Sarajevo: la guerra dei media
Diversi episodi segnalano una radicalizzazione del nazionalismo musulmano nella carta stampata in Bosnia Erzegovina. Il nostro corrispondente Dario Terzic ha incontrato il giornalista di Oslobodjenje Gojko Beric.
Una resa dei conti, una guerra dei media oppure la radicalizzazione del nazionalismo musulmano? Qualcosa c’è e in questi ultimi mesi, nel settore dell’informazione, lo si avverte nettamente.
A Sarajevo ormai ci sono due blocchi di giornali. Il primo è rappresentato dai giornali di "destra", ed è guidato dal quotidiano "Dnevni Avaz" e dalla sua edizione settimanale "Expres", insieme allo scandalistico "Walter", all’ultranazionalista "Ljiljan" e ad un altro quotidiano, lo "Jutarnje Novine". Anche se ci sono differenze e sfumature (il "Ljiljan" è sempre dalla parte dei "veri" Musulmani mentre "Walter" è riuscito anche ad attaccare il capo della moschea – il Reis ulema Ceric), queste testate sono unite nel fronte contro i giornali che rappresentano la cosiddetta società civile in Bosnia ed Erzegovina: "Slobodna Bosna", "Dani", "Oslobodjenje", "Start".
La storia è piuttosto lunga, ma il periodo peggiore è cominciato dieci mesi fa, nel periodo della campagna elettorale, quando "Dnevni Avaz" ha cominciato ad attaccare l’allora primo ministro Zlatko Lagumdjija e il suo partito, i socialdemocratici (SDP). Questo quotidiano, il più venduto in Bosnia, ha preso di mira in particolare la moglie di Lagumdjija e la sua agenzia di marketing, cercando così di mettere in stato d’accusa entrambi i coniugi Lagumdjija. Certo, la modalità utilizzata da Dnevni Avaz era piuttosto primitiva – tipo dove e come la signora Lagumdjija si compra la biancheria intima e cosi via…
Poi è arrivato il caso di Munib Alibabic, il primo poliziotto del periodo di Lagumdjija. Lo scandalo è nato quando si è capito che Alibabic svelava dei "segreti" ai croati di Mostar, e questo fu interpretato e presentato come un grande piano contro i Bosniaci e i Musulmani.
Pian piano giornali come "Dnevni Avaz", "Ljiljan" e "Walter" hanno cominciato ad attaccare i rappresentanti della intellighenzia bosniaca non musulmana. Dzemaludin Latic, di "Ljiljan", in un suo editoriale ha scritto contro i matrimoni misti. Lo scrittore Marko Vesovic si è opposto ad una dichiarazione del genere, venendo subito dopo attaccato da tutti i "veri" Musulmani (Vesovic è un montenegrino di religione ortodossa rimasto nella Sarajevo musulmana durante la guerra, ed è sempre stato favorevole all’idea di una Bosnia unita). Nel frattempo, i giornali di "sinistra" hanno scritto sulla vicenda Pogorelica, un campo nelle montagne bosniache dove si sono addestrati i terroristi musulmani. Per i giornali di destra, tutti quelli che scrivevano sul caso di Pogorelica erano antimusulmani, oppure dei venduti alla comunità internazionale, degli antibosniaci… Per giornali come "Avaz", "Ljiljan", "Walter", tutti quelli che durante la guerra hanno combattuto dalla parte musulmana sono puliti, senza peccato, ed attaccarli per presunti crimini contro la popolazione serba è tradimento… Questa parte dell’opinione pubblica proprio non è pronta ad accettare il fatto che durante la guerra sono stati commessi crimini anche dai Musulmani e che è giunta l’ora di chiedere giustizia anche per questi casi.
Jovo Divjak, ex generale dell’esercito bosniaco di origini serbe, pochi mesi fa ha rilasciato un’intervista al giornale belgradese "Vecernje Novosti", nella quale affermava che: "A Banja Luka sono rimasti molti Musulmani senza avere problemi." La stampa bosniaca di ultradestra ora ha preso di mira lo stesso Divjak, ex generale di Izetbegovic. Così, pian piano, gran parte della intellighenzia di Sarajevo non musulmana è entrata nel mirino dell’artiglieria della stampa bosniaco musulmana.
Il caso più recente è quello in cui gran parte degli scrittori musulmani si sono scagliati contro il pubblicista croato di Sarajevo Ivan Lovrenovic. Fatmir Alispahic, giornalista di "Ljiljan", ha quasi lanciato un appello per un pubblico linciaggio di Lovrenovic e di altri giornalisti serbi e croati di Sarajevo, come Gojko Beric, non dimenticando neppure la redazione "musulmana" dei giornali della "società civile", "Slobodna Bosna", "Dani", "Oslobodjenje", "Start".
Nel corso di una tavola rotonda su media e manipolazione in Bosnia ed Erzegovina svoltasi a Mostar il 6 giugno scorso, abbiamo incontrato proprio Gojko Beric, editorialista di "Oslobodjenje" ed una delle "vittime" di questi attacchi nazionalisti:
"A Sarajevo in questi giorni c’è una vera e propria guerra tra i media. Stiamo parlando sempre della stampa, dato che i media elettronici sono controllati dalla agenzia CRA. Per quanto riguarda la stampa, non ci sono leggi, il cosiddetto Consiglio per la Stampa (BiH Press Council, ndr) è composto da stranieri incapaci che sono pagati moltissimo per non fare niente. La Bosnia ed Erzegovina è diventata il cimitero dei diplomatici. Tutti quelli che hanno finito la loro carriera in diplomazia vengono mandati in Bosnia. E per questo siamo rovinati. La rete delle organizzazioni non governative (ong) è un macchinario di gente ben pagata, in circoli chiusi. Per quanto riguarda il modo di scrivere dei giornali, mi sembra che oggi possiamo parlare di una radicalizzazione del nazionalismo musulmano. Quella del nazionalismo serbo e croato è già avvenuta durante la guerra… I giornali scrivono di tutto e la cosa peggiore è che la gente gli crede. La popolazione bosniaca è mezza analfabeta, e per questo molto adatta ad essere manipolata – ci ha detto Beric."
E’ vero che questa guerra si combatte soprattutto a Sarajevo, e che nel resto della Bosnia se ne parla poco. Però è vero che la maggior parte dei giornali sono posizionati proprio lì, e che l’opinione pubblica si forma proprio a Sarajevo.
E questa guerra continua. Quando si fermerà, difficile prevederlo. Perché non ci sono neppure gli strumenti per fermarla. Una legge sulla stampa non c’è, ognuno scrive quello che gli pare, e i mafiosi sono pronti a pagare per l’ "informazione giusta".
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