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Romania: proteste in vitro

Nelle scorse settimane in Romania ortodossi e cattolici si sono trovati fianco a fianco per protestare contro un progetto di legge sulla fecondazione in vitro. E per ribadire la loro contrarietà all’aborto. Un approfondimento

04/04/2012, Daniela Mogavero -

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Una “marcia per la vita”, così l’hanno definita gli organizzatori della manifestazione che ha portato in piazza in 17 città romene lo scorso 24 marzo centinaia di persone per protestare contro l’aborto e il nuovo disegno di legge sulla fecondazione in vitro allo studio del governo. Un corteo promosso da un gruppo eterogeneo, formato dai vescovi cattolici, greco-cattolici, ortodossi-bizantini, evangelici e dai movimenti pro-vita, un movimento unito dalla comune lotta alle autorità romene sul tema della natalità e la difesa della vita. La denuncia è forte e senza mezzi termini: il governo deve investire di più per sostenere la maternità e la famiglia e informare meglio sulle conseguenze dell’aborto piuttosto che stanziare fondi per la fecondazione eterologa e l’utero in affitto.

L’eredità di Ceauşescu

Per i rappresentanti del Vaticano e delle altre confessioni cristiane coinvolte, infatti, bastano le spaventose cifre sull’aborto che sono state comunicate del ministero della Sanità del Paese balcanico a giustificare questa posizione: dal 1958, quando fu approvata la legge per l’interruzione volontaria di gravidanza, sono stati praticati più di 22 milioni di aborti, un numero pari all’attuale popolazione romena e che dà al Paese il primato di aborti in tutta Europa. La legge del 1958 portò nel 1965 al record assoluto di aborti: 1.115.000 in un solo anno. L’anno successivo, il 1966, è l’anno del famoso decreto 770, con il quale per arrivare ad un incremento demografico si vietò l’aborto e qualsiasi misura contraccettiva. Con conseguenze che solo in questi anni iniziano ad emergere.

Il Paese oggi sembra ancora ricordare le politiche sulla natalità messe in atto da Nicolae Ceauşescu negli anni Sessanta e per molte donne l’interruzione di gravidanza è un diritto acquisito e da difendere. Gli organizzatori della "Marcia per la vita" sono stati di conseguenza criticati da buona parte dell’opinione pubblica che li ha accusati di essere bigotti e “peggio dei comunisti”, come si legge su molti forum di discussione sull’argomento. Buona parte dei romeni ritiene che le scelte legate alla sfera sessuale di ogni individuo sia personale, ma ammette che sarebbe necessario informare meglio anche i giovani sull’educazione sessuale, per migliorarne la consapevolezza.

Nella politica, però, c’è chi sta ripensando a regole più severe per l’accesso alle procedure di interruzione della gravidanza. Si tratta di un gruppo di parlamentari del Pdl (il partito del presidente Traian Băsescu), che vorrebbe irrigidire le norme legate all’aborto: chi si presenta per effettuare l’operazione, secondo l’idea delle deputate proponenti, dovrà partecipare a cinque giorni di incontri di consulenza sui rischi e le conseguenze mediche e psicologiche dell’aborto e solo se dopo questo lasso di tempo si ripresenterà con le stesse convinzioni potrà accedere all’intervento. Davanti a questa proposta varie associazioni femminili hanno levato gli scudi spiegando che già esiste il “consenso informato” prima dell’intervento e che l’aborto è una libera scelta di ciascuna donna.

La maternità è un dono, non un diritto

Tornando alla manifestazione, monsignor Cornel Damian, vescovo dell’arcidiocesi di Bucarest (chiesa cattolica-latina, ndr), che ha condannato il ricorso frettoloso all’interruzione di gravidanza, ha criticato anche la proposta di legge sulla fecondazione in vitro, secondo punto caldo della protesta per il diritto alla vita. La bozza, ha detto l’alto prelato, è “un attacco alla dignità della persona, all’integrità della famiglia e anche alla stabilità della società. Il bambino è una persona e non può essere considerato come un prodotto da laboratorio. La Chiesa era ed è da sempre vicina a quei genitori che vogliono ma non possono avere figli. Ma desideriamo ricordare che il dono inestimabile della maternità e della paternità non viene raggiunto ad ogni costo". La conferenza episcopale romena, inoltre, ha fatto le proprie richieste inviando una lettera aperta al governo perché cancelli la bozza di legge che contiene la possibilità, tra le altre cose, di utilizzare una madre surrogata o di un terzo donatore per avere un figlio.

Deregulation

La querelle sulla fecondazione in vitro in Romania è aperta da tempo soprattutto perché il settore va avanti da anni senza regole precise, trasformando, recentemente, il Paese in meta di turismo sanitario, per i bassi costi e il traffico illegale di ovuli. Ha fatto discutere la decisione dei mesi scorsi del ministero della Sanità che ha garantito un programma di fertilizzazione in vitro per le coppie sterili, grazie al quale gli aspiranti genitori possono effettuare un primo tentativo gratuitamente sia presso gli ospedali pubblici sia nelle cliniche private. L’assicurazione sanitaria nazionale coprirà i costi del primo impianto con uno stanziamento annuale di un milione di euro. E’ stato calcolato che per il 2011 800 coppie hanno potuto beneficiare del programma.

Negli ultimi due anni circa 6.000 bambini sono nati in Romania dopo l’inseminazione artificiale, secondo l’Agenzia nazionale per i trapianti.

Oltre al settore della sanità pubblica esiste un universo di cliniche private che a prezzi più che competitivi, soprattutto rispetto alle vicine Repubblica ceca e Ucraina, offrono il sogno di un bambino anche a coppie straniere, provenienti dall’Europa occidentale. Un mondo che ha fatto parlare di sé anche per numerosi scandali.

Uno dei più eclatanti quello che nell’estate del 2009 portò all’arresto dei vertici di un’organizzazione collaudata e che lavorava a pieno ritmo nella clinica "Sabyc" di Bucarest, fondata e gestita da un medico israeliano nel 1999 e che tra i suoi clienti annoverava, come sottolineato nella prima pagina del suo sito, soprattutto italiani, britannici e israeliani. Un business da centinaia di migliaia di euro in cui giovani donne – fino ai 30 anni ma anche quindicenni – provenienti da Israele o dalla Romania venivano pagate sino a un massimo di 280 euro per l’espianto degli ovuli. Successivamente le coppie straniere che arrivavano in gruppo accompagnate da medici di collegamento, pagavano tra i 10 e i 15 mila euro per procedere alla fecondazione in vitro.

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