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Roma: la cultura turca all’estero

A Roma il gennaio scorso è stato inaugurato il centro culturale turco "Yunus Emre".  L’istituto  vuole presentare la  Turchia a tutti gli italiani che desiderano conoscerla in modo autentico, dall’interno, superando gli stereotipi. Abbiamo incontrato Sevim Aktaş, la sua direttrice

05/03/2014, Fabrizio Polacco -

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Mentre i cittadini italiani di buon senso si affannano con mozioni e appelli ad evitare che il governo, in nome di una miope spending review, sopprima alcuni importanti Istituti italiani di cultura all’estero (come quelli di Lione e Stoccarda: ma perfino Ankara è a rischio), la Turchia ha avviato dal 2009 un ambizioso programma di apertura di centri culturali in un’area che va dall’Europa all’Asia centrale, dai Paesi del Medio Oriente a quelli del Mediterraneo.

Dopo soli cinque anni sono già più di trenta. La presenza è capillare nei Balcani (ben tre in Kosovo, due in Bosnia Erzegovina, Albania e Romania, uno in Macedonia-Fyrom) ma ce ne sono anche in Egitto, Ungheria, Kazakistan, Giordania, Libano: cioè anzitutto nei paesi legati alla Turchia dal passato ottomano o da comuni radici etnico-linguistiche. Le sedi aperte anche a Bruxelles, Londra, Parigi e Tokyo, tuttavia, rivelano la volontà di diffondere la conoscenza della cultura e della lingua turche non più su scala regionale, ma globale.

I centri intitolati al mistico e poeta nazionale turco ‘Yunus Emre’ paiono così collocarsi in una prospettiva di diffusione e di espansione culturale a largo raggio che trova parallelo negli istituti dei grandi paesi europei, come in quelli intitolati dalla Spagna a Cervantes e dalla Germania a Goethe. Inaugurato il 30 gennaio scorso dal Presidente della Repubblica Turca Gül durante la sua visita in Italia, quello di Roma è il trentatreesimo centro culturale turco all’estero. Si è scelta una sede prestigiosa: Palazzo Lancellotti in via dei Coronari (cioè a due passi da piazza Navona). Come ricorda un appunto che viene consegnato agli ospiti dell’Istituto, è uno dei capolavori dell’architettura e della pittura barocche, un’opera cui hanno messo mano artisti come il Domenichino e il Guercino.

Mi ritrovo dinanzi alla facciata del palazzo poco prima di sera, quando tra i negozi antiquari dell’isola pedonale risuonano le voci tranquille dei passanti e bisbiglia il getto d’acqua della fontana cinquecentesca della antistante Piazzetta San Simeone. Come mi è stato detto, busso azionando uno dei grossi batacchi di bronzo del portone. Ad aprirmi e a farmi accomodare è un giovane segretario del centro. In attesa che la direttrice mi conceda la sua intervista, mi racconta che quello dei Lancellotti è uno dei pochissimi palazzi nobiliari di Roma ancora abitato dalla famiglia che lo fece costruire. Intanto, mi accompagna a visitare i locali, che occupano un’ala intera del palazzo al pian terreno. Le sale sono pronte ad accogliere i futuri frequentatori, ma anche molto ben illuminate, soprattutto nelle volte: mi metto così ad ammirare i lavori dei pittori secenteschi con i loro tipici loggiati prospettici, le fastose allegorie femminili (ce ne sono due, dedicate all’Onore e alla Gloria) e gli immancabili puttini che si arrampicano sulla balaustra, tra tralci di vite, panorami e vedute.

Mentre sono lì ancora con il capo per aria, mi si fa incontro con passo rapido e silenzioso Sevim Aktaş, da pochissimi giorni direttrice del primo istituto ‘Yunis Emre’ d’Italia. "Desideravo da tanto tempo questa apertura – mi dice quando avviamo la nostra conversazione – ed è per me un grande onore avere questo incarico". Le chiedo di parlarmi dei suoi trascorsi professionali, della formazione culturale, del tempo che ha trascorso qui da noi.

"Vivo e lavoro in Italia da quasi quindici anni, e anche precedentemente ho sempre insegnato la lingua turca agli stranieri. Prima all’Istituto ‘TOMER’ dell’Università di Ankara, poi a Bursa e a Trabzon (Trebisonda, N.d.R.) con funzioni anche di coordinamento e di direzione".

Sevim Aktaş, direttrice dell'Istituto turco di Cultura Yunus Emre di Roma - foto F. Polacco

Sevim Aktaş, direttrice dell’Istituto turco di Cultura Yunus Emre di Roma – foto F. Polacco

Casualmente lei ha nominato tre città che furono, in tempi diversi, altrettante capitali. La civiltà dell’Anatolia è assai antica e stratificata, ma l’italiano medio ne sa molto poco. Ha un compito non facile davanti a sé.

Effettivamente il mio sogno è proprio quello di far conoscere la ricchezza della cultura turca, in tutta la sua complessità.

La Turchia è anche un paese molto vasto: lei di dov’è?

Sono di Kars, nella parte nord orientale del paese. 

Non è la città dove è ambientato ‘Neve’, uno dei romanzi di Orhan Pamuk?

Esattamente.

E che cosa l’ha spinta a venire a vivere qui in occidente, e in Italia, in particolare?

Sono laureata in lingua e letteratura francese, ma ho una grande passione per la lingua e la cultura del vostro paese. Nonostante le nostre radici siano diverse, trovo che il popolo italiano e quello turco siano molto vicini tra loro. Forse perché siamo entrambi dei popoli mediterranei.

Comunque lei parla anche un eccellente italiano: mi racconti delle sue esperienze qui.

In effetti, grazie alla mia attività di docenza ho sempre parlato e comunicato intensamente con italiani. Ho insegnato il turco all’Università di Napoli, all’ISIAO (l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, recentemente chiuso, n.d.r.) e all’Istituto per l’Oriente C. A. Nallino di Roma.

Per questo tipo di lavoro avrà però incontrato persone di un certo livello culturale, o se non altro già interessate al mondo turco. Ma i contatti con la gente comune, nella vita quotidiana, che cosa le fanno pensare dell’idea che l’italiano medio, l’italiano della strada, ha del paese da cui lei proviene?

Molti di quelli che mi incontrano mi dicono sempre la stessa frase: ma lei non sembra affatto turca, sembra europea!….

Nell’opinione comune noi turchi siamo spesso confusi con altri popoli dell’area mediorientale. Però…

 … però venite dall’Asia centrale, e poi in Anatolia e nei Balcani vi siete fusi con una quantità di popolazioni preesistenti. Già, quello che lei riferisce è uno degli errori più comuni. 

Sì, ed è proprio il nostro passato ottomano a rendere il turco una lingua abbastanza diffusa anche in altri paesi. In Kosovo e in Bosnia Erzegovina è la prima lingua straniera.

Effettivamente anch’io mi sono talvolta trovato a cavarmela grazie a un po’ di turco, in piccoli centri della Repubblica ex jugoslava di Macedonia o della Bulgaria. Però, lei sa che da noi italiani il turco viene considerata una lingua particolarmente difficile; anzi, la lingua incomprensibile per antonomasia. Immagino che presto avvierete dei corsi: che cosa pensa di fare, per abbattere questa sorta di barriera linguistica?

Anzitutto vorrei ricordare che da quasi un secolo abbiamo adottato l’alfabeto latino: è una scelta che riduce di molto le iniziali difficoltà. Certo, la sintassi e la morfologia sono un po’ diverse rispetto alle lingue indoeuropee. D’altro canto è una lingua molto sistematica e ha una struttura grammaticale molto regolare. Comunque, se si vuole conoscere davvero un popolo sarebbe bene studiarne la lingua. Qui al Centro spero di creare un ambiente molto accogliente, di farne una sorta di casa aperta a tutti coloro che vogliano anche soltanto iniziare a familiarizzarsi con il mondo turco, attraverso vari altri aspetti: la cultura, le tradizioni.

Qualche esempio? Lei è di fresca nomina, ma suppongo avrà già qualche idea.

Penso di far conoscere il nostro ricchissimo artigianato, la raffinata cucina, le belle canzoni e la letteratura.

A proposito di letteratura: vuole spiegare a noi italiani perché i vostri Centri culturali sono intitolati a Yunus Emre? Ci potrebbe dire chi era, in poche parole?

È stato un grande poeta del Trecento, contemporaneo al vostro Dante; e, come lui, ha creato per primo dei capolavori letterari usando la lingua popolare nazionale, cioè il turco semplice parlato nell’Anatolia. Inoltre era un Sufi, un mistico, pervaso da uno spirito religioso pacifico e tollerante. Potrei citarle alcuni suoi versi?

Prego, faccia pure: magari non in turco del Trecento…

Glieli dico per far comprendere la filosofia cui si ispirava, la sua concezione del mondo: ‘Io non sono venuto per la guerra,/Sono qui per l’amore/La dimora dell’amicizia sono i cuori:/Io sono venuto per conquistare i cuori…’.

Curiosamente ricordano ideali profetici e religiosi molto antichi e insieme le aspirazioni di alcuni movimenti giovanili della seconda metà del Novecento. Ma tornerei ai suoi progetti. Mi dica: qual è un suo sogno che vorrebbe realizzare?

Il sogno di fondo è contribuire a presentare la vera Turchia a tutti gli italiani che desiderano conoscerla in modo autentico, dall’interno, superando una volta per tutte certi stereotipi che, per fortuna, sono sempre meno diffusi.

Sicuramente anche da questo punto di vista ci sarà molto da lavorare. Ma io ora mi riferivo a progetti specifici, più immediati.

Pur mantenendo al centro delle nostre attività seminari, convegni, mostre, e come attività principale lo svolgimento di corsi di lingua, che tra l’altro dovrebbero iniziare già nel prossimo aprile, vorrei proporre occasioni di svago e di intrattenimento, ma che siano allo stesso tempo dotate di valore artistico. Parlo della danza, ad esempio; le danze tradizionali turche sono tanto suggestive quanto poco conosciute. Vi sono ora delle compagnie che le propongono in un modo davvero efficace. Spero di riuscire a fare questo, portandone alcune a Roma e in altri luoghi d’Italia.

Poco conosciute? Allora immagino non si riferisca ai balli folkloristici ad uso esclusivo dei turisti…

Non proprio. Noi apprendiamo le danze tradizionali a livello popolare: sono insegnate anche nelle normali scuole. Si tratta di danze autentiche, fortemente radicate nei costumi locali e praticate nelle più importanti occasioni anche private, come ad esempio nei matrimoni.

Mi sembra un’impostazione molto chiara, la sua. Avrà modo di seguirla? I vostri Istituti non propongono piani di attività speculari in tutti i paesi? Non c’è un modello da seguire, deciso a livello centrale?

No, siamo noi a ideare e realizzare i nostri programmi, anche se ovviamente seguiamo alcuni progetti comuni a tutti i centri. Ogni Istituto è autonomo nell’impostare la propria azione culturale, adattandola alle aspettative e alle esigenze di ciascun paese. Siamo flessibili in questo, e io cercherò di mettere a frutto questa opportunità.

Palazzo Lancellotti - Roma

Palazzo Lancellotti – Roma

Dopo che il nostro colloquio è terminato esco da Palazzo Lancellotti quando è ormai buio, accompagnato da una pioggerella sottile ma anche da una vaga mestizia. Questo paese, che pure sta vivendo una fase di flessione dopo il suo boom economico e ha visto proprio negli ultimi mesi la lira turca in forte deprezzamento, non perde tuttavia di vista gli obiettivi di fondo, lungimiranti: e non rinunzia ad investire in quelle attività che sono sempre la premessa di future riprese, anche economiche.

Mi sorprendo a scacciare involontariamente un pensiero, simile a una mosca fastidiosa: che mi piacerebbe molto poter andare, un giorno, a intervistare da qualche parte all’estero il direttore di un neonato Istituto italiano di cultura.

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