«Sapevo dell’uranio, ignoravo rischi»
Al vaglio della Commissione Senato sull’uranio impoverito l’ipotesi che generali italiani sapessero che l’uranio impoverito usato nei Balcani era cancerogeno. Riprendiamo dalla Gazzetta del Mezzogiorno un’intervista al tenente generale Agostino Pedone tra il ’95 e il ’96 a capo dei militari italiani in Bosnia
Di Marisa Ingrosso – Gazzetta del Mezzogiorno
BARI – Tornare ancora, a distanza di anni, a parlare del «caso uranio impoverito» è come confrontarsi con un incubo ricorrente. L’incubo di un Paese che, ogni volta che c’è qualcosa di poco chiaro, impiega un mucchio d’anni e soldi dei contribuenti per non trovare alcuna verità. Così (malgrado la Commissione governativa guidata dallo scienziato Franco Mandelli – che ha finito il suo lavoro – e un’altra Commissione, quella del Senato – che l’ha appena iniziato – e malgrado 23 reduci morti e 124 malati), dieci anni dopo l’inizio della guerra in Bosnia, l’Italia è ancora incastrata in un dubbio: l’uranio che lì è stato sparato ha causato i tumori e l’infertilità e i casi di progenie deforme che hanno poi afflitto i militari italiani? Tra le stranezze italiche c’è di nuovo che ora si scopre che quel video di cui parlava padre Jean Marie Benjamin anni fa (quello in cui il Pentagono spiega che l’uranio è utile, perché fora le corazze blindate dei nemici, ed è pericoloso, perché provoca il cancro), forse andava preso sul serio. Il filmato è giunto alla Commissione del Senato. L’hanno portato quelli dell’Osservatorio militare (che si propone proprio di tutelare i militari) e ai senatori hanno anche spiegato che il video è stato oggetto di un briefing dello Stato Maggiore Nato, a Bagnoli (Napoli), e che alla proiezione assistettero degli ufficiali italiani. Era il mese di gennaio del 1995, forse si poteva ancora cambiare il corso di questa storia. Sarebbe bastato che uno di quei signori avesse informato il comandante della missione. All’epoca, tra il ’95 e il ’96, a capo dei militari italiani in Bosnia c’era un pugliese, il tenente generale Agostino Pedone.
"Sì, sono uno dei coinvolti nella vicenda dell’uranio impoverito – dice – ma nel senso che questa questione è esplosa dopo il conflitto nei Balcani e io, fino al 1996, sono stato Comandante della missione. Mi hanno mandato lì, assieme agli altri, ma non ne sapevo nulla degli eventuali rischi per la salute. Del DU (dall’inglese depleted uranium, uranio impoverito; ndr) so che era contenuto nei proiettili contro-carro e che questi permettono di forare la corazza. Sapevo che erano sparati dagli aerei. Ciò premesso, il pericolo dove poteva essere se non nei carri? Ora, a parte il fatto che non lo sapevamo e che in merito ho anche riferito alla Camera, firmai un ordine nel quale facevo divieto a tutti di avvicinarsi alle carcasse dei carriarmati".
Lei partecipò a questo briefing, a Bagnoli?
Bagnoli vuol dire Nato, cioè vertici Usa e italiani. Io non so se lo Stato Maggiore era a conoscenza, se così fosse sarebbe una responsabilità enorme.
Quindi lei non era lì?
No, no, figuriamoci. Quelle sono riunioni a livello di vertici, non di comandanti operativi. Noi non sapevamo niente. E comunque sulla faccenda sono un po’ scettico. In Bosnia noi abbiamo fatto dei rilevamenti con la Brigata Garibaldi e non c’era radioattività.
Usavate contatori Geiger?
Le rilevazioni venivano effettuate con l’Nbc (sigla che sta per Nuclear Biological and Chemical e identifica i militari specializzati in biosicurezza; ndr) e si usavano strumenti molto più sofisticati dei contatori Geiger. La prima cosa era la bonifica dei luoghi, e la bonifica includeva i rilevamenti. Però sono scettico. Ho anche letto la Mandelli e non si arrivava ad una conclusione circa le malattie e le cause.
Quale ha letto? La prima relazione elaborata della Commissione governativa? La seconda, cioè quella corretta dagli errori di statistica? O la terza, quella finale?
Ho letto la prima, e sembrava dovesse risolvere il problema. La seconda, coi dati, non mi convince. Però la Commissione secondo me non poteva, così come è stata condotta, sortire altri risultati.
In che senso?
Sostanzialmente hanno contato i militari e le malattie e hanno fatto delle statistiche. Bisognava però vedere se c’era causalità. Fare degli esperimenti. Esplodere i dardi e analizzare i risultati, il foll-out (la ricaduta di particelle dopo l’esplosione; ndr).
E perché doveva farlo Mandelli? Quei dati ci sono già? L’uranio è impiegato nelle munizioni in modo legale. Per cui è stato sperimentato mille volte prima di essere adottato. O vogliamo pensare che la Nato non conosca le caratteristiche dei proiettili che usa?
Infatti e la radioattività è così insignificante che stento a credere che abbia potuto causare quelle malattie. Sono perplesso. A meno che non siano state condotte bonifiche. Per esempio si trovano proiettili inesplosi, si mettono tutti assieme in un punto e si fanno bonificare. Questo è da verificare.
Però, alla fine, la Commissione Mandelli ha rilevato un numero eccessivo di linfomi di Hodgkin tra i reduci. Un dato anomalo che in qualche modo bisogna spiegare.
Sono molto perplesso: o non si vuol far luce o non c’è alcunché su cui far luce. Poi bisogna valutare che, per i primi 3 o 4 anni, nel contingente italiano in Bosnia si sono alternati, ogni 4 mesi, circa 2.500 soldati. E ne abbiamo ancora che stanno a Sarajevo e sono passati 10 anni. Forse bisognerebbe fare meglio i conti dei militari e poi verificare l’incidenza delle malattie. E poi è strano che ad ammalarsi non siano stati i primi ad arrivare ma quelli che sono venuti subito dopo.
Sta di fatto che se questa storia di Bagnoli è vera, mentre voi partivate per la Bosnia, qualcuno sapeva e sapeva che l’uranio è pericoloso.
Sì ma noi siamo arrivati lì e non sapevamo nulla. Le missioni, ad alto livello, sono altra cosa.
Quindi, in questo caso, chi avrebbe dovuto darle istruzioni?
Avrei dovuto saperlo dal Capo di Stato Maggiore, Bonifacio Inciso di Camerana.
Però lei sapeva che il DU veniva utilizzato?
Sì – conclude il generale, che è di Lizzanello (Lecce) – sapevo che poteva esserci nel contro-carro. E ho dato il mio ordine che, pur non essendo mirato alla salvaguardia dal DU, consisteva nel divieto assoluto di avvicinarsi alle carcasse. Io non sapevo niente e abbiamo preso le misure che, grazie a Dio, hanno forse contribuito a limitare i danni.
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