Robert Perišić: disastri esistenziali di uno scrittore croato
L’uscita del suo nuovo romanzo "Disastri esistenziali e spese folli", diventa l’occasione per discutere con lo scrittore croato Robert Perišić di ironia e letteratura croata, passando per il valore del racconto breve. Un’intervista
(Intervista pubblicata in collaborazione con Meridiano 13 )
È uscito recentemente, presso la casa editrice Bottega Errante, il nuovo libro dello scrittore croato Robert Perišić, Disastri esistenziali e spese folli, una raccolta di racconti di lunghezza e ambientazione diverse, tradotti da Elvira Mujčić, già traduttrice della versione italiana del romanzo I prodigi della città di N dello stesso autore.
In occasione di "Pordenonelegge", dove l’autore ha presentato in anteprima i suoi Disastri, abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo.
Nei tuoi testi emerge un’immagine cruda della realtà post-jugoslava, pur raccontata attraverso una grande ironia o con un tocco tragicomico; è questo il modo in cui vedi il tuo paese o è un’esagerazione letteraria?
È vero, uso molto questo espediente tragicomico. Dopotutto, nessuno di noi può osservare il proprio paese come se lo sorvolasse in un aeroplano. Possiamo parlare soltanto di ciò che percepiamo e comprendiamo in maniera personale. Per quanto mi riguarda, non voglio scrivere in maniera banale, né scrivere come fanno gli altri e mi impegno a tal proposito a esprimere la mia voce interiore, cercando il modo migliore di articolare quella che è la vita vera.
Alcuni dei racconti contenuti in Disastri risalgono a 20-30 anni fa, altri sono più recenti. Nel libro si trova una commistione di aspetti tragici, comici, ironici, ma si trova anche della tenerezza. In qualche caso si può dire che il mio approccio alla scrittura sia un po’ laconico, però sotto sotto emergono sempre delle emozioni. In molti casi i racconti trattano di eventi che si svolgono all’interno di una famiglia o di una coppia e si affrontano questioni esistenziali che attanagliano i personaggi nella loro vita.
L’importante per me è evitare di scrivere in modo preconfezionato. Voglio trovare un mio stile, voglio saltare la retorica, evitare ogni surplus di parole, voglio trasmettere la vita come viene vissuta realmente.
I nostri lettori non devono essere solo degli intellettuali; i testi devono essere comprensibili e accettabili anche se letti dalla persona più semplice. Questa è per me la letteratura, questo è il gioco letterario.
Quando si leggono le tue opere, compreso il romanzo I prodigi della città di N, si ha l’impressione che davanti a noi si aprano i mondi interiori di una serie di anti-eroi, tanto uomini che donne. È corretta quest’impressione?
L’ironia è un espediente altamente espressivo e i miei personaggi non sono più intelligenti, belli e bravi di noi, sono come noi. Mentre scrivo, se inserisco dei commenti o delle riflessioni nella narrazione, cerco di farlo in modo che non sembrino tali, perché non voglio che sembri che io cerchi di far passare qualcosa di intellettuale, cervellotico al lettore. Per me è molto più importante che la storia che racconto sembri reale. Quando scrivo della guerra, ad esempio, non scrivo della guerra di per sé, ma delle esperienze vissute da persone che si ritrovano in circostanze belliche. Per esempio, tra i racconti c’è la storia di una ragazza, studentessa a Zagabria, che allo scoppio della guerra torna nella sua cittadina natale in Slavonia; si viene a sapere che al mare ha rotto con il suo ragazzo. Qui si dipana un breve dramma all’interno della famiglia. Madre e figlia ristabiliscono un rapporto, mentre il padre non vuole far vedere di aver paura della guerra e cerca di comportarsi da intrepido, ma le donne sono consapevoli della sua paura e sanno di non doverlo dare a vedere. Mi piace trovare angoli diversi da cui osservare ed entrare nella storia.
Va detto anche che il racconto breve, pur in uno spazio piccolo, consente un grande potenziale narrativo: è questa la differenza essenziale con il romanzo, dove si ha invece il tempo di raccontare e sviluppare con calma la storia. Il racconto breve si trova a metà tra la poesia, che obbliga alla massima concentrazione, e il romanzo. Apprezzo chi sa leggere i racconti brevi. Il romanzo ti offre più stimoli, mentre nel racconto l’autore può solo inviare un micro-segnale. Perciò il lettore dei racconti è un lettore scelto, capace di essere più ricettivo e perspicace.
A proposito di lettori, quando scrivi pensi al pubblico croato o a quello internazionale? E che accoglienza hai avuto in questi anni?
Questi racconti sono stati pubblicati prima in Croazia e solo più tardi sono stati tradotti negli Stati Uniti. Eppure, non ho dovuto fare molti cambiamenti per il pubblico americano. Ho capito che il pubblico mondiale, se vuole, può comprendere senza il bisogno di esplicitazioni.
Se parliamo del contesto di ambientazione delle storie, però, la questione è un’altra. Facciamo un esempio: immaginiamo una dimensione famigliare, in cui i membri discutono tra loro di cose che conoscono senza doverle, ovviamente, spiegare; un esterno che dovesse leggere la trascrizione della conversazione non ne capirebbe molto, perché non conosce i non detti e gli impliciti. Allo stesso modo, ogni scrittore non può che essere a un tempo sia dentro che fuori la storia che racconta. Io cerco sempre di trovare un modo per coinvolgere il lettore dentro alla mia storia, ma devo anche ricordarmi di raccontare le vicende guardandole dall’esterno.
In quanto alla ricezione, il pubblico croato e in generale ex-jugoslavo ha sempre ben accolto i miei testi; va detto però che negli Stati Uniti (come in Italia) i racconti sono arrivati molto dopo i miei romanzi, perché c’è poco interesse per i racconti brevi; mentre in Croazia il nome me lo sono costruito proprio con i racconti brevi.
Il romanzo I prodigi della città di N è diventato una serie tv (il titolo internazionale è The Last Socialist Artefact, 2021). Era un’idea presente dall’inizio quella di renderlo “televisivo”?
Scrivo molto lentamente i miei romanzi, non ne pubblico infatti di frequente. Quando entro in una storia, cerco a lungo come migliorarla e svilupparla. Nel caso de I prodigi della città di N, sono partito da un’idea: come si fa a rinnovare una fabbrica su basi obsolete? Sarebbe possibile? Ci sarebbero dei motivi per cui farlo? E così ho ragionato sul fatto che esistono nel mondo dei paesi sottoposti a un lungo embargo che non hanno potuto rinnovare i propri impianti industriali; tra questi c’è la Libia che aveva rapporti di collaborazione con l’ex Jugoslavia. In quel momento ho percepito l’urgenza di raccontare una storia simile. La trama è la seguente: un impianto ha una turbina rotta, ma non potendo introdurre dei macchinari nuovi nella produzione, si decide di riaprire un vecchio impianto obsoleto [in ex Jugoslavia, NdR] per costruire quella sola turbina mancante. Il dramma dei lavoratori è che non sanno che sono richiamati a lavorare alla fabbrica al fine di produrre una sola turbina usa e getta, non sanno di essere stati convocati una tantum con quell’intenzione.
La serie tv è stata molto ben accolta in Croazia e Serbia, ma anche a livello internazionale. Al festival Séries Mania a Lille ha ottenuto il gran prix. Sono in tutto 6 episodi . Ciò che mi ha ispirato e ha destato il mio interesse è stato descrivere gli operai, il processo produttivo ormai obsoleto cui sono chiamati a contribuire. Non mi interessava l’intreccio dal punto di vista tecnico-industriale, bensì mi incuriosiva immaginare questi personaggi della periferia, dimenticati su un binario secondario, come se si muovessero impercettibili a qualsiasi radar. Il pubblico si è stupito perché nessuno scrive più storie del genere.
Visto che dici che nessuno scrive più storie del genere, mi interessa sapere cosa ne pensi della letteratura croata contemporanea.
Ritengo che la situazione per quanto riguarda la letteratura in Croazia negli ultimi vent’anni sia molto positiva; nonostante il fatto che siamo un piccolo paese di meno di quattro milioni di abitanti oggi, ci sono scrittori molto validi a livello internazionale. Ho fatto anche il critico letterario in passato, quindi qualcosa ne capisco.
Nel mondo in cui viviamo però la lingua dominante è l’inglese e quindi è più facile accogliere autori di lingua e contesto anglofono. Ciò che viene da questo mondo è più vicino al lettore internazionale che ne sa cogliere le sfumature. Per non parlare del dominio incontrastato delle serie tv anglofone. Questo si traduce in un’omogeneizzazione della letteratura mondiale, mentre è difficile che si facciano strada autori di altre lingue e contesti. Anche uno scrittore italiano è più difficilmente accolto altrove rispetto a uno anglofono. I contesti non anglofoni non sono sempre presenti in tv e dunque il lettore deve superare un piccolo ostacolo per comprenderli. In questo senso la letteratura anglofona trova minor resistenza.
Festival letterari come "Pordenonelegge" aiutano invece a uscire da questa logica e a conoscere altri mondi. Per quanto mi riguarda, devo anche dire che mi piace la letteratura americana ed è stata significativa per me, ha influenzato il mio modo di scrivere; però, alla fine, se leggi solo romanzi americani hai l’impressione di leggere sempre le stesse cose.
Uno dei racconti che mi hanno sorpresa di più e che mi sono rimasti più impressi tra quelli contenuti nella raccolta è "Strangers in the night"; sarà anche per come è scritto… Prendiamo anche solo l’incipit:
Iu nou, uen ui giast cheim in Niu Iork, ai don nou, ui uoz littel confiused ov ol ov dis. Uer sciuld ui start. Sach a big taun, iu nou.
End, iu nou, mai frend Bađo, hiz a veri gud person, bat hiz a littel creizi, end, ai don nou, meibi littel stiupid, veri littel, iu nou… So, ui uoz frst dei in Niu Iork end, ai don nou, ui uokin, end uokin, end hi asked evriuan on de strit: «Tel mi plis, uot iz most dengerest pleis in Niu Iork?».
End evribadi tel him: «Sentral Park», iu nou.
«Det iz veri denger pleis et nait. Don gou der et nait!» sed evriuan.
End, ai don nou, ai uoz tinkin in mai hed, ai vudnt gou der et nait, never, iu nou.
Bat, Bađo uoz tinkin dip end hi tel mi: «Ui mast gou in Sentral Park, tunait, mai frend!».
Da dove nasce l’idea per questo racconto?
Il racconto è dedicato a un amico georgiano, David Turashvili, è stato lui a darmi l’ispirazione; se ricordo bene, era il 1996 quando mi ha raccontato questa storia. Era un tipo molto spiritoso e credo che in realtà ciò che racconta non sia mai successo, non credo cioè che siano andati davvero lui e il suo amico al Central Park di notte. Ma io allora mi sono chiesto: e cosa sarebbe successo se ci fossero andati veramente? E la risposta alla mia domanda è il racconto.
*Si ringrazia Jan Vanek per l’interpretazione dal croato.
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