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Sangue e democrazia: la lotta per i diritti degli animali in Azerbaijan

In Azerbaijan, gli attivisti per i diritti degli animali protestano contro l’abbattimento illegale dei cani da parte delle autorità. E subiscono una dura repressione

07/11/2022, Ali Malikov -

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(Pubblicato originariamente su OC Media il 4 ottobre 2022)

“Spesso vediamo macchie di sangue per strada", dice Kamran Mammadli, un attivista vegano di 27 anni.

Mammadli è impegnato nell’attivismo per i diritti degli animali da quando il movimento ha iniziato a prendere piede in Azerbaijan, circa quattro anni fa. A OC Media racconta che la violenza dello stato contro i cani randagi ha avuto un ruolo trainante nella formazione del movimento, ma che spesso gli attivisti stessi subiscono questa violenza.

Il sangue è la prova che, contrariamente alle assicurazioni delle istituzioni secondo cui i cani randagi a Baku vengono catturati per essere sterilizzati e rilasciati, in realtà vengono portati alla periferia della città e uccisi.

Le accuse degli attivisti si concentrano sul Centro per la cura degli animali Toplan, un’istituzione fondata nel 2018 dalla Fondazione Heydar Aliyev, il cui obiettivo dichiarato è "garantire la sicurezza dei residenti [di Baku], prendersi cura degli animali randagi e cambiare l’atteggiamento della società nei loro confronti".

Ma gli attivisti sostengono che i cani invece spariscono.

“Il fatto è che i cani scompaiono. Gli operatori di Toplan prendono i cani dalle strade in modo molto crudele e non etico, violando il benessere degli animali. Gli operatori picchiano i cani e alcuni di essi hanno la bocca sanguinante, altri sono feriti e li portano via senza cure. Abbiamo anche dei video che lo dimostrano", dice Nijat Ismayil, un’altra attivista per i diritti degli animali.

Un metodo di uccisione tortuoso

Gli attivisti affermano che il centro Toplan raccoglie ogni giorno i cani dal centro di Baku. Vengono poi portati in luoghi fuori dal centro della capitale – la periferia della città, ma anche regioni più lontane – e vengono lì uccisi in strada, a colpi di arma da fuoco, da dipendenti comunali o di uffici locali di istituzioni statali.

Secondo Mammadli c’è una logica in tutto questo. Se i cani venissero uccisi nel centro di Baku, la gente farebbe dei video che diventerebbero virali. Sparare ai cani in aree meno popolate permette alle autorità di tenere questa attività nascosta agli occhi del pubblico, anche se a volte dei video arrivano comunque sui social media.

Mammadli afferma che i cani spesso subiscono una morte lenta e dolorosa.

“È un metodo di uccisione tortuoso. In molti casi, i cani muoiono dopo molte ore di sofferenza".

Aggiunge che questa pratica non è solo crudele, ma anche illegale, sia secondo la legislazione dell’Azerbaijan sia secondo la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, di cui l’Azerbaijan è firmatario.

Inoltre, l’uso di armi è di per sé contrario alla legge. In Azerbaijan, solo le forze dell’ordine sono autorizzate a portare armi da fuoco, quindi il loro acquisto e uso da parte delle autorità municipali è illegale.

Video degli abbattimenti di cani vengono spesso diffusi sui social network. Gli attivisti affermano che con la pubblicazione di alcune delle esecuzioni sono riusciti a costringere il ministero degli Affari Interni a rispondere, pubblicando dichiarazioni in cui si afferma che i responsabili degli incidenti sono stati chiamati a rispondere delle loro azioni.

Né la Fondazione Heydar Aliyev né il capo del suo dipartimento di pubbliche relazioni hanno risposto a OC Media quando sono stati contattati per un commento.

Difendere i diritti degli animali, rischiando i propri

Nel difendere i diritti degli animali, gli attivisti si espongono a rischi significativi.

Gli animalisti dell’Azerbaijan riferiscono che, sebbene il loro attivismo sia pacifico e nel rispetto delle norme, subiscono pressioni e violenze da parte dello stato.

Tutte le proteste degli attivisti per i diritti degli animali vengono impedite o interrotte dalla polizia. Gli attivisti vengono spesso arrestati e, una volta rilasciati, riferiscono ai media di aver subito violenze e minacce da parte della polizia.

“La polizia ci tratta generalmente come nemici. È come se fossero stati istruiti a urlare per primi quando arriviamo, e poi a torcerci le braccia. Una volta, nella stazione di polizia, mi hanno storto il braccio con l’intenzione di rompermelo. All’improvviso, sono caduta in ginocchio e ho iniziato a urlare", racconta Ismayil.

Aggiunge che in un’altra occasione è stata stretta violentemente al collo mentre era trattenuta in una stazione di polizia e non è stata in grado di mangiare per tre giorni.

Mammadli ha storie simili.

“Ci sono stati molti casi in cui sono stato aggredito fisicamente mentre venivo portato alla stazione di polizia, così come dentro la stazione, e ho riportato delle ferite", racconta.

“Quando organizziamo le proteste, ci arrestano con violenza e ci portano nelle stazioni di polizia. Ci puniscono anche con multe senza fondamento".

A seguito di una protesta nel luglio 2021, gli attivisti sono stati multati con una multa di 2.400 manat (1.400 dollari), che comprendeva una multa di 600 manat (350 dollari) per ognuna delle sei persone detenute durante la protesta.

Nell’agosto 2021, due dipendenti del Centro per la cura degli animali di Toplan hanno intentato una causa contro quattro manifestanti che avevano preso parte alle proteste contro il centro. Ismayil era una dei quattro accusati, insieme a Elkhan Mirzayev, Aynur Babazade e Ilhama Nasirova.

I dipendenti hanno affermato di essere stati diffamati, che la loro reputazione pubblica è stata danneggiata e di essere stati umiliati pubblicamente. Gli attivisti considerano queste affermazioni prive di fondamento e ritengono che questo caso sia stato aperto contro di loro dalle autorità che cercavano un altro modo per esercitare pressione su di loro.

“Questo caso giudiziario è stato prolungato artificialmente, sta durando da un anno. I dipendenti del Centro Toplan ci chiedono di pagare 100.000 manat (59.000 dollari) come risarcimento. Se questo sarà il verdetto del tribunale, porteremo il caso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo", afferma Ismayil.

Speranza per il futuro

Mammadli afferma che la questione dei diritti degli animali è strettamente legata a una più ampia repressione politica.

Secondo Mammadli, poiché lo stato è antidemocratico, gli attivisti hanno pochissimo potere per influenzare le azioni delle autorità e fermare le violazioni dei diritti degli animali da parte del Centro Toplan.

“Finché non ci sarà una transizione verso una governance democratica in Azerbaijan, il processo di realizzazione delle nostre richieste sarà lento", afferma. “Per questo motivo chiediamo parallelamente dei cambiamenti democratici".

Mammadli ritiene che la loro richiesta di riforma del governo sia una delle ragioni per cui lo stato è così desideroso di reprimere qualsiasi attivismo per i diritti degli animali.

“Per anni, lo stato ha reso la società azera tale che le persone non possono pensare ad altro che ai loro interessi personali quotidiani e non possono avere opinioni pubbliche. Per questo motivo i manifestanti che alzano la voce per gli animali sono ancora più scioccanti per loro. È contrario alla struttura sociale che hanno costruito per anni".

“Inoltre, l’emergere di una nuova forza di protesta che denuncia i crimini dello stato nel paese preoccupa le autorità. Noi lo vediamo chiaramente", dice Mammadli.

Secondo Mammadli, le questioni dei diritti degli animali e dei diritti umani sono strettamente legate: molti attivisti per i diritti degli animali si battono anche per altre cause, come i diritti dei gay e delle vittime dell’oppressione politica.  

“Penso anche che un cambiamento nell’atteggiamento delle persone nei confronti degli animali cambierà in modo significativo la popolazione dell’Azerbaijan".

Mammadli sta ora lavorando alla creazione di un gruppo di attivisti vegani in Azerbaijan, mentre i suoi compagni gestiscono campagne per i diritti degli animali sui social media, oltre alla campagna in corso contro il Toplan.

Nonostante le pressioni e gli ostacoli che gli attivisti devono affrontare in Azerbaijan, Kamran rimane fiducioso.

“Penso che, per quanto sia difficile, dovremmo essere in grado di superarli", dice.

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