-Truppen denken müssen.”). Quando più tardi Inzko ha ritrattato le sue parole, gli infelici parallelismi con l’occupazione asburgica della Bosnia (1978-1914) erano già stati evocati ed il danno già fatto. Così i manifestanti bosniaci hanno aggiunto le dimissioni dell’Alto Rappresentante alla lista delle loro richieste.
I politici europei – da Catherine Ashton a Carl Bildt – hanno rilasciato vaghe dichiarazioni in difesa del diritto dei cittadini a manifestare ed unirsi in assemblea, chiedendo trasparenza nei negoziati tra i manifestanti ed i rappresentanti del governo, e condannando la violenza. Considerata la dichiarazione di non-impegno dell’ambasciata degli Stati Uniti a Sarajevo, è probabile che gli USA lasceranno all’Europa la gestione delle proteste e le eventuali ricadute politiche.
Ma questo non è il momento né di disimpegnarsi, né di intervenire con parole avventate.
Questo è il tempo di riflettere ed agire sulle conseguenze di anni in cui l’ingiustizia economica si accumulava e la disuguaglianza veniva ignorata, e di riconoscere finalmente che non si tratta di questioni "etniche".
Come accademici ed esperti della regione, chiediamo ai rappresentanti della comunità internazionale di dire addio alle élite cleptocratiche ed etno-nazionaliste ed alle istituzioni che esse hanno creato.
Ai paesi vicini, a vario titolo istigatori della guerra, va consigliato di astenersi da qualsiasi interferenza in Bosnia Erzegovina, in un momento in cui le etnocrazie che essi sostengono stanno fronteggiando una grande sfida dal basso.
Chiediamo alla comunità internazionale di riconoscere i Plenum civici e le assemblee come legittime espressioni della volontà politica dei cittadini bosniaci che non cercano di rimpiazzare, ma di rafforzare la democrazia. Le elezioni non sono l’unico strumento della pratica politica. Dopo aver ripetuto ai bosniaci di prendersi carico del destino del proprio paese, la comunità internazionale dovrebbe adesso assicurare il proprio sostegno ai manifestanti e prendere seriamente in considerazione le loro richieste.
Nella primavera del 1992, i cittadini bosniaci organizzarono a Sarajevo la più grande manifestazione di sempre contro tutti i partiti nazionalisti. Furono zittiti dai cecchini, e da allora le loro voci sono state ignorate dalla comunità internazionale. Questa volta il mondo dovrebbe ascoltarle.
Firmatari:
Aida A. Hozić, University of Florida, United States; Florian Bieber, University of Graz, Austria; Eric Gordy, University College London, United Kingdom; Chip Gagnon, Ithaca College, United State; Eldar Sarajlić, Central European University, Hungary; Tanya Domi, Columbia University, United State; Tanja Petrović, Research Center of the Slovenian Academy of Sciences and Arts, Slovenia; Ana Dević, Fatih University, Turkey; András Bozóki, Central European University, Hungary; Jo Shaw, Edinburgh University, Scotland/United Kingdom; Jasmin Mujanović, York University, Canada; Valerie Bunce, Cornell University, United States; Konstantin Kilibarda, York University, Canada; Aleksandra Miličević, University of North Florida, United States; Emel Akcali, Central European University, Hungary; Olimpija Hristova Zaevska, Balkan Institute for Faith and Culture, Macedonia; Jana Baćević, Aarhus University, Denmark; Jelena Vasiljević, University of Belgrade, Serbia; Michael Bernhard, University of Florida, United States; Tea Temim, NASA/University of Maryland, United State; Jasmina Opardija-Susnjar, University of Fribourg, Germany; Julianne Funk, Centre for Research on Peace and Development, KU Leuven, Belgium; Hanns Schneider, former researcher at University of Jena, Germany; William Risch, Georgia College, United States; Kiril Avramov, New Bulgarian University in Sofia, Bulgaria; Tom Junes, German Historical Institute in Warsaw, Poland; Tibor T. Meszmann, Working Group on Public Sociology “Helyzet” Budapest, Hungary; Béla Greskovits, Central European University, Hungary; Hilde Katrine Haug, University of Oslo, Norway and Harriman Institute, Columbia University; Armina Galijaš, University of Graz, Austria; Zoltan Dujisin, Columbia University, United States; Heleen Touquet, University of Leuven, Belgium; Amila Buturović, York University, Canada; Margareta Kern, artist, London, United Kingdom; Catherine Baker, University of Hull, United Kingdom; Adriana Zaharijević, University of Belgrade; Maja Lovrenović, VU Universiteit Amsterdam, The Netherlands; Marko Prelec, Balkans Policy Research Group, Pristina, Kosovo; Claudiu Tufiș, University of Bucharest, Romania; Gal Kirn, Humboldt Universität zu Berlin, Germany; Keziah Conrad, University of California, Los Angeles, United States; Jarrett Blaustein, Aberystwyth University, United Kingdom; Igor Štiks, University of Edinburgh, Scotland/United Kingdom; Rossen Djagalov, Koç University, Turkey; Paul Stubbs, Institute for Economics, Zagreb, Croatia; Davor Marko, University of Belgrade, Serbia; Ljubica Spaskovska, University of Exeter, United Kingdom; Christian Axboe Nielsen, Aarhus University; Andrej Grubačić, California Institute of Integral Studies, United States; Wendy Bracewell, University College London, United Kingdom; Zhidas Daskalovski, University of Bitola, Macedonia; Nicole Lindstrom, University of York, United Kingdom; Hristina Cipusheva, South East European University, Republic of Macedonia; Marina Antić, University of Pittsburgh, United States; Alen Kristić, University of Graz, Austria; Julija Sardelić, University of Edinburgh, Scotland/United Kingdom; Lara J. Nettelfield, Royal Holloway, University of London, United Kingdom; Ivana Krstanović, Faculty of Philosophy, University of Sarajevo; Danijela Majstorović, University of Banja Luka, Bosnia and Herzegovina; Zoran Vučkovac, University of Alberta, Canada; Elissa Helms, Central European University, Hungary; Harun, Buljina, Columbia University, United States; Igor Cvejić, Institut za filozofiju i društvenu teoriju Beograd, Serbia; Slavoj Žižek, Birkbeck Institute for the Humanities, United Kingdom; Nataša Bek, Josip Juraj Strossmayer University of Osijek, Croatia; Sladjana Lazić, Norwegian University of Science and Technology, Norway; Katarina Peović Vuković, Faculty of Philosophy, Rijeka, Croatia; Artan Sadiku, Institute of social sciences and humanities – Skopje, Macedonia; Peter Vermeersch, University of Leuven, Belgium; Roland Schmidt, Central European University, Hungary; Spyros A. Sofos, CMES, Lund University, Sweden; Vedran Horvat, Heinrich Böll Stiftung, Croatia; Franjo Ninic, University of Muenster, Germany; Adam Fagan, Queen Mary University of London, United Kingdom; Soeren Keil, Canterbury Christ Church University, United Kingdom; Esad Boskailo, University of Arizona, United States; Biljana Đorđević, Faculty of Political Sciences, University of Belgrade; Amra Pandžo, Udruženje MALI KORACI Sarajevo; Malte Frye, University of Muenster, Germany; Vanja Lastro, Rice University Houston, United States; Srđan Dvornik, independent analyst and consultant, Zagreb, Croatia; Goran Ilik, University of Bitola, Macedonia; Nikola G. Petrovski, University of Bitola, Macedonia; Nicholas J. Kiersey, Ohio University, United States; Roska Vrgova, UG “Zasto ne,” Bosnia and Herzegovina; Kiril Nestorovski, Habitat for Humanity, Macedonia; James Robertson, History, New York University, United States; Ellen Elias-Bursać, Literary Translator and Independent Scholar, United States; Antje Postema, University of Chicago, United States; Ronelle Alexander, University of California, Berkeley, United States; Zdenko Mandusić, University of Chicago, United States; Grace E. Fielder, University of Arizona, United States; Jennifer H Zoble, New York University, United States; Wayles Browne, Cornell University, United States; Holly Case, Cornell University, United States; Cynthia Simmons, Boston College, United States; Panagiotis Sotiris, University of the Aegean; Anna Selmeczi, University of the Western Cape, South Africa; Gezim Krasniqi, University of Edinburgh, Scotland/United Kingdom; Azra Hromadžić, Syracuse University, United States; Lejla Sokolović Indjić, University of Bergen, Norway; Marko Attila Hoare, Kingston University, United Kingdom; Anton Markoč, Central European University, Hungary; Boštjan Videmšek, journalist, DELO, Slovenia; Karla Koutkova, Central European University, Hungary; Luca J. Uberti, University of Otago, Dunedin, New Zealanl; András Riedlmayer, Harvard University, United States; Jeffrey B Spurr, Independent Scholar and member of editorial board of CultureShutdown; Suzana Vuljević, History, Columbia University, United States; Michael D. Kennedy, Brown University, United States; Jennifer Dickinson, University of Vermont, United States; Arlind Qori, University of Tirana, Albania; Chiara Bonfiglioli, University of Edinburgh, Scotland/United Kingdom; Sarah Wagner, George Washington University, United States; Safia Swimelar, Elon University, United States; Adnan Dzumhur, University of North Carolina, United States; Nirvana Pistoljevic, Columbia University, United States; Anej Korsika, Initiative for Democratic Socialism, Slovenia; Dejan Stjepanović, University of Edinburgh, Scotland/United Kingdom; Igor Jovanoski, South East European University, Macedonia; Tamara Vukov, Université de Montréal, Canada; Anna Selmeczi, University of the Western Cape, South Africa; Biljana Kotevska, CRPRC Studiorum, Macedonia; Rory Archer, University of Graz, Austria;Saša Pavlović, Music artist and former journalist, Macedonia; Goran Janev, Institute for Sociological, Political and Juridical Research, Macedonia; Armina Galijaš, University of Graz, Austria; Nina Caspersen, Department of Politics, University of York; Lucian-Dumitru Dirdala, Mihail Kogalniceanu University, Romania; Bojan Baća, York University, Canada; Mary N Taylor Graduate Centre of the City University of New York, United States; Mariya Ivancheva Independent scholar and member of the editorial board of LeftEast, Bulgaria; Volodymyr Ishchenko Centre for Society Research, Ukraine; Agon Hamza, Research Centre of the Slovenian Academy of Sciences, Ljubljana.
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