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Romania: la battaglia sul codice penale

12 ambasciate hanno chiesto al governo di Bucarest di rinunciare alla riforma del codice penale. Ma il Partito social-democratico si stringe attorno al suo leader Liviu Dragnea che, senza modifiche legislative, rischia il carcere per corruzione

02/07/2018, Mihaela Iordache -

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In un paese dove i pensionati guardano le vetrine dei supermercati a lungo senza comprare nulla oppure comprano contando con le mani tremanti anche l’ultimo centesimo, molti leader politici sono indagati e condannati per corruzione, per danni allo stato di milioni di euro. Soldi mancanti per lo sviluppo del paese ma assai utili per il benessere personale di pochi e materializzati spesso in ville con piscine, il cui valore è impossibile da giustificare ma vengono “salvate” da prestanome, donazioni ai figli, parenti ecc.

Una situazione che ha spinto milioni di romeni (circa 4 milioni) ad emigrare, facendo della Romania il secondo paese al mondo (dopo la Siria) per quanto riguarda l’emigrazione della propria popolazione.

La Romania resta uno dei paesi più corrotti e poveri dell’Unione europea. Da anni, il Dipartimento Anticorruzione (il DNA) indaga su alti atti di corruzione. Una corruzione senza colore politico nello stesso modo in cui neanche i soldi hanno odore.

Ma mentre la lotta alla corruzione si fa sempre più decisa, anche la risposta dei politici al potere si fa sempre più dura. Ed è sempre più forte la determinazione dei social democratici del PSD a riformare il codice penale pur di alleggerire la pressione sui corrotti. In coalizione con un partito minore – l’Alleanza Social Liberale (ALDE) – i socialdemocratici stanno sfidando l’Unione europea, le proteste di strada, gli appelli arrivati dalle ambasciate affinché non si tocchi il codice penale e non si approvino leggi ad personam, per salvare dal carcere l’uomo forte della politica romena – cioè Liviu Dragnea – nonché presidente del PSD e premier de facto.

Intervengono le ambasciate

Giovedì 28 giugno le ambasciate di 12 paesi (Belgio, Canada, Danimarca, Svizzera, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Stati Uniti) hanno trasmesso una dichiarazione comune con la quale fanno appello a tutte le parti coinvolte nella modifica del Codice penale e del Codice di procedura penale per evitare i cambiamenti che potrebbero a loro avviso indebolire lo stato di diritto e la lotta alla corruzione in Romania. I paesi firmatari si dicono preoccupati che le modifiche riportate e tanto volute dal PSD possano avere un impatto negativo sulla cooperazione internazionale nell’ambito della criminalità organizzata transfrontaliera, della criminalità finanziaria, del traffico di stupefacenti e di esseri umani.

In replica, il ministero degli Affari esteri romeno, ha tenuto precisare che attuare modifiche nell’ambito penale sono un attributo del Parlamento conferitogli dalla Costituzione. Inoltre, ha sottolineato il ministero, sono state rispettate tutte le tappe necessarie ad una modifica legislativa, tra cui una consultazione pubblica per favorire il dialogo con i cittadini.

Per i socialdemocratici la riforma della Giustizia va fatta perché, dice il presidente della Commissione giuridica del Parlamento, il deputato Florin Iordache, solo in questo modo si può mettere fine agli abusi attuali.

E di abusi parlano sempre più spesso i membri del PSD, a decine indagati per corruzione. E parlano anche di vendette politiche attribuite ad uno stato parallelo che sarebbe formato dallo stesso Dipartimento Anticorruzione e di cui farebbe parte lo stesso presidente della Romania, Klaus Iohannis. Vengono inoltre dipinti scenari dove vi sarebbero forze che mirano a rovesciare il potere, mandando in carcere Liviu Dragnea, il leader PSD.

Il PSD inoltre spinge affinché Laura Codruta Kovesi, a capo del Dipartimento Anticorruzione, venga presto sospesa dall’incarico da parte del presidente della Repubblica. Ma quest’ultimo prende tempo in un conflitto che vede ormai coinvolte le principali istituzioni dello stato e che sembra non finire più. Tra l’altro, l’anno prossimo, sono in programma le elezioni per designare il nuovo presidente della Romania.

Intanto il governo guidato da Viorica Dancila è sopravvissuto ad una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione che lo accusa di “danneggiare l’economia” ed è inoltre molto critica sulla riforma del Codice penale.

Ma il PSD si presenta sempre più unito intorno al proprio leader e continua ad annunciare aumenti di pensioni dopo aver già aggiustato gli stipendi degli statali, mentre l’inflazione batte i record nell’UE.

In questo contesto la stampa romena è visibilmente schierata: c’è chi è con il governo e chi è contro, sostenendo le proteste di strada. Del resto la stessa società romena è drammaticamente divisa: da una parte gli elettori PSD, molti dei  quali dipendono dai sussidi statali, e dall’altro il movimento #Rezist, che vuole difendere la giustizia ma i cui attivisti in passato speso non si sono presentati a votare, delusi da una politica ritenuta corrotta e arrogante. E tutto in una “salsa” condita dalle consulenze degli uomini dei servizi, alcuni dei quali in pensione (dopo aver lavorato per Ceaușescu) ma che continuano – secondo alcuni analisti romeni – a “consigliare” (a pagamento) i leader politici e sono comunque presenze fisse nei dibattiti televisivi.

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