Rotta balcanica: tranquillità fragile sul fronte bulgaro
Buoni rapporti ad ogni costo con la Turchia e soprattutto col presidente Recep Tayyip Erdoğan: è così che il premier Boyko Borisov è riuscito a mettere la Bulgaria a riparo dalla nuova crisi migratoria. Una strategia che poggia però su basi fragili
“Bruxelles è lontana, mentre la Bulgaria è al confine con la Turchia. Lì ci sono quasi quattro milioni di rifugiati e né barriere, né esercito né alcuna altra misura sarebbero in grado di fermare ondate migratorie di centinaia di migliaia di persone”.
Con queste parole, nello scorso ottobre, il premier bulgaro Boyko Borisov aveva invitato i “colleghi europei” ad assumere toni accomodanti nei confronti del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che da tempo minacciava di riaprire le frontiere e denunciare gli accordi Turchia-UE sulla gestione della “rotta balcanica” del 2016.
Nei giorni scorsi le minacce di Erdoğan si sono trasformate in realtà: dopo l’escalation degli scontri nell’area di Idlib, in Siria, le autorità turche hanno annunciato che le frontiere verso l’Europa tornavano ad aprirsi, e migliaia di rifugiati e migranti si sono presentati al confine con la Grecia, tentando di attraversarlo e venendo in gran parte respinti da polizia ed esercito ellenici.
Sofia si sente periferia vulnerabile dell’UE, e rafforza i controlli al confine: nei giorni scorsi il ministro della Difesa Krasimir Karakachanov ha annunciato che, in caso di necessità, fino a mille soldati possono essere inviati lungo la frontiera nel giro di poche ore. “Il governo ha una visione chiara della situazione, non permettere neanche ad un migrante di entrare illegalmente nel paese”, ha dichiarato Karakachanov.
Al momento, però, l’intervento dell’esercito non sembra necessario: a differenza della vicina Grecia, infatti, lungo la frontiera tra Turchia e Bulgaria tutto rimane tranquillo.
“Potete dormire tranquilli”
Negli anni scorsi Sofia ha costruito una barriera di oltre duecento chilometri al confine turco, terminata tra le polemiche nel 2017. Nella strategia di contenimento dei flussi migratori, però, nell’agenda di Borisov la priorità assoluta è stata fin da subito quella di costruire e mantenere buoni rapporti con Erdoğan.
“Tra Borisov ed Erdoğan c’è una buona intesa personale, e questo conta molto nel modo di far politica del presidente turco”, spiega ad OBCT Tayfur Huseyin, giornalista che segue con attenzione da anni i rapporti bilaterali tra Sofia e Ankara. “Ma è ancora più importante il fatto che, a partire dal fallito golpe del 2015, le autorità bulgare hanno reagito positivamente a tutte le richieste turche. Nel 2016, ad esempio, sia il businessman Abdullah Büyük che altre sei persone fermate in Bulgaria sono state estradate illegalmente in Turchia con l’accusa di essere sostenitori di Fethullah Gülen”.
Martedì scorso, mentre migliaia di persone si ammassavano sul confine greco-turco, Borisov è volato in Turchia per incontrarsi d’urgenza con Erdoğan. L’incontro bilaterale ha permesso a Borisov di portare a casa il risultato più ambito: l’assicurazione turca che la nuova crisi migratoria verrà tenuta lontana dai confini bulgari.
“Gli impegni presi verranno rispettati: questo dà la possibilità ai cittadini bulgari di poter dormire sereni”, ha dichiarato Borisov in conferenza stampa. “La Turchia ha un’eccellente collaborazione con la Bulgaria nel campo della sicurezza”, gli ha fatto eco Erdoğan. “Sofia dovrebbe essere di esempio per tutti i paesi dell’UE”.
Se l’abbraccio con Erdoğan ha portato a indubbi risultati nell’immediato, in molti restano scettici sulla reale solidità dell’intesa. “A tenere tranquillo il confine con la Bulgaria non è tanto l’amicizia personale con Borisov, quanto il calcolo politico di Erdoğan. Oggi punisce la Grecia e risparmia la Bulgaria, ma nulla vieta che domani le cose possano cambiare all’improvviso”, ha dichiarato ad OBCT il politologo Yavor Siderov.
“Borisov utilizzerà le rassicurazioni di Erdoğan come un grande successo da giocare sul piano politico interno”, aggiunge Huseyn. “Il suo governo però si mette in una posizione sempre più subordinata nei confronti del regime turco, un rischio non indifferente con un politico senza scrupoli come il presidente turco”.
Niente incontro trilaterale Erdoğan-Borisov-Mitsotakis
Dall’incontro con Erdoğan, Borisov si aspettava un altro risultato importante: accreditarsi come mediatore tra l’Unione europea e la Turchia. Un ruolo che aveva già iniziato a ritagliarsi durante il semestre di presidenza bulgara dell’UE, nel 2018, quando a Varna aveva fatto incontrare il presidente turco e i leader dell’Unione, in un incontro ricco di strette di mani, ma povero di risultati.
Prima di partire per la Turchia, lo stesso Borisov aveva rilanciato una sua non meglio definita investitura europea in questo senso, soprattutto a uso e consumo interno. “Mi hanno chiamato tutti. Il presidente francese Macron mi ha detto ‘Crediamo in te, avevi ragione, la tua politica è quella giusta”, ha dichiarato Borisov ai media prima di volare per Ankara. “Ho promesso a quattordici leader europei di chiamarli, mentre sono in Turchia, per informarli su quanto succede”.
Alla prova dei fatti, però, i risultati non sono stati quelli aspettati. Il piano di Borisov era convincere Erdoğan a partecipare ad un incontro trilaterale a Sofia nel corso della settimana, per discutere della crisi insieme al premier greco Kyriakos Mitsotakis. Dopo un primo abboccamento, però, il presidente turco ha posto un netto rifiuto, dopo l’arrivo della notizia – definita una fake news da Atene – che la polizia greca avrebbe ucciso due migranti mentre provavano ad attraversare il confine.
“Il premier Borisov vuole sicuramente accreditarsi come mediatore tra la Turchia e l’Unione europea, l’iniziativa non gli manca, e forse svolge un ruolo informale di spola tra le due parti”, sostiene Siderov. “Mi pare però che il premier bulgaro sopravvaluti le sue reali possibilità: non c’è alcuna investitura formale, e nei momenti chiave Erdoğan contatta direttamente i leader europei che contano”.
In Bulgaria i migranti non sono i benvenuti
Oltre alla strategia diplomatica di Borisov, un altro fattore potrebbe contribuire a tenere i flussi migratori lontano dal confine: la fama che la Bulgaria si è guadagnata negli ultimi anni di paese in cui “i migranti non sono i benvenuti”.
Secondo i giornalisti presenti sul confine greco-turco in questi giorni, numerosi migranti hanno dichiarato di voler evitare la Bulgaria “perché lì ci spareranno addosso con proiettili veri”.
Negli anni scorsi il governo ha tollerato le attività di gruppi paramilitari lungo il confine, come l’Unione militare “Vasil Levski” o le “Squadre civili per la difesa delle donne e della fede”, che si sono resi protagonisti di soprusi e violenze nei confronti di chi aveva attraversato il confine. Attività a cui hanno dato ampio risalto i media internazionali, creando così un clima di paura.
“Al di là degli elementi più estremi, l’opinione pubblica bulgara resta in larga parte contraria all’arrivo di migranti e richiedenti asilo. Questo è un trend costante, visibile in tutti gli aspetti del dibattito pubblico”, sostiene Siderov. “Dal punto di vista delle istituzioni, grava la mancata riforma degli accordi di Dublino che scarica sui paesi di primo ingresso il peso principale della questione migratoria. Il principio di solidarietà a livello europeo non viene rispettato, e la Bulgaria fa di tutto per non registrare ingressi sul proprio territorio”.
Rispetto al 2014 la Bulgaria sembra molto più pronta ad accogliere un’eventuale ondata migratoria: sono state migliorate le strutture, i centri di accoglienza, la gestione delle richieste di asilo e protezione. “Tutto però dipende dai numeri: il paese può reggere 10-15mila arrivi, ma se dovessero entrare 50mila persone il sistema non riuscirà a sostenerne il peso”, avverte Siderov. “E nel frattempo la Bulgaria, purtroppo, continua a non avere alcuna politica di integrazione funzionante per chi si trova già sul suo territorio”.
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