Romania: parti in casa, paura dell’ospedale
Il timore di non ricevere adeguata assistenza in ospedale sta spingendo alcune donne rumene a scegliere il parto in casa. Che però è illegale. Reportage
(Pubblicato originariamente da Brrlog il 7 agosto 2017, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)
E’ al secondo mese di gravidanza che Diana, su Internet, ha visto la storia di alcune donne che partoriscono in casa. Approfondendo la sua ricerca ha rintracciato il nome di Lili, una levatrice rumena. Qualche giorno dopo Diana è andata in un caffè di Bucarest dove Lili aveva organizzato un incontro sul parto in casa. “Quando ho scoperto di cosa si trattava, ho deciso di partorire anch’io in casa”, racconta Diana che vede il parto come un momento intimo, condiviso con il marito Andrei. Vuole poter tenere il neonato tra le braccia, senza che un operatore sanitario se lo prenda subito per la pesata o per pulirlo.
La paura dell’ospedale
Il parto in casa è una pratica comune in molti paesi d’Europa ma, dal 2014, in Romania è illegale. O meglio, per essere più precisi, partorire con l’assistenza solo di un’ostetrica e non anche di un medico è illegale. I medici però sono in una posizione ambigua: la legge non vieta loro di assistere un parto in casa ma allo stesso tempo non li autorizza nemmeno a farlo.
Questo però non impedisce a centinaia di donne all’anno di provarci. Per vivere un’esperienza “naturale” ma anche per paura degli ospedali e del personale medico.
Queste donne infatti non vogliono finire nella catena di montaggio che porta, quasi sistematicamente, al taglio cesareo. La Romania ha il tasso di tagli cesarei più alto d’Europa, attestandosi al 44% tra tutti i parti effettuati. Una delle ragioni è legate agli interessi finanziari in ballo: un medico può programmare i cesarei mentre è di servizio mentre i parti naturali rischiano di avere tempi più lunghi ed imprevedibili. Inoltre la şpagă – pratica informale che consiste nel remunerare con denaro il personale ospedaliero per assicurarsi un servizio degno – è più elevata per un cesareo (tra i 220 e i 320 euro) rispetto ad un parto naturale (tra i 100 e i 190 euro). Negli ospedali privati un parto costa circa 1500 euro.
In Romania inoltre molte donne sono ancora traumatizzate da ciò che avveniva durante il periodo comunista quando l’aborto era illegale. “Il parto rimane quindi considerato come un male necessario piuttosto che come un’esperienza arricchente", spiega l’antropologa Alexandra Dincă. "Considerato questo passato, quale delle nostre madri sarebbe in grado di dire che il parto è stata un’esperienza magnifica?”, aggiunge.
60 ore di travaglio
Durante l’incontro Diana è stata conquistata dalla gentilezza di Lili e dalla sua esperienza. L’ostetrica ha raccontato di aver aiutato 199 donne a partorire in casa e tra queste solo 24 hanno dovuto terminare il travaglio in ospedale per evitare potenziali complicazioni. Lili comunque domanda alle donne che assiste di avere un piano di soccorso e di trasporto verso la clinica più vicina, nel caso dovessero esservi dei problemi.
Diana ha paura dell’ospedale fin da piccola, quando le è stata diagnosticata una meningite al posto di una polmonite. Una paura approfondita da altre esperienze negative. “Amiche che hanno partorito in ospedale mi hanno detto di aver subito un’episiotomia senza che fosse stata chiesta loro alcuna autorizzazione”, racconta. “E all’ospedale, tutto è robotizzato, medicalizzato e il personale non dimostra alcuna compassione”.
A Diana si sono rotte le acque una domenica di marzo. Tutto era pronto da una settimana: del tè per l’espulsione della placenta, l’argento colloidale per disinfettare e un unguento per le cicatrizzazioni. E dei vestitini per la neonata. Che ha poi ricevuto il nome Lili.
“Perché guardi al tuo interno? Perché non la lasci uscire?” chiede Lili a Diana dopo 60 ore di travaglio. “Non so, non ce la faccio”, risponde Diana spingendo. Lili chiama un dottore per un consiglio. Quest’ultimo le dice che hanno ancora due ore di tempo ma che poi occorre andare in ospedale. Lili mette giù il telefono ma non vuole aspettare, teme che se il travaglio si allunga troppo la bambina vada in sofferenza. “Prepariamo le tue cose”, dice a Diana. Diana piange: “Ho fatto tutti questi sforzi per non andare all’ospedale ed ecco cosa mi tocca fare”.
Diana chiama la sua ginecologa, le mente dicendo di aver perso le acque da solo due ore spiegando di essere già per strada, per giustificare il ritardo della chiamata. Andrei la porta in ospedale. Lili invece è obbligata a sparire. Dato che operano al di fuori della legge le levatrici che aiutano a partorire in casa non possono assumersi alcuna responsabilità.
Poca assistenza nella gravidanza
180.000 neonati nascono ogni anno in Romania. Un terzo delle donne che li partoriscono non effettuano alcuna visita medica durante la gravidanza a causa della difficoltà d’accesso ad ambulatori medici, in particolare nelle zone rurali. La figura dell’ostetrica potrebbe aiutare a risolvere questo problema, assistendo quelle gravidanze che si svolgono senza problemi ed indirizzando invece all’assistenza medica chi riscontra difficoltà. Con il loro aiuto la vita delle donne e dei neonati nelle zone più svantaggiate non sarebbe più sottomessa a questa macabra lotteria: la Romania detiene il triste record di mortalità infantile dell’Ue.
"Le ostetriche sono però poco considerate e anche questa è un’eredità del periodo comunista", sottolinea l’antropologa Alexandra Dincă.
Prima della Seconda guerra mondiale la levatrice era una persona chiave dei villaggi rumeni, seguiva i parti e praticava gli aborti. Negli anni ’70 le scuole che formavano le ostetriche sono state chiuse nel contesto del divieto della pratica dell’aborto. Sono state riaperte solo nel 2008, sotto le pressioni dell’Unione europea. Ma attualmente le ostetriche sono a malapena utilizzate come infermiere nel reparto maternità.
"Ma certo che fa male", si sente dire Diana all’ospedale "è un parto, cosa s’aspettava?". Dopo un’ora passata tentando di dar vita alla bambina l’infermiera chiede a Diana se vuole il parto cesareo. Lei, spossata, risponde semplicemente "si".
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