Romania-Bulgaria: il giorno del ponte
Si inaugura oggi il secondo ponte sulla parte meridionale del Danubio. Il grande fiume, da frontiera tra Romania e Bulgaria, potrà ora divenire risorsa. E tutti si augurano possa risollevare le sorti di una delle regioni più povere d’Europa. Un reportage da Vidin
Dopo aver seminato panico e distruzione in Europa centrale, il Danubio cresce e s’ingrossa anche nella parte bassa del suo corso, che unisce e divide Romania e Bulgaria. L’acqua risale le rive scoscese degli argini. La piena però arriva smorzata e non dovrebbe rovinare la festa attesa da anni.
A Vidin tutto è pronto: oggi pomeriggio, alla presenza del neo-premier bulgaro Plamen Oresharski, di quello rumeno Victor Ponta e del commissario europeo per le politiche regionali Johannes Hahn, si inaugura il secondo ponte teso sul grande fiume tra i due paesi, un arco di cemento e acciaio di quasi duemila metri che unisce le sponde tra la città sulla sponda bulgara del Danubio e quella rumena di Calafat. A tagliare il nastro, secondo le informazioni della vigilia, non saranno i politici, comunque presenti numerosi, ma ingegneri ed operai che hanno lavorato all’opera.
Nella storia, questo è il quarto ponte che s’innalza sulle acque del Danubio nella parte bassa del suo corso attraverso l’Europa: due furono costruiti nell’antichità latina, sotto gli imperatori Traiano e Costantino. Il terzo, l’unico fino ad oggi operativo tra Bulgaria e Romania tra le città di Ruse e Giurgiu molte centinaia di chilometri più ad est, è stato innalzato negli anni ’50 sotto la supervisione e gli auspici dell’Unione sovietica col il nome altisonante di “Ponte dell’amicizia”.
Corridoio IV
Il nuovo ponte, finanziato in larga parte da fondi europei e battezzato più prosaicamente “Dunav Most II” (Ponte sul Danubio II), nasce accompagnato da speranze di rinascita economica e rivitalizzazione di un’area oggi depressa e spopolata: l’infrastruttura, parte del corridoio di trasporto pan-europeo IV, che da Dresda si snoda in direzione sud-est verso Salonicco ed Istanbul, da oggi unisce fisicamente la Bulgaria nord-occidentale, la regione in assoluto più povera dell’Unione e l’Oltenia rumena, appena più in alto nelle statistiche fornite dall’Eurostat.
“Per la nostra città e la regione circostante, questo ponte rappresenta un cambiamento epocale”. Gergo Gergov, giovane sindaco socialista di Vidin, fa il punto della situazione nel suo ufficio, nel grande edificio modernista sede del municipio, costruito in epoca socialista, che domina il centro città. “Fino ad oggi rappresentavamo un vicolo cieco, un confine senza sbocchi. Ora la frontiera con la Romania si apre, fisicamente e mentalmente: considerando anche la vicina Serbia, possiamo creare una regione integrata su cui gravitano circa 2 milioni di persone. Una regione che diventa interessante per investimenti non solo europei, ma anche cinesi e israeliani”.
Secondo le previsioni del governo bulgaro, soltanto nel primo anno, il ponte sarà attraversato da 415mila mezzi di trasporto (tra cui 210mila camion) e da quasi 5mila treni. Un aumento di traffico che non riguarderà solo Bulgaria e Romania, ma anche Serbia, Turchia, Macedonia e Grecia.
Secondo Gergov, Vidin ha da offrire possibilità interessanti nel campo dello sviluppo di know-how tecnologico, industria chimica e sfruttamento delle acque geotermali. abbondanti nell’area. Per non parlare delle potenzialità in campo agricolo. “Qui il 98% dei terreni possono essere irrigati con facilità. E la nostra regione è tradizionalmente conosciuta per la produzione di ortaggi e vino di qualità”.
Dopo il crollo del muro
Durante i decenni del regime, Vidin ha vissuto un forte processo di industrializzazione, sviluppata all’interno dei paradigmi dell’economia pianificata. Col crollo del muro, però, le grandi fabbriche sono entrate in crisi irreversibile, lasciando agli abitanti della regione prospettive sempre più grigie. Oggi, con le grandi aziende smantellate, il primo datore di lavoro a Vidin è la stessa municipalità, che occupa a circa 1500 persone. Per evitare povertà e disoccupazione in moltissimi hanno scelto la strada dell’emigrazione, soprattutto verso paesi come la Spagna, l’Italia e la Grecia, fenomeno che ha spopolato a fondo la Bulgaria nord-occidentale.
Un processo che ha condannato la regione a un panorama economico e sociale sempre più tetro. “Vivere a Vidin è difficile, forse mai come adesso”, ci confessa in una strada inondata di sole a pochi passi dal mercato all’aperto Valya Veselinova, giovane avvocato. “Le entrate delle famiglie sono quasi azzerate e con la crisi generale anche la strada dell’emigrazione è sempre meno percorribile. Per un giovane a Vidin non ci sono prospettive. Anche per questo sono così tante le speranze legate alla costruzione del ponte”.
Una fotografia condivisa dall’archimandrita Polikarp, che ci accoglie nella sede della metropolia ortodossa di Vidin. “I problemi economici della regione hanno avuto, tra gli effetti più negativi, la nascita di una mentalità assistenzialista, dove spesso chi lavora prende meno di chi è assistito”. E se in molti riescono in qualche modo ad arrangiarsi, le fasce più deboli sono condannate a situazioni drammatiche. “Alla mensa dei poveri che organizziamo ogni settimana, vengono soprattutto pensionati”, ci dice l’archimandrita. “Tanti di loro avevano un ruolo, anche importante nella comunità, erano insegnanti, medici, funzionari. Tutte persone oggi tagliate fuori ed emarginate”.
C’è però chi, nonostante le numerose difficoltà, mostra grande ottimismo per il futuro. Kosta Grivov, imprenditore e console onorario rumeno a Vidin, è il proprietario della Grivas, industria che impacchetta e distribuisce frutta secca, pistacchi e noccioline, e che per il 90% esporta proprio in Romania. “Su entrambe le rive del Danubio il business avrà grandi vantaggi dall’apertura del ponte, e questo può rimettere in moto l’economia sulle due rive del fiume. Fino ad oggi, l’attraversamento su ferry-boat rappresentava un grave svantaggio competitivo, sia per il costo, 90 euro a camion, che per l’insicurezza sulla tempistica. Per la traversata via nave non servono più di 15-20 minuti, ma i ferry partono solo quando sono pieni, e questo può rallentare di ore i trasferimenti”.
Grivov fa notare che l’interscambio commerciale tra Bulgaria e Romania, nonostante la crisi, negli ultimi anni è decuplicato, passando da 350 milioni di euro a circa 3,5 miliardi. “Fino ad oggi, però, la parte del leone è stata realizzata da imprese multinazionali. Ora, grazie al ponte, spero e credo che piccole e medie imprese possano espandere significativamente il proprio contributo, creando nuova occupazione”.
Il console racconta di imprenditori rumeni sempre più interessati ad investire a Vidin. “Alcuni hanno già spostato la propria sede in Bulgaria, attirati anche dal regime fiscale più conveniente rispetto alla Romania. Anche il mercato immobiliare viene sondato con crescente attenzione. Perchè l’opportunità creata dal ponte sia pienamente sfruttata”, sottolinea Grivov, “c’è pero bisogno che lo scambio aumenti anche a livello culturale. C’è un forte bisogno di persone capaci di padroneggiare con sicurezza sia la lingua bulgara che quella rumena, che oggi non sono abbastanza numerose”.
Timori
A Vidin e dintorni è difficile trovare voci contrarie al ponte. C’è però chi non nasconde stanchezza e un velo di disillusione sulla ricaduta dell’investimento, insieme a dubbi sul processo di realizzazione dell’opera. Come Vladimir Savov, combattivo direttore del quotidiano locale “Nie” (Noi). “Non nascondo di essere particolarmente legato al progetto: sono stato tra i promotori dell’idea, che fa parte della mia vita da inizio anni ’90. Dopo tanto aspettare, però, attendo l’inaugurazione del ponte con sentimenti contrastanti”.
Tra gli aspetti problematici sottolineati da Savov ci sono dubbi sulla procedura di assegnazione della gara d’appalto, vinta dalla ditta spagnola “FCC Construcción S.A.” , il forte ritardo nella realizzazione dell’opera (il ponte doveva essere consegnato nel marzo 2010), l’aumento vertiginoso dei costi di realizzazione, che definisce “incomprensibile”, per non parlare del forte divario nei livelli salariali tra i dipendenti bulgari e quelli internazionali impegnati nella costruzione.
“Le infrastrutture che accompagnano il ponte, poi, sono fatte male e di fatto hanno bloccato l’accesso alla città”, continua Savov. “Ne sono nate situazioni paradossali: i pompieri, per uscire dalla caserma, devono attraversare la pista ciclabile…”.
Una conferma arriva da Zahari Ignatov, primo sindaco democraticamente eletto di Antimovo, il villaggio più vicino all’imboccatura del ponte sul lato bulgaro. “Nonostante le nostre proteste, oggi la ferrovia e la strada che portano al ponte hanno tagliato l’accesso ai nostri campi. Il mio si trova a non più di 400 metri da casa mia, ma ora per arrivarci devo fare almeno 12 chilometri di strada”.
Lo stesso sindaco Gergov ha chiesto la creazione di una commissione che si occupi dei problemi creati soprattutto dalle infrastrutture di supporto al ponte, con la linea ferroviaria “che passando in città, ha tagliato fuori interi quartieri, senza assicurare il passaggio per i pedoni, e una zona industriale privata di strade di accesso”. Questioni che per il sindaco “non possono essere risolte senza l’intervento dello stato”.
Tutto solo
L’aspetto più problematico, secondo Savov, rimane però la “solitudine” dell’opera, al momento priva di connessioni stradali e ferroviarie moderne da e verso il ponte. Un parere largamente condiviso da cittadini ed élite politica ed economica di Vidin. “Oggi l’opera sul Danubio è poco più di una ‘cattedrale nel deserto’”, sostiene il direttore di “Nie”. “Porta da Vidin e Calafat, ma non connette ancora realmente Bulgaria e Romania. Da entrambi i lati del Danubio, strade e ferrovie che portano al ponte sono in stato pietoso. Per arrivare da Sofia in treno, percorrendo poco più 200 chilometri, servono quasi sei ore”.
Per Savov l’inaugurazione del ponte non è quindi un punto di arrivo, ma di partenza: “Sono stati fatti molti errori, ma oggi il ponte è una realtà, e da qui bisogna partire. Grazie a quest’opera le due rive del fiume sono finalmente unite, e questo è un bene. Ora però sta a noi accettare le sfide di questo nuovo contesto, e riuscire a valorizzare, insieme, bulgari e rumeni, questo bene comune, e a renderlo davvero fruttuoso”.
Insieme alle speranze per il futuro, il nuovo ponte sul Danubio porta però alla luce anche questioni irrisolte e vecchie ferite ancora non sanate. Risalendo la piana verdeggiante verso le alture che segnano il confine con la Serbia, si arriva nel villaggio di Rabrovo, dove la popolazione parla “valacco” o “rumeno”. Molti gruppi folcloristici si sono dati appuntamento da Romania, Serbia e Bulgaria per rafforzare i legami reciproci e preservare l’identità culturale di questa comunità che vive a cavallo del Danubio.
Minoranze di confine
“In Bulgaria ancora non si rispettano i diritti delle minoranze. La nostra, addirittura, non viene nemmeno riconosciuta come tale dallo stato, come invece accade per la minoranza bulgara in Romania”, denuncia Ivo Georgiev, presidente dell’Unione dei rumeni di Bulgaria, associazione che ha organizzato l’evento. “Al momento, il rumeno non viene insegnato in nessuna scuola in Bulgaria. E, seppure in sordina, questo diritto ci viene coscientemente negato”.
Secondo i dati ufficiali del censimento del 2011, in Bulgaria soltanto 3600 persone si sono identificate come “valacchi” e 850 come “rumeni”, mentre 5500 persone hanno indicato il rumeno come lingua madre. “Siamo convinti che queste statistiche siano falsate, siamo molti di più”, sostiene però Georgiev. “Basti pensare che solo nella zona di Vidin ci sono 32 villaggi dalla popolazione compattamente ‘valacca’ come ci chiamano gli altri, o ‘rumena’ come ci definiamo noi stessi”.
“Vorrei lanciare un messaggio alle autorità di Sofia: nell’Europa di oggi, se una minoranza fa esplicita richiesta di riconoscimento, questa dovrebbe essere soddisfatta, a prescindere che ad essere coinvolte siano cinque persone o cinque milioni”, ci dice Viorel Badea, senatore al parlamento di Bucarest, vicepresidente della commissione per i rumeni all’estero ed invitato speciale dell’evento. Il senatore si dice “preoccupato” dall’attuale situazione nella regione “dove esponenti del ministero degli Interni bulgaro sono impegnati a fare indagini sui leader della comunità rumena”. “Questo atteggiamento deve cessare”, chiosa Badea, “altrimenti più che entrare nell’Europa del terzo millennio, rischiamo di ritornare a quella medievale”.
Da frontiera a risorsa
Il ponte, secondo Badea, può però rappresentare un elemento di svolta anche rispetto alla situazione delle minoranze, grazie al naturale “avvicinamento” delle rive dopo la sua apertura al traffico. “E’ indubbio però che l ‘infrastruttura deve essere ampliata e migliorata anche sul lato rumeno. Le strade da Craiova a Calafat esistono, ma sono in rifacimento, perché la qualità è ancora lontana da quella che ci si potrebbe augurare. C’è bisogno di uno sguardo al futuro, e di continuare ad investire risorse, altrimenti questa inaugurazione rischia di restare solo un taglio del nastro. Ma se si lavora a fondo”, conclude il senatore, “il corridoio che viene aperto dal ponte potrebbe diventare uno dei più importanti in Europa, capace di legare i Balcani con l’Europa centrale”.
A gettare ulteriore acqua sul fuoco è Anton Pacuretu, ambasciatore rumeno a Sofia, anche lui presente all’evento di Rabrovo. “Esistono problemi da affrontare, ma i rapporti tra Bulgaria e Romania sono e restano ottimi. Con l’apertura del ponte di Vidin, anche il Danubio, a lungo considerato frontiera, torna ad essere sempre di più risorsa comune in un contesto europeo. Il ponte più importante”, conclude però Pacuretu, “può essere quello teso sul fiume dalla comunità nazionale bulgara in Romania da quella rumena in Bulgaria. Perché i rapporti umani durano più a lungo delle costruzioni d’ingegneria”.
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