Sacrilegio sul Monte Athos
"Sacrilegio", romanzo d’esordio di Alessia Biasatto, edito da La nave di Teseo, narra l’avventura di Theodora, che ritornata in Grecia dopo anni vissuti all’estero, decide di introdursi sotto le mentite spoglie di uomo nel territorio sacro del Monte Athos. Una recensione
Triestina e globe-trotter con base a Barcellona, Alessia Biasatto si cimenta nel romanzo con una storia ambientata in Grecia, precisamente sul Monte Athos, nota al mondo intero per essere una sorta di repubblica a parte, teologica, abitata da monaci greco-ortodossi raccolti nei diversi monasteri che la compongono e alla quale è precluso in modo assoluto l’accesso alle donne. Questo divieto di genere ha alimentato la fantasia dell’autrice che, nel suo romanzo d’esordio “Sacrilegio”, edito da La nave di Teseo, si è messa nei panni di una greca, Theodora, che ritornata in Grecia dopo anni che ne era fuori, decide di introdursi sotto le mentite spoglie di uomo, Theodoro, nel territorio sacro del Monte Athos. Per cui, eccola rasarsi il capo, vestirsi da uomo e farsi così sbarcare a Ouranoupolis, l’ultimo avamposto della Grecia laica, dove le donne hanno accesso ai confini della repubblica teocratica maschile e maschilista.
Non è la prima donna a farlo. Nel romanzo vengono ricordate altre donne, per lo più non greche, che hanno sfidato i monaci, ma erano appunto sfide, provocazioni. Theodora invece sembra spinta al suo gesto quasi da motivi di fede, in ricordo di uno zio, zio Euthymios, devoto del monastero di Vatopedi, che lei vuol raggiungere solo per aspirare, come già lo zio, a vivere di persona il fascino del luogo e immergersi nella preghiera. In questo senso l’idea che muove la trama e la scrittura di Alessia Biasatto è buona, narrativamente parlando, anche se si avverte nel personaggio da lei creato la carenza di quella profonda ieraticità che è sempre presente nel fondo dell’animo delle donne greche nel momento in cui affrontano il sacro. L’autrice, probabilmente nella consapevolezza di questa carenza, ha dato a Theodora il profilo di una greca per anni lontana dalla sua terra da perderne i connotati più genuini e popolari e giustificarla così di fronte al lettore, anche se resta molto difficile che un greco o una greca, pur vivendo molti anni all’estero, perda la sua identità.
L’avventura, comunque, perché di questo si tratta, conoscerà varie fasi nel suo incontro con altri pellegrini all’interno di un plot che avrà diversi momenti di suspense lungo tutto il percorso che la porterà a Vatopedi. Naturalmente la tratteranno come fosse davvero un uomo, e sempre in situazioni di inevitabile intimità – ad esempio, al momento di coricarsi la notte per dormire prima della sveglia all’alba per la preghiera – che la spingeranno a comportamenti, dei suoi eventuali compagni di pellegrinaggio, di sospetta ritrosia. Si aggiunga che per una donna che deve mostrare di essere un uomo, così come sarebbe stato altrettanto nel caso di un uomo che avrebbe dovuto mostrare in ogni momento di essere una donna, è tutt’altro che facile sostenere la parte. E Theo, come ormai si fa chiamare, rischia più volte di tradirsi.
Riuscirà la nostra eroina a non essere scoperta? Lo lasciamo scoprire al lettore. In fondo ha non pochi elementi di suspense questo suo infiltramento tra le “linee nemiche” che il lettore generoso vive nel timore di uno smascheramento che dia una svolta alla storia. Svolta che ci sarà, ma in termini del tutto diversi da quelli temuti, con caratteri se vogliamo, più politici che religiosi o, se si vuole, politico-religiosi. Infatti, mentre l’avventura di Theo si compie, si vengono via via a scoprire alcune cose di questa repubblica teocratica che, se apparentemente isolata rispetto al resto del mondo, così come dalle cose mondane, in realtà è tutt’altro che avulsa da queste.
La vita parca dei monaci, intanto, viene sconfessata quasi all’inizio con il salvataggio di un monaco, papas Loukianòs, caduto da una barca trascinata dalla corrente e che in acqua viene salvato dall’annegamento, lasciando scoprire che non aveva governato il legno perché ubriaco, così come dopo, non rinuncerà a farsi uno spinello, mentre racconta panzane per nascondere le sue debolezze. Come si legge: “Theodora se ne stava a osservarlo stranamente più taciturno degli altri, perché quel racconto le pareva una spacconata. E lui, per essere un ministro di culto del monte Athos, non assomigliava per niente ai monaci descritti dallo zio Euthymios dopo i suoi viaggi di fede”.
Per non parlare, in riferimento a certi monasteri, di altre debolezze della carne, per altro più volte criticate, per il loro risvolto ipocrita, ad esempio, anche da Kazantzakis, che notoriamente fu condannato – ovviamente non solo per questo, ma per la sua spiritualità fortemente eterodossa – dalla Chiesa ortodossa tanto da impedire che il suo corpo fosse sepolto in un cimitero, anche se poi la sua tomba sui Bastioni Martinengo di Iraklion, a Creta, è meta di visite da parte dei suoi tanti ammiratori.
Al contrario, in “Sacrilegio”, per quanto ci sia nelle intenzioni dell’autrice la volontà di porre una distanza tra la ricercata ascendenza spirituale di Theodora e l’arcaico divieto che impedisce alle donne di misurarsi con la fede attraverso il ritiro dal mondo in un territorio dal quale le donne sono bandite, quasi esse e solo esse fossero fonti di peccato e lussuria, manca quel tanto di personale tormento spirituale, che si riduce al solo fascino derivante dalle parole dello zio. C’è solo la constatazione, quando, una volta raggiunto il suo obiettivo, si accorgerà dello scontro tra poteri sul Monte Athos, di quanto la separatezza dello stesso dal resto del mondo si nutra invece degli stessi germi del male che la brama di potere e la conseguente rivalità generi tra gli uomini. Anche di coloro che, in un momento di crisi della loro vita, hanno creduto di risolverla ritirandosi in un monastero isolato, abbandonando i piaceri del mondo e con l’impegno di dedicarsi esclusivamente a Dio. Ma l’ambizione per il potere travalica, evidentemente, ogni volontà e ogni condizione.
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