Romania: litigi e rimpasti
Sono ormai 21 i ministri sostituiti dal primo ministro ombra Liviu Dragnea, leader dei socialdemocratici. Ad inizio settimana l’ennesima azione volta a controllare col pugno di ferro la disciplina di partito e il governo del paese
La Romania sta stupendo e al contempo preoccupando i suoi partner internazionali soprattutto per via degli accadimenti di politica interna in cui appare sempre più evidente che le decisioni vengono prese da un’unica persona: Liviu Dragnea, presidente del Partito Socialdemocratico (Psd), il più grande partito della Romania. Negli ormai due anni trascorsi dalla loro ultima affermazione elettorale i socialdemocratici hanno nominato tre diversi primi ministri e cambiato 21 ministri. Gli ultimi – ben sette – hanno perso la poltrona lunedì scorso, a seguito di una decisione del comitato esecutivo del Psd, che ha anche sollevato da ogni suo incarico in seno al partito l’attuale sindaco di Bucarest Gabriela Firea.
“Il sultan de Romania”, così viene ormai definito Dragnea in patria, sembra quindi perseguire con ogni mezzo la sua corsa verso la riforma della giustizia che, a detta dei critici, altro non farebbe che favorire i politici corrotti. Una riforma criticata più volte da Bruxelles e contro la quale la società civile romena organizza da due anni proteste di piazza.
Un uomo solo al comando
Già condannato per corruzione, il leader del PSD, dopo la vittoria elettorale, non ha potuto rivendicare la carica di primo ministro non essendo incensurato. Nonostante si sia aggiudicato “solo” la carica di presidente della Camera dei Deputati, il capo del Psd continua però ad essere colui che effettivamente guida il paese.
Per via del suo autoritarismo, Dragnea è stato di recente apertamente criticato dalla sindaca di Bucarest, Gabriela Firea. Critiche che sono costate a Firea la revoca di tutte le cariche che ricopriva nel partito. Completamente isolata Firea è rimasta un semplice membro del Psd e le è stato revocato l’appoggio del Psd anche in consiglio comunale.
Sono stati pochi però gli analisti che hanno visto in Firea una vittima. Il giornalista Cristian Tudor Popescu ha sottolineato ad esempio che le cariche di Firea sono state tolte nello stesso modo in cui le erano state date: molto rapido, considerata la poca anzianità nel partito e che sono ben altri i problemi di Bucarest che non il destino politico dell’attuale sindaca.
Tra i ministri sostituiti vi è quello della Difesa, Mihai Fifor, colpevole in passato di aver sottoscritto insieme ad altri membri del Psd una lettera in cui si criticava l’operato di Dragnea. Mentre ha tolto la carica a Fifor, Dragnea ha nominato invece all’Istruzione Ecaterina Andronescu – una sua costante critica – in modo, sottolineano gli analisti, di renderla con la concessione di un ministero alleata fedele.
Iohannis e l’Ue
Il continuo cambio di premier e ministri in Romania ha provocato ripetute tensioni con il capo dello stato, Klaus Iohannis. Iohannis, che ha già annunciato che l’anno prossimo correrà di nuovo per la carica più alta dello stato, ritiene che il governo a guida socialdemocratica sia "un incidente della democrazia romena" e che dovrebbe essere sostituito al più presto in quanto la situazione sarebbe ormai fuori controllo senza alcuna possibilità di governare in modo "coretto e responsabile".
Iohannis rimane inoltre fortemente critico rispetto alle modifiche apportate di recente al codice penale e non ha esitato a far sapere a Bruxelles che la Romania non è a suo avviso preparata ad assumere la presidenza di turno dell’UE a partire dal primo gennaio prossimo. Un atteggiamento considerato dai rappresentanti del Psd chiaramente nocivo degli interessi del paese. Il discorso patriotico e nazionalista viene spesso utilizzato dai socialdemocratici, lasciando intendere che chi critica la politica del Psd, critica la Romania e quindi non sarebbe un buon patriota.
Recentemente la Romania è stata duramente ammonita da Bruxelles nel rapporto di monitoraggio sul capitolo Giustizia. La Commissione Europea si è espressa più volte sullo stato di diritto in Romania, mentre anche il Parlamento di Strasburgo ha adottato una risoluzione in merito.
Alcuni europarlamentari hanno chiesto inoltre di attivare l’articolo 7 come nel caso della Polonia e dell’Ungheria, per violazione dei principi e dei valori su cui si fonda l’UE. Per l’esecutivo di Bucarest tutto questo non sarebbe altro che ingerenza impropria negli affari interni della Romania e rappresentanti dei socialdemocratici sono arrivati ad accusare il presidente Iohannis di pianificare un colpo di stato.
Battaglia continua
L’ultima battaglia nella guerra tra il Psd e il presidente della Romania è avvenuta quando Iohannis ha respinto due delle nomine proposte dai socialdemocratici nel sopracitato rimpasto di governo. Si tratta di ministri che avevano ricoperto cariche ministeriali ai quali ora venivano assegnati altri ministeri. Il capo dello Stato ha ritenuto, nonostante questo, che i due non erano sufficientemente qualificati per i posti assegnati.
Ilan Laufer, uno dei due, non è stato accettato dal presidente Iohannis per la carica di ministro per lo Sviluppo. Laufer, dopo la bocciatura, ha accusato Iohannis di antisemitismo, aggiungendo che il capo dello Stato (appartenente alla minoranza tedesca in Romania, ndr) si sarebbe macchiato già in passato di dichiarazioni contro gli ebrei.
Le affermazioni di Laufer non sono certo passate inosservate. Per l’ex presidente della Repubblica, Train Băsescu, si tratta di accuse che dimostrano come lo scontro politico tra il Presidente e i leader della coalizione al potere si sia spinto oltre i canoni accettabili. Il direttore dell’Istituto Elie Wiesel Romania, Alexandru Florian, ha invece tentato di smorzare i toni dichiarando che quella di Laufer è una dichiarazione dettata dall’emozione, con molta verve politica e nient’altro.
Mentre in Romania si coltiva costantemente da parte dei politici un clima teso, il paese si avvicina ai festeggiamenti per l’anniversario di 100 anni della Grande Unione, quando il primo dicembre 1918 la Transilvania tornò a far parte dello stato unitario romeno. Il clima che oggi si respira però non è affatto di unità, bensì di forte scissione politica e di conseguenza anche sociale.
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