Romania: se i cani se ne vanno
L’annosa questione del randagismo in Romania è stata gestita spesso attraverso crudeli soppressioni di massa. Ora molte Ong hanno trovato una parziale soluzione inviando i cani in adozione all’estero. Come si è arrivati a questo?
(Pubblicato originariamente da Brrlog.com il 12 settembre 2017)
Una donna appena sopra i trent’anni e dai tratti simmetrici dà indicazioni al personale che sta maneggiando qualche decina di cani. Si adopera senza sosta e organizza il lavoro con voce autorevole. Conosce a memoria i nomi di tutti cani in partenza. Quelli che si occupano delle scartoffie, siedono “nell’ufficio” formato da dei tavoli congiunti su cui si trovano decine di passaporti per animali, liste, collari e prodotti veterinari di prima necessità. Dall’altro capo del tavolo mi vengono offerti succo e pasticcini.
Mi trovo in un magazzino industriale nel nord della capitale Bucarest, dove decine di cani senza una casa aspettano di essere caricati sui camioncini che li porteranno verso una vita migliore. Partirà anche Mischadora, il cane di cui mi sono presa cura per tre mesi. Si fermerà in Austria, presso una famiglia che non vede l’ora di incontrarla.
Ho temporeggiato il più possibile durante il mio ultimo giorno con Mischa. Tutti gli altri cani erano già saliti sui camioncini, pronti per la partenza, ma io non riuscivo a staccarmi da lei. Alla fine, l’ho sistemata nell’ultima gabbia rimasta libera e le ho detto arrivederci attraverso le sbarre di metallo.
Il furgone con Mischa si è allontanato la sera tardi, quando le strade erano ormai libere dal traffico. Il suo viaggio verso ovest sarebbe stato un viaggio non faticoso.
Una vita da cani
I cani senza padrone non hanno mai avuto vita facile in Romania. Le prime testimonianze riguardo la presenza di randagi a Bucarest risalgono al diciannovesimo secolo. A quei tempi, l’uccisione dei cani randagi veniva ricompensata. Avvenivano vere e proprie stragi sulle strade, senza che ciò turbasse il buon andamento della vita cittadina. Nel periodo tra le due guerre, lo scrittore Geo Bogza pubblicò un reportage intitolato “Alle porte della morte” in cui presentava modalità “scientifiche” per uccidere i cani. Questi venivano scuoiati vivi, poi bolliti, e infine fatti a pezzi e trasformati in sostanze che si diceva avessero un valore commerciale.
Seguì poi il periodo comunista. I piani di urbanizzazione forzata di Nicolae Ceauşescu produssero violenti cambiamenti architettonici. A Bucarest, il quartiere Uranus-Antim-Mircea Vodă venne demolito agli inizi degli anni ‘80. Circa 10.000 tra case, chiese, monumenti storici, istituzioni statali e un ospedale in stile Brâncoveanu vennero demoliti per fare spazio alla costruzione della Casa del Popolo (ora il Palazzo del Parlamento, ndr). Approssimativamente 50.000 persone vennero costrette a trasferirsi in appartamenti, e la rapidità con cui vennero ricollocate mise la maggior parte di loro nelle condizioni di non potersi portare appresso gli animali da compagnia. La mancanza di un qualsiasi programma coerente per il controllo dei cani rimasti senza padrone fece sì che il loro numero crescesse a dismisura.
Una singola femmina può partorire fino a 30 cagnolini nel corso di due anni. Alina Banu dell’associazione NUCA della città di Cluj-Napoca, la quale ha finora contribuito a dare in adozione verso altri paesi circa 500 cani e gatti, ritiene che “la principale fonte di cani randagi è il loro abbandono”.
Nel corso del tempo, numerose ONG e associazioni per i diritti degli animali hanno cercato di convincere le amministrazioni locali che l’unica soluzione a lungo termine è la sterilizzazione, ma non si è riusciti a mettere fine ai crudeli e caotici programmi di eutanasia. "Queste pratiche sono contrarie a quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, in seguito agli studi effettuati, raccomanda la sterilizzazione e non l’eutanasia, poiché l’eutanasia è costosa e inefficiente a lungo termine per via del rapido ritmo di riproduzione degli animali", sottolineava, nel 2010, Marcela Pîslă, presidentessa dell’associazione Cuțu-Cuțu.
Il paradiso dei cani
Nella Romania degli anni ‘90, cani e umani si dividevano il territorio e non era chiaro chi ne detenesse il controllo. Nel 2000, a Bucarest, la stima del numero dei cani randagi arrivava a 200.000 esemplari. Nel 1997 venne tentata una timida campagna di cattura, ma nella capitale esistevano soltanto 30 accalappiacani. La pratica generale era di sterilizzazione e di successivo ‘ritorno al territorio’.
Questo fu il periodo felice dei randagi di Bucarest. Io l’ho vissuto durante la mia infanzia passata nel quartiere Drumul Taberei al fianco del clan di Strugurica, la femmina che ha dato origine ad un branco che contava circa 10-15 quadrupedi.
Strugurica era un cane di media taglia, con macchie arancioni e un’anima da mamma eroina. Quando io e le mie amiche ci avvicinavamo al suo territorio, emettevamo una specie di jodel tramite il quale Strugurica ci riconosceva: ci correva incontro, agitava il mozzo di coda che ancora le rimaneva e mostrava i denti con starnuti di felicità. Mi sono anche presa la rogna dal suo branco, che ho poi passato a mia mamma. Dopo le terribili settimane di pruriti che sono seguite, nelle quali ho fatto bollire tutti i vestiti e la biancheria del letto, forse avrei dovuto stare lontana da loro. Non l’ho fatto. Negli anni ‘90, l’amicizia tra i bambini dei quartieri di cemento e i randagi era sacra.
L’inferno dei cani
Giunto Traian Băsescu alla guida del municipio di Bucarest, iniziò un’epoca di violenza nei confronti dei cani randagi che sarebbe andata avanti per molti anni.
Il canicidio dell’era moderna debuttò nel 2001. Fino a quel momento, la legge prevedeva un periodo di grazia di quattordici giorni per i quadrupedi che venivano catturati, ridotta ulteriormente a sette giorni, nei quali potevano essere adottati o rivendicati. Traian Băsescu ordinò la trasformazione del termine iniziale in eutanasia immediata, senza nessuna distinzione tra cani malati o sani, giovani o vecchi, aggressivi o mansueti. Vennero spesso utilizzati metodi crudeli e sostanze non autorizzate. Le persone che vivevano nei pressi dei canili si lamentavano dei guaiti atroci che provenivano da oltre le mura.
Non è chiaro quanti randagi siano morti della fanatica campagna di Băsescu tra il 2001 e il 2004.
Ho visto coi miei occhi come i cani del quartiere si stessero riducendo di numero. Alla fine degli anni 2000, divenne però chiaro che le strade si stavano nuovamente ripopolando per via dei cani rimasti, anche se non si toccavano più le quote di prima. Strugurica venne ripetutamente salvata dai vicini che la nascondevano sotto le scale del loro palazzo. I suoi ultimi cuccioli, Leoaica e Cămilă, sono sopravvissuti fino a qualche anno fa.
Nel 2005, la stima dei cani randagi nella capitale era di 60.000 esemplari. Nello stesso anno, il numero di morsi registrati all’ospedale Matei Balş fu di 14.592, una modesta diminuzione considerando i 20.000 casi registrati nel 2000. Ai tempi, gli attivisti lottavano per dimostrare che la maggior parte dei cani catturati e sacrificati fossero quelli più mansueti, abituati all’iterazione umana. Considerando che, dal 2001 al 2005, il numero di randagi diminuì del 70% e i morsi soltanto del 25%, l’ipotesi è confermata. Quindi, sulle strade rimasero quelli aggressivi, i più difficili da prendere.
Una legge per i cani
Nel 2006, l’uomo d’affari giapponese Hajime Hori morì a seguito di un morso nel centro della capitale. Il cane gli perforò una vena della gamba, e l’uomo perì per un’emorragia. Fu la prima morte causata da un randagio a ricevere un’intensa copertura mediatica. Le autorità lanciarono una vera e propria caccia al cane “colpevole”, ma non venne presa nessuna misura estrema a livello nazionale. Il massacro di Băsescu era troppo recente.
Nel 2008, Marius Marinescu, senatore del Partito conservatore, propose e riuscì a far approvare la prima legge in Romania che mostrava attenzione per i diritti degli animali (legge 9/2008). Sarebbe poi dovuta esistere anche una seconda legge riguardante i cani randagi, che si sarebbe dovuta chiamare legge Marinescu 2. Questa proponeva l’abrogazione dell’eutanasia – eccetto per i casi in cui l’animale fosse aggressivo o soffrisse di qualche malattia incurabile –, proponeva un programma di sterilizzazione di massa, delle campagne di educazione della popolazione e punizioni per la crudeltà verso gli animali. La legge venne approvata dal Senato, poi si bloccò tra rimpalli e modifiche infinite nelle commissioni della Camera dei Deputati, con perfino un passaggio alla Corte Costituzionale.
Tra il 2008 e il 2013, due leggi vennero approvate sulla questione: La legge 227/2002 (conversione in legge dell’ordinanza d’urgenza 155/2001 voluta da Băsescu) e la legge 9/2008 di Marinescu. Le pratiche di eutanasia però continuarono, accompagnate da un confuso programma di sterilizzazione generosamente finanziato dallo stato. Per i cani era una lotteria.
Le norme inoltre permettevano alle municipalità locali di affrontare il problema come meglio credevano. Così, i municipi di alcune città come Târgu Mureş e Sibiu cominciarono a mandare i cani all’estero sulla base di contratti stipulati con associazioni tedesche. Fu la prima volta che la pratica delle adozioni internazionali conquistò una visibilità mediatica.
Fondi sperperati
Nell’aprile 2013, Rise Project pubblicò un’inchiesta sulla sparizione di fondi pubblici destinati alla risoluzione del problema dei cani. Venne evidenziata la sottrazione di fondi per milioni di euro che si sarebbe dovuto utilizzare – nelle principali città della Romania – per rifugi per cani o per programmi di gestione di questi ultimi.
Mentre, sulla carta, si spendevano favolose somme per il miglioramento della qualità della vita dei cani e per la gestione della loro riproduzione, alla fine del 2013 gli abusi commessi nei canili romeni tornarono sotto i riflettori. Giornali come l’Huffington Post e Die Welt raccontarono le terribili condizioni e il trattamento disumano inflitto ai cani nei canili di Ploieşti e Mihăileşti. I cani arrivarono ad essere carne da macello, vittime di cattiva gestione, di crudeltà e di corruzione. Nel 2014, l’associazione internazionale Vier Pfoten visitò 43 rifugi statali e pubblicò un rapporto nazionale le cui conclusioni turbarono profondamente l’opinione pubblica.
Perfino al giorno d’oggi, gli abusi continuano. Recentemente, le riprese di una telecamera nascosta nel canile di Ovidiu, nel distretto di Constanƫa, hanno mostrato le condizioni atroci e malsane in cui vi vengono tenuti i cani.
Nel settembre 2013, un’altra tragedia colpì la capitale, questa volta con dei riverberi. Ionuƫ Anghel, un bambino di 4 anni, venne ucciso da alcuni cani. Non è ancora chiaro se siano stati dei randagi o dei cani da combattimento. Le tracce rinvenute non parevano corrispondere ai morsi di cani randagi, e le prove del DNA erano incompatibili con quelle raccolte dagli animali catturati dopo l’accaduto. In tutto questo polverone, accentuato da un circo mediatico che pretendeva di avere la testa di un colpevole, i randagi diventarono il capro espiatorio.
Subito dopo il tragico evento, la legge Marinescu 2, la quale avrebbe dovuto modificare la crudele ordinanza 155/2001 di Băsescu, si trasformò nella legge 258/2013 promulgata dallo stesso Băsescu, questa volta nella sua funzione di Presidente della Romania. Era un chiaro ordine di sbarazzarsi di un numero più alto possibile di cani, specialmente nella capitale.
Fu allora che Karin Degenkolbe, un’attivista per i diritti degli animali di Rheinland-Pfalz, in Germania, la persona responsabile del collocamento di Mischadora in Austria, cominciò a lavorare nel campo delle adozioni internazionali. La causa scatenante fu l’entrata in vigore di quella che lei chiama la “legge delle uccisioni”: "La Romania ha questo problema: non sterilizza i cani – preferisce sempre ucciderli. E il problema ancora più grande è che gli attivisti non mettono abbastanza pressione sui politici. Molti guadagnano parecchi soldi a scapito dei cani, dunque non hanno il minimo interesse a risolvere la questione".
L’Autorità per la supervisione e la protezione degli animali (ASPA) si incaricò di applicare le nuove leggi. Cominciò così, nella capitale, una pratica di sterminio privato fatta da aziende non specializzate: "Le prime ditte di questo tipo sono comparse a Constanza, sotto la gestione del sindaco Radu Mazăre […] Le loro attività non avevano nulla a che fare con gli animali e, nonostante questo, ottenevano contratti dal comune, catturavano i cani e li portavano nei canili di stato", racconta Cristina Icleanu dell’associazione Ador Animal Rescue.
A Bucarest, la taglia sulla testa di ciascun cane era di oltre 200 lei (circa 43 euro), mentre il salario minimo ammontava a 800 lei (circa 173 euro). Come c’era da aspettarsi, una nuova caccia ebbe inizio. Questo periodo coincideva con i pochi mesi antecedenti alla partenza di Mischadora per l’Austria, quando ero costantemente costretta a nasconderla dagli accalappiacani che ci passavano davanti anche fino a cinque volte al giorno.
Răzvan Băncescu, rappresentate del comune di Bucarest presso l’ASPA, fu bersaglio di numerose proteste e azioni da parte degli attivisti. I furgoni dell’ASPA vennero assaliti nel traffico, vennero fatte petizioni per attirare l’attenzione sulle terribili condizioni in cui i cani erano catturati, tenuti e sottoposti ad eutanasia, e sul modo in cui l’ASPA abusava dei fondi pubblici. Accuse reciproche volarono in entrambe le direzioni.
Nel gennaio 2015, Băncescu accusava le ONG e le associazioni che si occupavano delle adozioni internazionali di gestire dei traffici di cani, sostenendo che il 90% di loro finissero in bordelli per zoofili o diventassero cavie per esperimenti scientifici. Queste dichiarazioni diedero vita a nuovi conflitti e proteste, inclusa una reazione dell’euro-parlamentare Stefan Eck: "Il signor Răzvan Băncescu ha lanciato una serie di accuse scandalose rivolte alle organizzazioni per la protezione degli animali in Germania e Danimarca […] Queste accuse sono ancora più serie tenendo conto del fatto che il signor Băncescu è un personaggio controverso all’indirizzo del quale sono registrate 68 denunce penali e che porta la responsabilità per il maltrattamento e l’uccisione di decine di migliaia di cani". Sotto la guida di Băncescu, da ottobre 2013 a febbraio 2015, soltanto nella capitale 30.000 cani hanno subito l’eutanasia.
In mezzo a tutto questo, cani e uomini continuavano a rivendicare la propria supremazia. Continuavano a comparire altri casi di vittime di cani, anche se meno evidenziati dai media: una donna senzatetto venne uccisa a Bucarest nel 2014, e un’altra a Mizil nel 2017.
La strada di Mischadora verso una vita migliore
Trovai Mischadora verso la fine del 2014, davanti al mio condominio nel quartiere Drumul Taberei. La mia capacità di interagire con i cani che incontro è ben allenata, e Mischa rispose al mio richiamo. Stavo per attraversare la strada per prendere il tram quando vidi che non aveva intenzione di smettere di seguirmi. Mi nascosi allora in una farmacia per confonderla. Mi dissi che se l’avessi trovata ancora lì anche dopo essere uscita, l’avrei presa a casa con me e avrei deciso cosa farmene soltanto in seguito. La trovai ancora lì, si era riparata nel deposito di un negozio di vernici. La proprietaria le permise di restare lì durante la notte e mi diede una copia delle chiavi per portarle il cibo e farle fare delle passeggiate serali durante i mesi seguenti. A gennaio, per il mio compleanno, decisi di fare un regalo a Mischadora: un bagno caldo dal veterinario del quartiere. Il dottor Dan Iorga la misurò con lo sguardo e mi disse: "È stupenda, cerchiamo di mandarla all’estero?". "All’estero?".
Qualche mese dopo, Mischadora veniva trasportata verso Vienna dall’azienda Archiebald di Raluca Vasile. Lei e la sua squadra avevano fondato l’azienda circa tre anni prima: "Quando cominciai, la domanda era molto grande e l’offerta quasi inesistente. Avevamo 20-30 richieste di adozione, ma non c’era modo di mandare i cani". Raluca venne a conoscenza della pratica delle adozioni internazionali 8 anni fa, quando trovò i primi 7 cagnolini abbandonati. Allora si imbatté nell’associazione tedesca Animal Souls, con la quale collabora ancora oggi: "Andai su internet e cominciai a cercare. Trovai questa associazione e così partirono i primi cani. Andai in Germania a visitarli. Un altro andò a Bruxelles, ce lo portai personalmente con l’aereo. Non ci siamo più fermati da quando abbiamo cominciato. Questi furono i primi sette".
Il processo tramite il quale avvengono le adozioni è il seguente: le associazioni o gli amanti degli animali della Romania postano la foto e la storia di ogni cane sui social media, che vengono poi condivise dalle ONG dei paesi dell’Europa occidentale in altre comunità di amanti degli animali. Quando un cane viene scelto, il potenziale padrone entra in contatto con una delle associazioni locali, si sottomette ad un controllo a domicilio, firma le carte di adozione, paga le cure veterinarie e il trasporto e, infine, aspetta il suo nuovo amico.
Raluca Vasile sottolinea come la pratica delle adozioni internazionali sia fiorita con l’aiuto di Facebook: "È dove avviene tutta la promozione e la comunicazione. Se non fosse stato per Facebook, credo che tutto questo non sarebbe mai potuto accadere".
Il costo del trasporto di un cane all’estero varia dai 200 ai 300 euro. È poco più economico nel caso in cui l’animale vada presso una sistemazione momentanea – quando non ha ancora qualcuno che lo adotti in modo definitivo e viene temporaneamente ospitato da una persona o da un rifugio. Oltre al trasporto, il prezzo include anche la valutazione del veterinario, il microchip, la sterilizzazione (se necessaria), i vaccini, l’eliminazione dei parassiti e il passaporto. "Questo è anche un modo per verificare la serietà del futuro padrone", afferma Raluca. Dall’altro capo, l’associazione partner in Germania si occupa di tutto ciò che riguarda il cane: "Organizzano tutto loro. Non mandiamo nessun cane senza un controllo a domicilio, prima e dopo l’adozione. Sono registrati a livello internazionale, tutto è legale al 100%".
Il punto di ritrovo per il trasporto è un magazzino industriale appartenente ad una multinazionale, messo a disposizione della Archiebald a condizione di mantenere una certa discrezione. Nel giorno delle partenze il magazzino è colmo di cani di tutte le età che comunicano tra di loro in un baccano industriale. Alcuni aspettano pazienti nelle gabbie mentre, quelli della casa, ovvero quelli salvati da Raluca, vanno qua e là. Tutti aspettano di prendere l’espresso per l’Ovest, un viaggio che dura da uno a tre giorni a seconda della destinazione.
I preparativi per la partenza cominciano intorno all’ora di pranzo e consistono in una rimozione dei parassiti interni ed esterni, una controllata ai documenti e la sistemazione dei cani all’interno dei furgoni, nelle gabbie attentamente numerate.
Mischa era attesa il secondo giorno a Vienna dalla sua nuova famiglia – C.S., suo marito e i loro due figli – con la quale mantengo i rapporti su Facebook ancora oggi. Adesso Mischa vive una vita invidiabile: corre per i boschi, dorme nel letto dei bambini ed è amata e coccolata da tutti i loro amici. C.S. mi ha confessato che la presenza della nuova arrivata ha perfino avuto un effetto terapeutico sulla sua vita – le lunghe passeggiate con Mischa, che ora si chiama Gina, hanno contribuito a migliorare il rapporto con suo marito.
Oggi, dietro al magazzino, c’è un rifugio provvisorio per i cani salvati da Raluca Vasile, i quali aspettano a loro volta di poter lasciare la Romania. Quando i nuovi padroni o l’associazione partner tedesca prendono dei cani, in cambio vengono offerte donazioni di cibo, prodotti veterinari di prima necessità, collari e giochi. I furgoni ritornano pieni di bontà che contribuirà a mantenere in forma i cani restanti, finché qualcuno non vorrà anche loro.
Una questione d’educazione
Con belle frasi del tipo "Se li amate così tanto, prendeteveli a casa", Traian Băsescu e Răzvan Băncescu, per nominarne due tra i molti, volevano probabilmente compensare l’assenza di un vero e proprio piano a lungo termine per la gestione del problema dei cani, per non citare la mancanza di un programma educativo per la popolazione.
Paws2Rescue è un’altra associazione, questa volta britannica, che si occupa delle adozioni in Gran Bretagna. A partire dal 2013, l’anno della “legge delle uccisioni”, Alison Standbridge e la sua squadra visitano la Romania una volta al mese aiutando le ONG locali a costruire e mantenere rifugi nel rispetto degli standard Europei. Grazie all’aiuto di Paws2Rescue sono stati salvati 7000 cani, mentre altri 1500 sono stati mandati in Gran Bretagna. Inoltre, in collaborazione con l’associazione internazionale World Animal Protection, Paws2Rescue sviluppa programmi educativi per i bambini in cui vengono insegnati i diritti degli animali.
Anche la percentuale delle adozioni a livello nazionale è in leggero aumento, e il cambiamento è dovuto alle ONG – fatto che viene confermato anche da Alina Banu, la fondatrice di NUCA: "E’ un piccolo segnale di come il nostro lavoro stia iniziando a dare i suoi frutti e fa capire a noi, come società, che i nostri piccoli passi stanno andando nella giusta direzione".
La secolare povertà della Romania sta, certamente, anch’essa alla base dell’insensibilità delle persone nei confronti degli animali.
"Nel momento in cui il cibo per arrivare a fine giornata sarà assicurato e le domande ‘Cosa mangerò domani, e con cosa pagherò le bollette?’ non saranno più una costante preoccupazione, saremo anche noi più disponibili ad aiutare e a trattare meglio chi ci sta accanto, indipendentemente dal fatto che si tratti di una persona o di un animale", afferma Banu.
L’associazione NUCA offre sterilizzazioni gratuite e campagne di informazione, specialmente nella zona di Cluj-Napoca. Ma la battaglia è dura. La reticenza delle autorità nell’applicare le leggi, il fatto che non puniscano la crudeltà verso gli animali e che non facciano multe a chi non sterilizza o impianta il microchip, rende gli sforzi degli attivisti ancora più difficili: "La maggior parte della popolazione romena non vede gli animali da compagnia come degli esseri viventi, ma come degli oggetti che devono avere un’utilità pratica […] è una mentalità antica. Al posto della sterilizzazione dei cani si pratica l’abbandono, mentre le leggi che ci sono non vengono applicate per via della cattiva gestione da parte delle autorità […] Le adozioni dei cani randagi rappresentano soltanto il primo passo".
Tutti questi sforzi degli attivisti per i diritti degli animali sembrano, però, nascondere una reazione più profonda. Il sentimento di impotenza di fronte all’apatia e alla corruzione delle autorità nel gestire il problema dei cani senza padrone parla anche della trascuratezza con cui trattano anche i propri cittadini. Insieme alla spedizione dei cani lontano da quel paese che, negli ultimi 15-20 anni, ha gestito il problema del “miglior amico dell’uomo” in un modo terribile, si produce una specie di cessione della speranza di una vita migliore. Almeno per loro.
Ed ecco che se ne vanno anche i nostri cani.
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