Rom d’Albania
I rom dell’Albania sono tra i 100.000 e i 140.000. Subiscono ogni tipo di discriminazione e la gran parte è senza lavoro. Raccolgono lattine nella spazzatura per poi rivenderle, chiedono l’elemosina e l’attività maggiore è la vendita al mercato dell’usato, noto anche come "Gabi". Un reportage
Vera Shahu, in attesa del settimo figlio, l’8 aprile scorso avrebbe voluto celebrare con la sua famiglia la giornata internazionale dei rom e sinti, ma in casa aveva soltanto qualche tozzo di pane raffermo, olio e patate.
I figli dormono su un tappeto per terra in una delle due stanze improvvisate e dalle condizioni igieniche precarie, in una baracca di legno situata vicino al fiume Lana che attraversa la capitale albanese.
L’unico mobile è un vecchio armadio, da cui escono scarafaggi.
"I miei figli, il primo di 15 anni e il più piccolo di 4, non hanno un futuro se non ricevono aiuto dallo Stato. Avranno le nostre stesse difficoltà o forse sarà ancora peggio perché la vita sta diventando sempre più dura", si lamenta Vera, 40 anni, che soffre di anemia e non dispone di previdenza sociale né di alcun tipo di tutela.
Il reddito famigliare oscilla da uno a due euro al giorno grazie alla vendita di latte di alluminio, e riescono a sopravvivere grazie agli avanzi dei ristoranti della città.
"Nonostante la miseria, voglio mandare i miei figli a scuola affinché imparino a scrivere almeno il proprio nome", dice Vera, che chiede al governo un livello di istruzione adeguato e una casa dignitosa per i propri figli.
In Albania la gran parte dei rom vive nella stessa situazione. Non si conosce il numero ufficiale, ma si stima che si aggirino tra i 100.000 e i 140.000.
"Solo in occasione della giornata internazionale dei rom e sinti, l’8 aprile, si vedono i politici che vengono a farsi fotografare con noi. Il resto dell’anno non ci vogliono nemmeno vedere", afferma Selvie Rushiti, di etnia rom, all’agenzia EFE.
Di fronte all’indifferenza del governo, Selvie, insieme ad alcuni dei rom più "agiati", grazie alle donazioni provenienti dall’estero, ha creato associazioni di assistenza ai rom più bisognosi.
Sette anni fa, Selvie trasformò il primo piano di casa sua in un centro prescolare in grado di ospitare fino a 85 bambini all’anno, mentre in cortile si vendevano vestiti usati. Con questa piccola attività si riuscivano a mantenere 120 famiglie rom.
Ma un giorno i poliziotti cacciarono i venditori dalla zona, e ora la famiglia di Selvie vive con il timore che "qualcuno al governo possa espropriare il terreno per costruire palazzi".
"Non possono ucciderci, ma ci discriminano. Dei 140.000 rom in Albania, solo sette vanno all’università, di cui quattro con borse di studio del Consiglio d’Europa", aggiunge Selvie.
Sono quelli che hanno rappresentato l’Albania al 2° Vertice europeo dei rom tenutosi lo scorso 8 aprile nella città spagnola di Cordoba.
Gli altri sono costretti ad abbandonare la scuola per via della mancanza di denaro e che non riescono nemmeno a comprarsi da mangiare.
L’80% dei tre milioni di albanesi appartenenti alla fascia estremamente povera è rappresentato proprio dal popolo rom.
“Il primo ministro albanese, Sali Berisha, dice che l’economia è cresciuta, ma noi non lo vediamo. Il nostro maggior problema è la disoccupazione”, afferma Istref Pellumbi.
Con l’aiuto della fondazione del magnate statunitense George Soros è stata creata a Tirana una sartoria dove imparano a cucire gratuitamente 150 donne rom per nove mesi all’anno.
"Chiediamo al ministero del Lavoro di impiegare questo gruppo di donne già esperte e di inserirle nella società", aggiunge Pellumbi.
La società rom albanese è preoccupata perché la strategia governativa formulata nel 2003, che mirava ad aiutare questa etnia e fornirle casa, lavoro e istruzione, è rimasta solo sulla carta.
Perciò, i rom albanesi oggi cercano di spingere il governo a intraprendere delle vere riforme contro la discriminazione, se il Paese vuole entrare a pieno titolo nell’Unione europea.
*Mimoza Dhima è corrispondente dell’EFE in Albania
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