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Sarajevo: la lotta per il Cantone

È dal 2018 che il Cantone di Sarajevo è governato da una coalizione di sei partiti e vede il Partito di azione democratica di Bakir Izetbegović all’opposizione. Ma dalla coalizione governativa si è ora sfilato Željko Komsić: dinamiche politiche che potrebbero portare la capitale bosniaca al soffocamento

13/01/2020, Ahmed Burić - Sarajevo

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Scrivere un articolo per un media italiano sulla crisi di governo in un piccolo paese straniero mi sembra, a dire il vero, un po’ fuori luogo. Da ragazzi in ex Jugoslavia avevamo imparato, ascoltando le notizie, che in Italia l’unica costante era il continuo susseguirsi di governi di coalizione, e conoscevamo i nomi dei principali leader politici italiani – Moro, Andreotti, Cossiga, Craxi, Pertini – , così come conoscevamo i nomi dei grandi calciatori italiani di quell’epoca: Bergomi, Pruzzo, Altobelli, Graziani. Il problema però è che la cultura “generale” di solito si rivela inadeguata di fronte a situazioni concrete, che sono le più difficili da spiegare.

E l’attuale situazione politica in Bosnia Erzegovina potrebbe essere sintetizzata così: il Consiglio dei ministri, cioè il governo centrale, è stato formato nel dicembre 2019, dopo più di un anno dalle ultime elezioni politiche; nella Federazione di Bosnia Erzegovina è ancora in carica il vecchio governo, con un mandato tecnico, mentre a Sarajevo è in corso una sorta di congiura che mira a rovesciare il governo cantonale. Ma la battaglia per salvare l’attuale governo del cantone di Sarajevo non è ancora persa.

Dopo le elezioni politiche, tenutesi nell’ottobre 2018, a Sarajevo è stato formato un nuovo governo cantonale composto da una coalizione di sei partiti, la cosiddetta “šestorka“. Nonostante il Partito di azione democratica (SDA, partito di destra) abbia ottenuto il maggior numero di voti, i partiti liberali e di sinistra sono riusciti a formare un governo di coalizione – mettendo l’SDA all’opposizione – salutato con “simpatia” dalle ambasciate occidentali.

Oltre al Partito socialdemocratico (SDP), sono entrati a far parte del nuovo governo anche la Lista indipendente della Bosnia Erzegovina (NLBH), Naša Stranka (NS, un partito liberale di centro), il movimento Popolo e Giustizia (NP, fondato da Elmedin Konaković dopo l’uscita dal SDA), il Fronte democratico (DF, guidato da Željko Komšič, attuale presidente della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina) e l’Alleanza per un futuro migliore (SBB, guidata da un tycoon senza scrupoli, Fahrudin Radončić). Gli ultimi quattro partiti citati hanno ottenuto 18 seggi nel parlamento del cantone di Sarajevo, sufficienti per formare il governo. Un governo che, fin dall’inizio, ha dimostrato grande serietà: ha cominciato a ripulire Sarajevo, ha posto fine alla corruzione negli appalti pubblici, facendo sì che a Sarajevo si respirasse di nuovo quell’atmosfera grazie alla quale la capitale bosniaca in passato, e soprattutto negli anni Ottanta del secolo scorso, godeva di fama internazionale.

Tuttavia, per tutto il 2019 il governo cantonale è stato sottoposto a costanti pressioni da parte di Bakir Izetbegović e del suo Partito di azione democratica, che hanno continuamente cercato di rovesciare la “šestorka”. In questo caso Izetbegović ha dimostrato un nervosismo per lui del tutto inconsueto. Molti ricordano ancora una sua affermazione secondo cui la municipalità di Centar [una delle municipalità che compongono la città di Sarajevo] “è più importante delle altre dieci” [municipalità messe insieme]. Il nervosismo di Izetbegović è probabilmente dovuto a tre motivi.

Primo, la progressiva emancipazione e secolarizzazione di Sarajevo, dove i musulmani costituiscono la maggioranza della popolazione e dove l’opposizione gode del maggior sostegno, sta seriamente mettendo a repentaglio il progetto di Izetbegović che mira a “ottomanizzare” nuovamente la Bosnia Erzegovina. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan – che è il migliore e, a quanto pare, l’unico amico e protettore di Izetbegović tra i leader politici mondiali – sta cercando in tutti i modi di far avvicinare ulteriormente la Bosnia Erzegovina alla Turchia, per poter (continuare a) esercitare la propria influenza nel paese. Secondo, ci sono alcuni investitori arabi che esigono certe cose da Izetbegović come ricompensa per gli investimenti effettuati in Bosnia Erzegovina.

Vi è anche un terzo motivo, per niente irrilevante, per cui Izetbegović vuole far cadere il governo del cantone di Sarajevo: sua moglie Sebija – che tra l’altro è anche deputata del parlamento della Federazione BiH – è diventata direttrice del Centro clinico di Sarajevo in modo illegale, attraverso un concorso pubblico truccato, e ora sta cercando di approfittare del potere di cui dispone per imporsi alla guida della Facoltà di Medicina di Sarajevo. Un progetto – che potrebbe essere portato a termine solo se Bakir Izetbegović riuscisse a riconquistare il potere a Sarajevo – al quale il sopracitato Elmedin Konaković si è opposto con grande tenacia e persistenza. Konaković – che dal 2014 al 2018 è stato primo ministro del cantone di Sarajevo – è uscito dal SDA poco prima delle elezioni politiche dello scorso ottobre per fondare un proprio partito, Popolo e Giustizia. Una volta entrato a far parte del nuovo governo cantonale è diventato il più strenuo e determinato oppositore del SDA.

La crisi del governo del cantone di Sarajevo rimane a tutt’oggi irrisolta. I deputati di opposizione hanno recentemente presentato una mozione di sfiducia contro il governo cantonale, ma Konaković, che attualmente ricopre l’incarico di presidente del parlamento, ha respinto la mozione per un (presunto) vizio di forma, dimostrando così di non avere alcuna intenzione di arrendersi. In Bosnia Erzegovina chi conosce le procedure istituzionali e vari modi per aggirarle può rimandare certe questioni all’infinito. Al momento, questo sarebbe probabilmente lo scenario migliore per Sarajevo e per il suo futuro (secolare).

Per quanto riguarda invece Željko Komsić, la sua decisione di uscire dalla coalizione di governo del cantone di Sarajevo e di formare un’alleanza con il partito di Izetbegović è stata interpretata da quella parte dell’opinione pubblica bosniaco-erzegovese che rivendica il carattere laico dello stato bosniaco come un tradimento dei principi democratici: con questa mossa Komšić – che è noto come politico superficiale e di scarse capacità – ha fatto un autogol, che potrebbe danneggiare la sua carriera politica, e al contempo ha seriamente compromesso l’equilibrio delle forze politiche in campo. Komšić è stato eletto membro croato della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina soprattutto grazie ai voti dei bosgnacchi – un fatto che dà molto fastidio ai croati dell’Erzegovina – ed evidentemente non ha potuto aspettare troppo a lungo prima di ricambiare “il favore” a Bakir Izetbegović. Il fatto che abbia cercato di rovesciare il governo di Sarajevo ha ulteriormente minato la credibilità di Komšić: passando da uno schieramento politico all’altro, Komšić ha dimostrato di essere un politico privo di idee.

Il terzo partner di questa nuova alleanza che vuole far cadere il governo del cantone di Sarajevo è il magnate dei media Fahrudin Radončić, spesso paragonato a Berlusconi: pronto a tutto, accusato di essere coinvolto in vari scandali di corruzione, sospettato di intrattenere legami con la narco-mafia. Nonostante tutto questo, Radončić è stato recentemente nominato ministro della Sicurezza della Bosnia Erzegovina, ritornando così alla poltrona che aveva già occupato nel 2013, quando però si era trovato costretto a rassegnare le sue dimissioni dopo alcune verifiche effettuate dalla NATO.

Oggi però la situazione è diversa: la NATO evidentemente non ha tempo per effettuare verifiche, perché il mondo è sull’orlo di un nuovo conflitto globale, e la capitale bosniaca suscita sempre meno attenzione.

Si ha l’impressione che su Sarajevo stia cadendo un buio impenetrabile, un buio che, qualora Izetbegović e i suoi collaboratori dovessero riuscire a realizzare i loro piani, potrebbe soffocare le voci dissenzienti. Oggi, all’inizio del terzo decennio del XXI secolo, la posta in gioco è alta, e la Bosnia Erzegovina ha solo due alternative: cadere preda del dispotismo orientale o rimanere una periferia d’Europa. Una periferia che non sembra suscitare grande interesse da parte delle potenze centrali.

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