Romania, dieci anni dopo
Da una parte la pesante eredità paesaggistica e culturale del comunismo, dall’altra le sperequazioni portate da un capitalismo selvaggio. Ma non solo. Monasteri, foreste e villaggi medioevali. Si può ripartire da qui?
Ritorno in Romania dopo dieci anni. Era quel tragico agosto del ’95 quando ci andai per una strana vacanza, per cercare di capire quel paese dove i minatori marciavano contro gli studenti al grido "noi lavoriamo, non pensiamo" a difesa di quella che passerà alla storia come la prima rivoluzione dei servizi segreti. Gli echi della pulizia etnica della Kraijna ci arrivavano appena, mentre ancora non si aveva piena consapevolezza del genocidio di Srebrenica: moderne carneficine sotto gli occhi distratti della comunità internazionale.
Un paese sospeso
Era quello di dieci anni fa un viaggio privo di una meta precisa, fra le foreste, i villaggi medievali e le città della Transilvania, annusando l’aria che tirava in un paese che dietro ad ogni curva non cessava di stupirti, fra le macerie del vecchio regime autocratico – nel degrado delle case popolari e nel grido soffocato di una industrializzazione forzata che lasciava dietro di sé paesaggi da incubo, un delirio che l’homo sapiens forse nemmeno avrebbe osato immaginare – e la voglia di capitalismo.
La Romania del ’95 era un paese sospeso, dove tutto trasudava del vecchio regime (anche quella rivoluzione gattopardesca, studiata a tavolino nelle segrete stanze della Securitate come ci ha mirabilmente raccontato Paolo Rumiz nel suo "Maschere per un massacro") e dove ancora non si aveva che qualche vago sentore dell’invasione dei nuovi padroni che di lì a poco tempo avrebbero portato in quel paese il peggio del capitalismo occidentale.
Un paese sospeso fra la miseria e lo smarrimento di una popolazione per troppo tempo deresponsabilizzata, abituata all’invasività dello stato in ogni aspetto della propria esistenza, ed il rapido insorgere fra le seconde e terze file del vecchio regime dei nuovi ricchi, una nuova figura sociale a metà fra il burocrate ed il gangster, gente disposta a tutto, priva di valori e di scrupoli. Eppure in Romania la guerra non c’era stata, ma ciò nonostante le maschere assomigliavano in maniera impressionante con quel che rimaneva della vecchia Jugoslavia: Nicolae ed Elena, Slobodan e Mira, tutto già visto. La deregolazione in primo luogo, ingrediente solo apparentemente nuovo, che veniva da lontano invece, proprio dentro le pieghe di quel sistema mafioso che era in buona sostanza il socialismo reale.
Immagini che mi passano ancora oggi davanti agli occhi in maniera contrastante, paesaggi deliziosi di girasoli e frumento interrotti da villaggi e castelli usciti d’incanto da un film di Nosferatu, e valli trasformate in gironi infernali dove il degrado non conosceva limiti. Straordinarie potenzialità, ma un paese segnato in profondità, fin nell’animo delle persone.
Il peggio del libero mercato
Dieci anni dopo la realtà è cambiata, ma è difficile dire se in meglio o in peggio. I capannoni industriali e i centri commerciali abbondano, così il traffico nelle maggiori città. Accanto ai mostri arrugginiti dell’"uomo di ferro", sono ben visibili i segni dell’occidente, tanto che hai l’impressione che al peggio del comunismo si siano combinate le forme più parossistiche del mercato. Così quel poco che si guadagna in aziende dove si lavora per dieci-dodici ore al giorno (la paga media mensile è inferiore ai 250 euro), spesso con macchinari obsoleti e fuori norma nell’Europa delle regole ma non in questa, dove il sindacato non ha cittadinanza e chi si lamenta è licenziato in tronco, lo si spende nei grandi magazzini sorti come funghi dove un popolo senza difese s’indebita per la vita pur di corrispondere alle immagini della modernità che non hanno mai smesso di arrivare per coltivare i sogni di consumismo (scambiato per benessere) di tanta povera gente. Si traffica ogni cosa, non c’è problema, compresi gli esseri umani: così si alimenta il business dei motel, delle case da gioco, della prostituzione e dei night club davanti ai quali stazionano le Bmw e le Audi nei nostri imprenditori in libera uscita. Dal nulla sorgono stazioni turistiche che ti tolgono il fiato per quanto sono impattanti, ma questi sono i segni dello sviluppo.
Se sei nel business o almeno ai suoi margini più o meno te la cavi. Altrimenti devi avere qualche posizione di potere, anche piccola piccola, lavorare in polizia o alla finanza, ma anche in qualche ufficio statale, in un ospedale, addirittura in una scuola, tanto è diffuso il meccanismo della corruzione. In caso contrario sei fuori, out in tutti i sensi. Nel senso che il welfare è saltato completamente (per essere operato in un ospedale devi pagare, altrimenti ti arrangi). Nel senso che è sempre più difficile vivere del proprio lavoro (quando c’è), non parliamo delle pensioni… Così agli angoli delle vie nelle città vedi affollarsi gli anziani a vendere le loro misere cose o più semplicemente a chiedere la carità. Che scompaiono sul far della sera, per lasciare il posto ai negozi di moda e alle scintillanti automobili dei nuovi ricchi.
Un paese ricco
Sono queste immagini, solo apparentemente contraddittorie, che segnano la Romania di oggi. Un paese povero se guardiamo il reddito pro capite. Ulteriormente impoverito da una nuova industrializzazione che sfrutta le condizioni di deregolazione del lavoro e dell’uso illimitato delle materie prime. Ma che sarebbe straordinariamente ricco di suo. Ecco perché ricostruire un diverso tessuto economico, fondato sulla valorizzazione delle risorse del territorio, non dovrebbe essere un discorso impossibile.
La Romania è un paese bellissimo, ricoperto di boschi, pascoli ed immense campagne coltivate. Ricco di storia e di cultura. Ed è da qui che si può ripartire.
Il senso del nostro viaggio con Giorgio Nita, maestro di musica e musicista di strada in una Trento che pure l’ha accolto ma non gli permette di vivere in maniera dignitosa con la propria famiglia, sta proprio qui. Nella scommessa di avviare un progetto di turismo responsabile laddove prospera invece quello sessuale. Nell’andare a scoprire possibili itinerari di un turismo curioso ed intelligente, capace di apprezzare la straordinaria bellezza dei monasteri o la semplicità genuina dei cibi contadini. Per Giorgio, l’orgoglio di voler ritornare nel proprio paese per cercare di mettere in piedi un circuito del turismo rurale dove i colori, i sapori, i suoni diventano accoglienza per un turista al tempo stesso più disponibile e più esigente. Che non ha bisogno di grandi confort ma che sa apprezzare la panna preparata all’istante dal latte appena munto dalla signora Rodika, nella sua fattoria di Humorului, a due passi da uno dei monasteri più belli della Bucovina. La cui accoglienza e simpatia non fatica a far comprendere agli amici rumeni che ci accompagnano il valore aggiunto di questa modalità di fare turismo.
Il circuito dei monasteri della Bucovina …
Quello dei monasteri ortodossi della Bucovina, regione nord-orientale della Romania, al confine con la Moldova e l’Ucraina, è infatti uno dei circuiti di straordinario valore artistico culturale che Giorgio, sostenuto dal progetto di turismo responsabile nei Balcani (www.viaggiareibalcani.org), intende proporre. Testimonianza della grande tradizione rumeno-ortodossa, la maggior parte dei monasteri sono stati realizzati nel XV secolo da Stefano il Grande. Cinque di essi sono affrescati all’esterno oltre che all’interno, esempio forse unico al mondo di un’arte straordinaria per l’uso dei colori: oltre a Humorului, Moldovica, Suceavica, Voronet, Arbore. Tutti nell’arco di un centinaio di chilometri e così la visita a questi monasteri diviene la possibile meta quotidiana della scelta di alloggiare in una delle tante fattorie della zona disponibili ad ospitare i turisti a prezzi che quasi ci si vergogna da tanto sono bassi. Da non perdersi poi il monastero di Agapia nei pressi di Tirgu Neamt, noto per i fiori che ne abbelliscono i giardini dentro e fuori le mura, per il piccolo villaggio di monache, abitazioni di legno circondate da cascate di fiori, dove si può visitare la casa di Alexandro Vlahuta, uno dei più grandi scrittori rumeni che qui veniva a ricercare serenità. Oppure quello di Putna, proprio a pochi passi dal confine con l’Ucraina.
… e quello dei castelli della Transilvania…
Altro itinerario di un turismo dolce, improntato alla valorizzazione della storia e delle culture locali, è quello dei castelli della Transilvania. Una regione molto vasta, quest’ultima, dalle straordinarie bellezze naturali tutta circondata com’è dalla catena dei Monti Carpazi. E costellata di castelli e villaggi medievali, di cui si trova traccia fin nel cuore di città come Sighisoara o Brasov, con la sua chiesa nera ma prima ancora con il centro storico medievale. Da lì può partire un itinerario che ti fa viaggiare lungo la storia, dal castello di Bran – dove dimorava il famoso e sanguinario voivoda Vlad Dracul – a quello di Peles, nei pressi di Sinaia, località turistica che lascia trasparire un antico splendore ora piuttosto decadente. Il castello di Peles, dove gli Hohenzollern accoglievano i loro ospiti di ogni parte del mondo tanto da arredare le lussuose 160 stanze secondo i diversi stili e culture della fine ‘800, immerso nel verde rappresenta una perla di rara bellezza. Insomma da non perdere.
… che non smette di stupirti
Che la Romania sia un paese in grado di stupirti (nel bene e nel male) in continuazione lo dimostra anche un villaggio non distante da Ivesti, lungo la strada che da Galati sale verso Iasi. Si tratta di un villaggio di rom, dove le case sembrano uscite da una fiaba, con i tetti di alluminio lavorati e le mura arricchite da tanti specchi che riflettono la luce del sole. La stessa luce che potete trovare negli abiti ricamati delle donne che stazionano sulla porta di casa, il tutto a testimonianza di una comunità tutt’altro che ai margini. Oppure il "cimitero allegro" a Sapinta, non lontano da Sighetu Marmatiei, non lontano dal confine con l’Ucraina, dove da più di settant’anni le lapidi di legno colorato raccontano la storia dei defunti, i loro pregi e i loro difetti.
Non è questa la Romania della delocalizzazione. Ed è per quest’altra Romania che Giorgio Nita ha deciso di ritornare, la dignità e l’orgoglio di un paese provato tanto dal comunismo quanto dal post-comunismo, il cui riscatto può iniziare da piccole storie individuali di persone che amano questo paese e che non intendono lasciarlo nelle mani dei nuovi barbari.
Per informazioni:
Giorgio Nita – 348 2539708
Michele Nardelli –nardelli@osservatoriobalcani.org
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