Sai, lui è serbo
La miserevole e discriminatoria condizione in cui vivono i serbi in Croazia. Il commento di Ante Tomić ad un recente fatto di cronaca, la richiesta di asilo politico presentata all’Irlanda da una famiglia serba. Nostra traduzione
Di: Ante Tomić, per Jutarnji list, 1 febbraio 2009 (tit. or.: Znaš, on ti je Srbin)
Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Maria Elena Franco
Come giornalista e reporter sono stato in molti villaggi croati, ne ho visti tanti quanti ne vede un veterinario in tutta la sua vita lavorativa. Per un mio racconto, nell’inverno del 2002, mi sono recato tra i ritornanti serbi della Banja o Banovina, regione della Croazia centrale, ndt, per una strada fangosa e ghiacciata, e ho visitato case misere, senza intonaco, con davanti alcuni prugni morti e rottami di macchine agricole.
Ed eccomi a parlare delle difficoltà della vita con un abitante del posto, davanti ad un caffè troppo zuccherato che mi ha offerto nella sua cucina riscaldata. Maledetta vita, sempre difficile. Lui e sua madre invalida sono rimasti qui, in questa casa, hanno qualche gallina e due maiali smagriti che venderanno alla Gavrilović industria alimentare croata, ndr. L’uomo coltiva anche un piccolo campo, aveva seminato del mais, ma i cinghiali gli hanno divorato e calpestato tutto.
"Ma non avete un fucile?", chiedo candidamente.
Al sentire queste mie parole, il contadino ammutolisce e impallidisce inorridito. Per qualche istante non capisco cosa gli prende, ma poi colgo e provo vergogna. La domanda "avete un fucile?", anche se parliamo di contadini, non è proprio in cima alla lista di domande intelligenti che potete fare ad un serbo di Croazia.
Pastori del Velebit
Qualche anno più tardi, la strada mi ha condotto dai miei connazionali sull’aspra pietraia in fondo al Velebit. Una famiglia di pastori si è accalcata in uno stretto e umido locale di calcestruzzo che, nel migliore dei casi, assomiglia ad un garage. Vestiti di stracci, probabilmente non erano nuovi nemmeno la prima volta che li hanno indossati, mi offrono della grappa. Un bimbo sporco, vicino alla fuligginosa cucina economica, mi guarda incuriosito. Dalla stanza vicina ogni tanto si fa sentire qualcuna delle loro capre. Sbigottito dagli sguardi, chiedo dove si lavano.
"Quando fa più caldo ci spostiamo fino alla Zrmanja fiume nella regione di Lika, ndt", mi dice tranquillamente la donna.
Potrei continuare a raccontarvi scene simili a questa, ne ho delle altre se vi interessa, ma immagino abbiate colto il senso. In nessun luogo, nel nostro paese, troverete una tale miseria come nei villaggi serbi. Mi rattristo ed inquieto ogni qual volta vedo le terribili condizioni in cui vive la gente, in povertà e paura, sempre col timore che qualcuno li guardi male o dica loro qualcosa di offensivo. Le condizioni in cui vive questa comunità, in particolare nelle zone rurali, sono molto preoccupanti. La stragrande maggioranza di noi non lo sa, alcuni non vogliono nemmeno saperlo, e alcuni si compiaceranno nel loro nazionalismo per il fatto che i serbi vivono male. Per me è indifferente quello che voi pensiate a riguardo ma, conoscendo la situazione, vorrei solo dire che non è rispettoso giudicare quella famiglia serba che cerca asilo politico in Irlanda e che ha scandalizzato i nostri media.
Non conosco le ragioni per cui richiedono asilo, non so quale miseria li abbia spinti in Irlanda, posso appena supporre perché l’hanno fatto. E anche se esagerano nel descrivere la discriminazione in Croazia, che lo facciano. Mentire non è insolito né moralmente spregevole, se da straniero volete trasferirvi da qualche parte in Occidente. Avete sentito dei saccenti che per ragioni del tutto inventate vivono coi sussidi sociali ad Amsterdam, o di quelli che per ottenere la cittadinanza tedesca si sono sposati con donne che non amano. Qualche anno fa, in Quebec, le coppie omosessuali sono state legalizzate e io sto aspettando solo il momento in cui sentirò di qualche connazionale che per ottenere la cittadinanza canadese si è sposato con un gay. Perché allora qualcuno di noi dovrebbe prendersela con questi serbi che in Irlanda hanno dipinto la Croazia un po’ peggio di quanto in realtà non sia?
E allora, vediamo quanto è davvero terribile. Lasciamo da parte i rapporti del Dipartimento di Stato sull’eccezionale situazione dei diritti umani in Croazia. Mettetevi un attimo la mano sulla coscienza e chiedetevi, come credenti, come cattolici, o semplicemente come persone con senso morale: da noi le opportunità sociali dei serbi e dei croati sono veramente del tutto uguali? Siamo sinceri, la risposta è no. Tanto per cominciare, per un serbo è più difficile trovare lavoro. La chiamano discriminazione, e la discriminazione è una ragione abbastanza buona per richiedere asilo politico.
Oltre a questo, c’è sempre la malaugurata frase: "Sai, lui è serbo". Io faccio parte della maggioranza, posso convivere con questa situazione di indisposizione. Inquietante e umiliante è invece vivere una vita intera all’ombra di questa frase e del senso di colpa per essere, in un qualche incomprensibile e imperscrutabile modo, responsabile per i crimini di Slobodan Milošević. La grande maggioranza dei serbi di Croazia, coloro che sono rimasti a vivere con noi, hanno un’opinione peggiore di Slobodan Milošević rispetto a quella di qualsiasi croato, perché ha reso la loro vita un inferno. Ma c’è qualcuno che a questo non crederà mai.
Una persona adulta in qualche modo può ancora sopportare questo, ma pensate se qualcuno offende vostro figlio a scuola. Siamo tutti sensibili quando si parla di bambini, ma sappiamo bene che i bambini sanno essere molto cattivi. E ora, come vi comportereste se vostro figlio o vostra figlia tornasse da scuola in lacrime perché qualcuno lo ha chiamato "serbo bastardo"? Sono quasi sicuro che in una situazione simile vorrei mandare tutti a maledire, fare i bagagli, prendere moglie e figli e andare in qualche paese senza serbi e croati. In Irlanda ad esempio.
Adolescente ribelle
Quest’estate, la figlia sedicenne del mio amico Klica ha conosciuto a Komiža sull’isola di Vis, in Dalmazia, ndt un educato e bel giovine di Lič. Si è innamorata come solo le giovani sedicenni sanno fare, e si è ribellata alla famiglia. Tutto il giorno con il ragazzo, Klica che impreca, perché nessun padre di una giovane adolescente vuole che queste cose accadano. Poi ha insistito per conoscere il ragazzo, ed è tornato abbastanza soddisfatto.
"E’ un caro ragazzo", dice. "Miloš, di Korenica".
"Miloš di Korenica?"
"Miloš di Korenica", annuisce.
"Uh", sospiro io.
"Uh", conviene lui.
Qualche giorno dopo hanno fatto ritorno a Zagabria. Passano alcuni mesi e il romanzo adolescenziale di Vis non si è ancora concluso, come di solito avviene con i romanzi estivi giovanili, e i due continuano a vedersi, il ragazzo ogni tanto va da loro. Vorrebbe iscriversi all’università. Klica è contento delle sue ambizioni. So tutto questo perché, ogni volta che ci incontriamo, chiedo con grande interesse come procede la storia. Poco tempo fa abbiamo cenato insieme a Spalato e lui mi ha raccontato un fatto divertente. La giovane adolescente ha detto ai compagni come si chiama il suo ragazzo, e il pomeriggio ha chiesto al padre sbalordita: "Come sanno che è serbo?".
Klica ed io ci scambiamo un sorriso. Per entrambi la cosa è teneramente ingenua. Sarebbe bello che la ragazza restasse sempre così ma in questa società avvelenata, sfortunatamente, non ci sono molte possibilità.
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