Sarajevo: in memoria di Moreno, mai più guerra

Il 3 ottobre 1993, Moreno Locatelli viene ucciso a Sarajevo da un cecchino. Volontario e pacifista, era arrivato nella capitale bosniaca sotto assedio, per aiutare anziani, persone sole e bambini. Sul ponte Vrbanja, nel ventennale della sua morte, decine di persone lo hanno ricordato. Per ribadire, allora, come oggi: mai più guerra

04/10/2013, Nicole Corritore - Sarajevo

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Il cielo è terso. Soffia una brezza gelida, inaspettata per inizio ottobre. Ecco il ponte Vrbanja, sul torrente Miljacka, che collega il quartiere Grbavica con quello di Marin Dvor. Lisa Clark, storica volontaria dei Beati Costruttori di Pace, aggiusta una delle numerose bandiere della pace che svettano oggi sui due lati del ponte. Al centro, accanto alla targa che ricorda Suada Dilberović e Olga Sučić – uccise durante le manifestazioni per la pace a Sarajevo, del 5 aprile 1992 – c’è una grande foto in bianco e nero di Moreno Locatelli. Il suo viso sorridente è accompagnato dalla scritta rossa del suo nome e, in bianco, la data della sua uccisione: 3 ottobre 1993.

Vent’anni fa Moreno, 34 anni, volontario dei Beati Costruttori di Pace, arriva a Sarajevo dopo aver partecipato all’iniziativa internazionale "Mir Sada – Pace ora. Si vive una sola pace". Nella città sotto assedio, con altri volontari si impegna in attività a sostegno della popolazione. Il 3 ottobre, assieme ad altri quattro compagni (Luigi Ceccato, Pier Luigi Ontanetti, Luca Berti e padre Angelo Cavagna), partecipa ad un’azione simbolica organizzata dai Beati sul ponte Vrbanja. Lo scopo è lasciare una corona di fiori sul ponte in memoria delle prime due vittime civili della guerra – Suada e Olga – e rivolgere un appello di pace alle parti in conflitto.

Le forze militari che si contrapponevano da una parte all’altra del ponte, erano state informate dell’iniziativa e invitate al cessate il fuoco. Invece sui cinque italiani vengono esplose raffiche di mitra. Mentre tentano di tornare al riparo, Moreno Locatelli viene colpito da un cecchino. Muore poche ore dopo, dopo due interventi chirurgici d’urgenza.

Siamo una cinquantina, tra persone venute dall’Italia e cittadini bosniaci che avevano conosciuto Moreno. Molti di loro, durante i mesi del 1993 in cui avevano vissuto qui, collaboravano con i volontari italiani nella distribuzione dell’acqua e della legna ad anziani e disabili, degli aiuti umanitari e delle lettere in arrivo dall’Italia, scritte dai bosniaci profughi all’estero per i familiari che erano rimasti sotto assedio.

Presenti anche le istituzioni. Il neo Ambasciatore d’Italia a Sarajevo, in carica da agosto, Ruggero Corrias e il vicesindaco di Sarajevo Grad, Ranko Čović. Ci sono poi Don Albino Bizzotto, presidente dei Beati Costruttori di Pace, associazione di volontariato con sede a Padova di cui Moreno faceva parte e rappresentanti di Sprofondo – associazione del comense fondata da Don Renzo Scapolo – che a Sarajevo opera da quasi un ventennio.

Sotto la foto di Moreno, gli amici posano bouquet di fiori, lilla, rossi e bianchi. Qualcuno ha appoggiato, senza farsi notare, un cesto con dentro una grande pagnotta che porta la scritta "MIR" (Pace). Ci incamminiamo verso Grbavica, dove una via porta il nome "Ulica Gabrijele Moreno Locatelli". A parlare per primo, sotto alla targa di marmo bianco apposta qui nel 2003 dalle istituzioni, è il vicesindaco Čović: "E’ per me un’onore essere qui oggi, in rappresentanza di tutta Sarajevo. Per portare il saluto al grande amico Moreno, uno dei tanti volontari che anche nei momenti più difficili sono venuti da tutto il mondo e non ci hanno lasciato soli".

Sottolinea che persone come Moreno sono stati importanti anche perché portavano fuori dalla città dirette testimonianze sulle condizioni in cui vivevano gli abitati di Sarajevo sotto assedio. Un sostegno che i sarajevesi non dimenticano e per questo annuncia che c’è in progetto di dare il nome di Moreno ad un parco giochi per bambini: "Perché era particolarmente amato dai bambini, che lui aiutava in tutti i modi possibili".

Don Albino Bizzotto, ha voluto ricordare Moreno come simbolo dei tanti volontari che durante e dopo la guerra hanno offerto la mano in aiuto dei più bisognosi. "Sono concreta testimonianza che di quella guerra c’è una parte di racconto da riportare ai posteri: cioè la forte solidarietà e l’amicizia che sono nate e cresciute in questa città, nonostante la sofferenza e la violenza".

E’ una violenza che tutti i sarajevesi presenti hanno vissuto in prima persona. Incontro lo sguardo di uomo piegato dall’età. Sussurra, mentre proseguono i discorsi ufficiali: "Molti di quelli che avevano conosciuto Moreno sono morti dopo di lui. Altrimenti oggi saremmo molti di più, a salutarlo…". Una violenza che si è abbattuta sui civili, affamati dalla guerra e dall’odio, come scrive il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, nella lettera che ha inviato per mano di Agostino Zanotti, presidente della Adl Zavidovici. Moreno arrivò a Sarajevo proprio da Brescia, dove viveva da alcuni anni: "Moreno Locatelli non ha lasciato questa terra per una lapide, un discorso, una commemorazione" legge Zanotti. "L’hanno lasciata perché l’amore e la libertà, per loro, erano più forti e importanti di qualsiasi altra cosa. Avrebbero pagato qualsiasi prezzo per difenderli. E hanno pagato il prezzo più alto. Ecco allora, questo è l’impegno solenne. A qualsiasi prezzo, mai più, mai più la guerra".

Tutt’intorno, in cerchio quasi ad abbracciare la targa che porta il nome di Moreno, i 24 venuti da Canzo, comune lombardo dov’era nato e vissuto fino a metà degli anni ottanta. "Lo conoscevo da piccolo, quand’era un ragazzino" mi dice una signora dai capelli ricci grigi. Con le lacrime agli occhi e un sorriso leggero, prosegue: "Era ai tempi di quando veniva all’oratorio e si vestiva da frate…". Non riesce più a parlare per l’emozione. Da Canzo è venuto anche Marco, amico di famiglia di Moreno. "Porto i saluti della mamma di Moreno, che purtroppo non può essere qui. La vostra presenza e la viva memoria che questa città mantiene di lui è di grande sostegno ai suoi familiari”.

Con le lacrime agli occhi parla un uomo sulla sessantina, con capelli grigi, lunghi e mossi. “Quel giorno, assieme alla mia famiglia attendevo Moreno a cena per le otto. Avevamo deciso di festeggiare. In quei due mesi dal suo arrivo era diventato per me un figlio…”. A Boban Pejčić trema la voce. Si passa la mano sugli occhi e conclude: “Invece nel pomeriggio mi è arrivata la notizia …”. Durante la guerra era poliziotto ma con i volontari italiani aveva collaborato nella distribuzione di lettere, legna, acqua e cibo. E ne era diventato grande amico: “Gli avevamo detto tutti, noi bosniaci che lavoravamo con lui, di non andare su quel ponte. Che sarebbero morti tutti… Lui ci aveva ascoltato, era contrario. Ma era un buono e per spirito di solidarietà ha seguito i compagni”.

Boban solleva la questione della responsabilità dell’uccisione di Locatelli, ricercata solo da Giancarlo Bocchi nel suo documentario "Morte di un pacifista" uscito nel 1995 e di cui tra poco uscirà una nuova versione. Una parte di storia che però oggi, nell’anniversario della sua morte, non si vuole affrontare per non aggiungere dolore alla già grande emozione che lega i presenti.

Emozionato e scosso anche il portavoce dell’ospedale che porta il nome del chirurgo che operò Moreno due volte quel 3 ottobre di vent’anni fa. “Parlo a nome del dottor Abdulah Nakaš, che operò Moreno tentando di salvarlo. Lo rappresento perché è morto nel 2005. Ma rappresento anche il grande lavoro eroico che Nakaš è riuscito a fare durante e dopo la guerra. Un lavoro che non sarebbe stato possibile senza il sostegno di amici come voi, che avete rischiato la vita e avete donato il vostro tempo per aiutare il nostro paese. Grazie, a Moreno e a tutti voi”.

Applausi, occhi rossi e sguardi tirati. Il sole non riesce a scaldare, anche se è mezzogiorno in punto e batte forte. Mentre scendiamo verso il torrente Miljacka il silenzio è rotto solo dalle poche macchine che si arrampicano verso Grbavica. Moreno oggi avrebbe 54 anni.

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