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Risoluzione Srebrenica

Il presidente serbo Tadić spinge per l’adozione in parlamento di una risoluzione su Srebrenica: una condanna del massacro del luglio 1995. Perché proprio ora? Quale l’impatto sull’opinione pubblica? Ne parliamo con Vojin Dimitrijević, direttore del Belgrade Center for Human Rights

18/03/2010, Cecilia Ferrara - Belgrado

Risoluzione-Srebrenica

La presidente del Parlamento serbo, Slavica Đukić-Dejanović, a metà febbraio ha dichiarato che entro marzo sarebbe stata pronta la famosa “Risoluzione Srebrenica”, un atto di condanna degli avvenimenti del luglio 1995 che videro il massacro per mano dell’esercito di Ratko Mladić di 8.000 bosniaco-musulmani. In realtà ancora non è chiaro il percorso che farà la “Risoluzione”, ma da quando a gennaio il presidente della Serbia Boris Tadić ha aperto la possibilità di un voto parlamentare su un testo condiviso, sono partite le speculazioni. Si è parlato di approvare due testi: uno su Srebrenica e un altro di condanna dei crimini di guerra in generale, sottolineando quelli contro i serbi. I media, gli analisti e i politici si sono accaniti soprattutto sulla questione del termine: genocidio o crimine atroce? A inizio marzo sono arrivati i primi segnali di apertura dal Partito serbo per il progresso (SNS), il partito di Tomislav Nikolić, e dai socialisti, l’ex partito di Milošević. Se così fosse la risoluzione potrebbe godere di 155 voti a favore, 86 contrari e 8 astenuti. Il quotidiano belgradese “Blic” ha anticipato un possibile testo dove si parla di un crimine "serio", commesso contro i bosgnacchi, che è stato classificato come genocidio dalla Corte di giustizia internazionale con la sentenza del 2007. Nella risoluzione ci dovrebbe essere anche un’indicazione per l’impegno nella cattura di Ratko Mladić. Ne parliamo con il professor Vojin Dimitrijević, direttore del Belgrade Center for Human Rights ed esperto di diritto internazionale di chiara fama.

Professor Dimitrijević perché il presidente Tadić ha iniziato a parlare della Risoluzione Srebrenica? Perché ora?

Tadić ha bisogno di sostegno per raggiungere la membership in Ue e sta cominciando a capire che non si tratta di soddisfare condizioni economiche o di creare un quadro legislativo tecnico soddisfacente, ma che è importante anche cambiare l’immagine del Paese. Allo stesso tempo sta trovando un modo per evitare le conseguenze della mancata consegna di Ratko Mladić e Goran Hadžić. Sicuramente ha scelto di fare questo passo ora perché, dopo la divisione del partito radicale, i membri del nuovo partito dei “progressisti” [dal nome del partito di Nikolić, Partito serbo per il progresso, fuoriuscito dal Partito radicale serbo, SRS, ndr.] sono più disponibili a votare una risoluzione a cui si oppongono i vecchi radicali di Šešelj. Tadić pensa che con i necessari adattamenti nella stesura, la risoluzione potrebbe essere accettata. Anche perché non può essere un testo votato da un numero minimo di parlamentari, non è una legge qualsiasi ma una dichiarazione solenne che necessita del maggiore appoggio possibile.

Che ne pensa dell’impatto sull’opinione pubblica?

L’opinione pubblica in Serbia è il risultato della propaganda sistematica del decennio 1990-2000. Le informazioni che la popolazione serba ha ricevuto in quei dieci anni provenivano unicamente dai media controllati dallo Stato e specialmente la Tv e la radio nazionale. Quindi tutte queste idee, impressioni, versioni della storia, che tuttora circolano tra le persone, sono ancora quelle che venivano propagandate ripetutamente in quegli anni. Si possono ancora trovare persone a Belgrado che credono che Sarajevo non sia mai stata assediata. Inoltre dopo i cambiamenti nel 2000 c’era ancora, e c’è ancora oggi nei nostri media, in particolare nella “yellow press” [stampa scandalistica], la promozione di idee nazionaliste incluso questo terribile odio contro il Tribunale penale internazionale.

A differenza della Germania noi non abbiamo avuto pressioni dalle potenze vincitrici internazionali per cambiare completamente e così non c’è ancora una generazione che tracci una linea divisoria netta con il passato. Certo alla Germania ci sono voluti più di vent’anni per disfarsi delle rimanenze del nazismo. Forse dovremmo farlo in meno tempo ma questo tempo non è ancora venuto.

La risoluzione Srebrenica può essere un passo in questa direzione?

Sì questo è il motivo per cui la bozza è così importante. Gli oppositori stanno continuando a dire che si tratterebbe di una "confessione" della Serbia e addirittura che la Bosnia potrebbe nuovamente ricorrere alla Corte Internazionale di Giustizia dopo la sentenza del 2007. Ma non è vero.
Che si condanni dunque quello che è successo a Srebrenica e se la parola genocidio è così terribile, si può usare "crimine atroce che è stato qualificato come genocidio". Va bene rifarsi alla Corte Internazionale di Giustizia visto che la Serbia si sta rimettendo ad essa per combattere la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo.

Dall’altra parte circola anche l’idea di un’altra dichiarazione che condanni tutti i crimini possibili specialmente quelli contro la Serbia, il che annacqua le intenzioni iniziali. Ma se si compara con la situazione di 5 anni fa c’è un grosso progresso. Allora questo dibattito sarebbe stato impensabile.

Che impatto pensa possa avere il processo Karadžić sull’opinione pubblica?

Karadžić sta usando la stessa tattica di Milošević, non riconosce la corte, non prende un avvocato, non è interessato al risultato del processo perché pensa che la corte abbia dei pregiudizi. Si aspetta una copertura mediatica, si aspetta che la gente in Serbia e in Bosnia Erzegovina lo ascolti e che alla fine verrà riabilitato come eroe. Ma molti fattori vanno contro questi suoi calcoli. Prima di tutto la gente è molto stanca. Stanca della ripetizione di casi uguali a questo. Secondo punto sfavorevole a Karadžić è la sua fine. Il personaggio del dottor Dabić, il travestimento, questo era un po’ troppo bizzarro per un eroe. Quando è stato arrestato i media erano ossessionati dal suo look, i suoi capelli, la sua amante, le sue sedute come dottore. Pochi media riportavano le accuse contro di lui. Ed è vero che tutta questa attenzione ai dettagli ha sminuito la sua figura da eroe. L’eroe è quello che si nasconde in montagna, e non uno che vive in città come una specie di freak e che pretende di essere qualcun altro. Non penso che il suo processo influirà molto sull’opinione pubblica.

E all’Europa, interessa qualcosa della giustizia?

Non nel senso morale del termine. Diciamo che l’Ue non vuole avere problemi in un’area molto sensibile. Prima di tutto i paesi europei vogliono evitare altri flussi di rifugiati, per questo l’Ue interviene se c’è un paese che produce rifugiati o che non previene o previene poco il traffico di esseri umani. Diciamo che non c’è un interesse etico, ma è anche questo un modo per risolvere le cose.

Dopo Dayton Milošević era considerato un fattore di pace indispensabile, e furono date così tante borse di studio ai membri del suo partito. L’idea era che lui fosse qui per rimanere e che dovesse avere una forte base. L’opposizione in Serbia era miserabile nessuno pensava che avesse le competenze per fare alcunché. Solo dopo l’errore del bombardamento, che fu molto costoso, cambiarono idea. Con il costo di due missili cruise l’opposizione avrebbe avuto l’appoggio sufficiente per rovesciare Milošević, come nel 2000. Ma nessuno all’epoca li prendeva seriamente. All’Ue andava bene anche il grande dittatore che controllava la polizia, i media e l’esercito. Non c’era alcun interesse a sapere come viveva la gente in questo paese.

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