Sarajevo, la messa per Bleiburg
Il 16 maggio si è tenuta nella capitale della Bosnia Erzegovina una messa, officiata dal cardinale Vinko Puljić, per la commemorazione delle vittime del massacro di Bleiburg. Centinaia di sarajevesi sono scesi in piazza in nome dell’antifascismo e per denunciare la commistione tra chiesa e politica
Un’immagine dice più di mille parole. Sabato 16 maggio a Sarajevo si sono svolte contemporaneamente due manifestazioni di segno opposto. Nella cattedrale di Sarajevo si è tenuta una messa, celebrata dal cardinale Vinko Puljić, in onore delle vittime del cosiddetto Križni put [Via crucis] e del massacro di Bleiburg, avvenuto nel maggio 1945. Dopo che il commando dell’esercito britannico, stanziato in Cariniza, aveva consegnato alle forze partigiane quello che rimaneva dell’esercito dello Stato indipendente di Croazia (NDH), uno stato fantoccio filonazista, i partigiani giustiziarono, senza alcun processo, i soldati dell’esercito nemico e i civili che li avevano seguiti nella loro ritirata.
La maggior parte delle vittime – di cui circa un terzo civili, comprese donne e bambini – erano croati. Insieme a loro c’erano anche molti membri delle formazioni cetniche e musulmane che avevano collaborato con le forze dell’Asse.
Probabilmente non si saprà mai il vero numero delle vittime degli eventi accaduti in quell’area alla fine della Seconda guerra mondiale, e questo soprattutto per via di manipolazioni politiche: la Gran Bretagna e la Jugoslavia socialista tennero scrupolosamente nascosto il crimine commesso, mentre la Croazia indipendente ha perlopiù cercato di gonfiare il numero dei morti. Tuttavia, le cifre più accettate a livello internazionale parlano di circa 50.000 croati uccisi, 10.000 sloveni, circa 5.000 musulmani bosniaci e 2.500 cetnici serbi e montenegrini.
Ogni crimine va condannato, senza però dimenticare che le persone uccise a Bleiburg erano membri e simpatizzanti delle forze che hanno perso la guerra. Ogni interpretazione della storia dalla prospettiva attuale risulta però manchevole, perché gli eventi del passato vengono giudicati solo alla luce del presente.
A partire dal 1991, la leadership della Repubblica di Croazia, ovvero l’Unione democratica croata (HDZ), ha cercato di trasformare la tragedia di Bleiburg in uno dei principali eventi della recente storia croata che renderebbe assolutamente legittima la creazione del nuovo stato croato.
A Bleiburg prima fu eretto un monumento per commemorare l’accaduto; poi con il passare degli anni, il rituale di commemorazione delle vittime è andato sempre più radicalizzandosi, fino a trasformarsi in una grande sagra dove si arrostiscono agnelli allo spiedo, si bevono grandi quantità di alcol, si fa il saluto romano con il braccio destro sollevato.
Anno dopo anno, i neo-ustascia in costume hanno destato sempre maggiore sconcerto tra gli austriaci. Negli ultimi anni la polizia austriaca ha cominciato a sanzionare i partecipanti alla cerimonia di Bleiburg per l’uso dell’iconografia ustascia, alcuni partecipanti sono stati arrestati, e le richieste di vietare la manifestazione – che è tutto tranne che una dignitosa commemorazione delle vittime – sono diventate sempre più insistenti.
Sembra che quest’anno gli austriaci non vedessero l’ora di sfruttare la pandemia di coronavirus per vietare la visita di delegazioni croate, ufficiali e non ufficiali, a Bleiburg.
Da quando l’HDZ ha ottenuto nuovamente la maggioranza parlamentare, il parlamento croato è venuto incontro a varie richieste dei populisti di destra. Nonostante il Partito socialdemocratico (SDP) avesse tolto il patrocinio alla commemorazione di Bleiburg, su "richiesta" di un’associazione piuttosto oscura denominata “Počasni Bleiburški vod” [Plotone d’onore di Bleiburg], l’HDZ lo ha reintrodotto. La Conferenza episcopale croata ha quindi approfittato dell’attuale situazione per liberarsi dallo spiacevole fardello del lascito nazista (ustascia), decidendo di organizzare la messa di commemorazione delle vittime di Bleiburg nella cattedrale di Sarajevo. E il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna, ha accolto ben volentieri tale idea.
In Bosnia Erzegovina i partiti nazionalisti e le comunità religiose vivono in simbiosi: quando la popolarità dei partiti di destra comincia a diminuire, arriva il clero e si schiera dalla loro parte, contribuendo così a deteriorare i rapporti, già fragili, tra diversi gruppi nazionali e a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali che soffocano questo paese, ovvero dalla criminalità e corruzione che sono diventate una prassi consolidata durante la transizione, una prassi con cui la destra nazionalista ha reso praticamente insopportabile la vita dei cittadini bosniaci.
Anche questa volta il copione si è ripetuto, suscitando però un certo malcontento tra i cittadini che, pur essendo ormai apatici e troppo abituati alla quotidianità, hanno reagito. Alcune associazioni hanno organizzato una marcia per le strade di Sarajevo in onore di tutte le vittime della Seconda guerra mondiale e una manifestazione di protesta contro la messa di commemorazione delle vittime di Bleiburg celebrata nella cattedrale di Sarajevo.
Secondo quanto riportato dai media, circa 3500 sarajevesi sono scesi in strada per protestare. A dire il vero, la protesta non è stata chiaramente articolata. I manifestanti portavano simboli socialisti, compresa la stella rossa a cinque punte, e fotografie di Tito, indossavano magliette rosse e cantavano canzoni rivoluzionarie.
Contemporaneamente, un ingente dispiegamento di forze dell’ordine ha garantito la sicurezza della cattedrale, dove il cardinale Puljić ha tenuto la messa commemorativa, una vera e propria danza macabra. Alla messa hanno partecipato solo alcuni funzionari dell’HDZ, l’ambasciatore croato a Sarajevo Ivan Sabolić e alcuni sacerdoti e suore. In realtà si è trattato di un comizio elettorale, durante il quale il cardinale ha mostrato l’essenza del suo operato politico degli ultimi trent’anni: mettendo la Chiesa cattolica al servizio dell’HDZ, Puljić ha contribuito indirettamente all’esodo dei croati da Sarajevo – oggi nella capitale bosniaca vivono pochissimi croati, probabilmente non sono mai stati così pochi – , al contempo agendo a favore del partito che gode del sostegno della maggioranza parlamentare nella vicina Croazia. Pur invocando formalmente perdono e riconciliazione, Puljić ha contribuito ad approfondire il divario tra i gruppi etnonazionali in Bosnia Erzegovina. Così facendo ha reso più difficile la posizione di quei pochi credenti cattolici che considerano la chiesa come una sorgente di forza spirituale, anziché una piattaforma politica.
Durante la messa celebrata nella cattedrale di Sarajevo, il cardinale Puljić ha tra l’altro affermato: "Nessuno ha il diritto di ignorare queste vittime, per le quali oggi preghiamo. Noi cristiani crediamo nella vita eterna e nella risurrezione dei morti. Con questa fede preghiamo e rendiamo il dovuto rispetto ai resti mortali di tutte le vittime. Allo stesso modo, nessuno ha il diritto di toccare le ferite di quelli che soffrono per la perdita dei propri cari. Nessuno ha il diritto di offendere le vittime di quelli che hanno lasciato parti del proprio corpo in questa terra. Questa terra che chiamiamo Patria è dedicata alle tante vittime. Se non siamo in grado di rispettarle, allora in noi non c’è alcuna dignità, né umana né religiosa né nazionale. Con questo non voglio suscitare astio né odio, e tanto meno una vendetta. Voglio, tuttavia, dire chiaramente che il vero dialogo che porta alla riconciliazione si basa sull’accettazione della verità. Papa Benedetto XVI ne ha parlato così: ‘Difendere la verità, esporla con umiltà e convinzione e testimoniarla con la propria vita sono forme esigenti e insostituibili di amore che si rallegra della verità’”.
L’operato del cardinale Puljić è opposto, nella sua sostanza, anche a tutto quello che predica Papa Francesco. Nascondendo i casi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, compiendo azioni retrograde, soffocando voci alternative di quelli che mettono in luce i legami tra la Chiesa e il radicalismo di destra e l’ideologia dell’NDH, il cardinale sta perdendo la terra sotto i piedi.
In questo momento in Bosnia Erzegovina le comunità religiose sono al di sopra dello stato. Lo ha dimostrato anche la messa per le vittime di Bleiburg tenutasi a Sarajevo. Il fatto però che la messa si sia svolta praticamente senza fedeli e che sia stata accompagnata da proteste, fatto che ha sicuramente suscitato il rammarico degli organizzatori, lascia presagire un possibile cambiamento.
Forse la nascita – ce lo auspichiamo – di un movimento che potrebbe scombussolare seriamente i piani dell’alleanza nazi-capitalista tra religione e criminalità. Forse già il prossimo autunno che, una volta finita la pandemia, sicuramente porterà con sé una grave crisi economica.
Chi vuole vivere una vita normale in questo paese semplicemente non può fidarsi del clero corrotto e retrogrado, incarnato nella figura di Puljić. Questo è uno dei motivi per cui alla messa di Sarajevo non hanno partecipato i fedeli.
Nel frattempo, il cardinale Puljić ha scritto a Papa Francesco, sostenendo di temere per la propria incolumità. Un’affermazione che appare come una semplice bugia. Come del resto la maggior parte del suo operato negli ultimi trent’anni. L’unico ad aver appoggiato il cardinale in modo incondizionato, oltre naturalmente ai membri dell’HDZ e della Chiesa, è stato il capo della comunità islamica della Bosnia Erzegovina, il reis-ul-ulema Husein Kavazović.
Questo dimostra che, anche se appartengono a comunità diverse, Puljić e Kavazović condividono gli stessi interessi, vogliono cioè che le cose rimangano come sono, che il paese continui a sprofondare nell’abisso, sotto la loro guida. Con lo sguardo sempre rivolto al passato.
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