Romania: infermiere con la valigia
E’ un vero e proprio esodo qeullo delle infermiere rumene verso l’estero. Una ricerca di condizioni di lavoro migliori e di salari sensibilmente più alti non esente però da rischi e difficoltà.
Ormai il fenomeno dell’emigrazione della mano d’opera dai paesi dell’Est verso l’Occidente non è più una sorpresa per nessuno. "Il popolo delle badanti", come spesso viene chiamato in Italia, è composto da donne straniere. Si stima che quasi il 20% di loro proviene dalla Romania.
Ma anche nell’ambito sanitario prende sempre più piede "l’import" di infermiere straniere. In Europa servono infermieri e i giovani rumeni certo non si tirano indietro. Anche perché all’estero è possibile guadagnare stipendi anche 10 volte superiori a quello percepito in Romania.
Del resto si fa in fretta dato che lo stipendio medio netto per gli infermieri si aggira in Romania sui 100 euro e che all’estero si possono guadagnare 600, 1000 euro o ancora di più.
Ma non solo questo. La maggior parte delle infermiere romene all’estero si dichiara contenta anche per le condizioni di lavoro. Dicono di essere rispettate per la loro professionalità e per il lavoro reso, che nessuno le sgrida o le ordina cosa devono fare e che non devono confrontarsi con la mancanza di strumentazione medica e sanitaria.
Ci sono indubbiamente anche altri aspetti da ricordare. I problemi burocratici, i soldi necessari per il viaggio, la difficoltà legata al doversi ambientare in un nuovo posto di lavoro e, proprio da non sottovalutare, c’è anche la trappola dei falsi intermediari: quelli che promettono di tutto ma che alla fine rischiano d’essere dei veri e propri trafficanti di persone.
L’odissea verso l’ovest comincia con la comprensione delle procedure burocratiche da adempiere per lavorare all’estero. Le offerte di lavoro non mancano. Sono ricercatissimi gli infermieri pediatrici, gli esperti in terapia intensiva, chirurgia o di medicina generale.
Molte sono anche le offerte per lavorare nei centri per gli anziani. Che sembrano dei "veri alberghi di lusso", confessa qualche infermiera romena che lavora in uno di questi istituti in Svizzera.
Ma le partenze di molti infermieri specializzati ha come naturale conseguenza una carenza di personale negli ospedali romeni. Nel periodo che va dal 7 gennaio 2003 al 31 marzo 2004 alla sede dell’Ordine degli Infermieri, filiale della città di Iasi nell’Est della Romania, più di 300 infermieri hanno ritirato i certificati necessari per andare a lavorare fuori dal Paese.
Nel principale ospedale della contea di Neamt quasi ogni mese si organizzano concorsi per occupare i posti rimasti liberi dopo la partenza delle infermiere. E a Vaslui, un’altra città della Moldova romena nell’est del Paese, negli ultimi 4 anni più di 120 infermiere sono emigrate in Italia. L’elenco può continuare anche per altre zone della Romania.
Per i giovani diplomati dei collegi le prospettive continuano paradossalmente a non essere rosee. I posti di lavoro sono comunque scarsi rispetto al numero di giovani diplomati. La riforma del sistema sanitario ha significato numerosi licenziamenti e migliaia di altri dipendenti sarebbero sulla "lista nera".
Le offerte dall’estero non mancano anche se devono rientrare in accordi quadro istituzionali tra il Ministero del lavoro e gi enti stranieri interessati ad "importare infermieri". Oppure, a livello locale, tra governo e contee e province che garantiscano un inserimento regolare e tutelato.
In ogni caso, per lavorare nell’ambito sanitario, l’interessato deve essere un buon specialista, legalizzare un sacco di documenti – il che ovviamente costa e non poco – conoscere la lingua del Paese dove vuole andare, passare le interviste con i rappresentanti del Ministero romeno e con la controparte estera. Pagare poi diverse tasse e soprattutto non essere mai sicuro di essere tra quelli che avranno un contratto di lavoro in Italia- la destinazione preferita delle infermiere romene- oppure in Germania, Svizzera, Spagna, Usa o Gran Bretagna.
Inoltre le interessate/i devono essere munite/i di molta pazienza. Almeno davanti alla burocrazia soffocante, a volte assurda. I documenti richiesti comunque sono numerosi, ma più "traumatizzante" di tutto è la loro legalizzazione. Prima di tutto, i diplomi, certificati ecc.., devono essere tradotti, poi legalizzati dal Ministero dell’Educazione o della Salute, dal Ministero degli Esteri e dal Ministero della Giustizia che deve mettere l’ultimo timbro. Ma il grande problema è che non si arriva mai facilmente davanti al funzionario. Si fa la fila, ci si sveglia prestissimo alla mattina per prendere un numero su una lista, poi magari finisce l’orario di lavoro dell’impiegato e si deve fare tutto daccapo.
La cultura del rispetto verso il cittadino/utente in Romania è, per utilizzare un eufemismo, tuttora in via di formazione. Ritornando però all’infermiera decisa a lasciare tutto alle spalle per lavorare all’estero, se avrà la fortuna di essere selezionata, dovrà avere soldi per il viaggio e per le emergenze.
Inoltre, se l’infermiera è sposata ed ha dei figli, dovrà lasciarli, almeno all’inizio, in patria. Sarà allora il marito a doversi prendere direttamente cura dei bambini mentre la mamma arriverà quando avrà le ferie, ma nel frattempo invierà mensilmente soldi a casa. E forse, prima o poi, si riuscirà ad ottenere anche il ricongiungimento famigliare.
Chi invece approfitta enormemente della migrazione delle infermiere romene, e della forte richiesta che c’è sono gli intermediari. Un avviso pubblicato dal Ministero del Lavoro mette in guardia le persone che vogliono andare a lavorare all’estero sulla possibilità di incontrare impostori, come spesso è accaduto negli ultimi anni. Questi ultimi sono in ogni caso tuttora in azione.
Legalmente in Romania possono occuparsi di attività che riguardano il reclutamento della mano d’opera solo agenti specializzati in questo campo, società commerciali romene costituite in base alla legge 31/90, filiali , succursali delle società commerciali straniere autorizzate secondo l’articolo 44 dalla legge 31/90.
E c’è poi ovviamente l’Ufficio per la Migrazione della Forza del Lavoro che è autorizzato ad occuparsi del reclutamento e dell’inserimento della mano d’opera.
Non possono invece svolgere tale attività le associazioni, le fondazioni o persone fisiche. I siti romeni, ma anche italiani, abbondano di offerte di lavoro per infermiere. A volte il nome della società nominata non dice molto. Per contattarla un numero di telefono, un cellulare, in modo non possa essere recuperato sull’elenco telefonico.
E molte aspiranti infermiere cadono nella rete. Credono a quella gente che promette di tutto: stipendi di 1500 euro, alloggio gratis, viaggio gratis, il pasto per un euro al giorno. E per i documenti non servirebbe nemmeno aspettare sette mesi ma solo due mesi.
Queste informazioni e offerte circolano su internet e vengono pubblicate come annunci sui giornali. Le autorità consigliano sempre di verificare le credenziali delle società presso gli enti locali competenti.
Ma non sono poche le persone che ci cascano. Partono con la speranza di lavorare in Italia dove spesso finiscono per essere sfruttate. Le donne vengono tutte alloggiate nello stesso appartamento, i passaporti sequestrati e la stessa cosa avviene per una percentuale dello stipendio, naturalmente più basso di quello promesso.
Questi casi di sfruttamento si sono purtroppo diffusi. Le forme estreme che possono assumere arrivano fino alla prostituzione. E spesso gli sfruttatori romeni non agiscono da soli ma in complicità con la mafia locale. Si parla spesso di una mafia nell’ambito dell’immigrazione di infermiere ma soprattutto di quella delle badanti. Contro una somma di denaro "gli intermediari" le fanno entrare in Italia con il visto turistico ,le trovano una persona anziana da assistere. La famiglia della persona anziana magari preferisce non mettere in regola la badante perché così pagherà di meno i servizi.
La badante romena, costretta dalle circostanze, accetterà il patto e ritornerà in Romania dopo i tre mesi di visto turistico, che non da diritto a cercare un lavoro regolarizzato. Al suo posto una parente o amica, per altri tre mesi. Anche quest’ultima troppo spesso sotto il controllo di chi ha organizzato il traffico inizialmente.
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