Risarcimenti
Prima storica sentenza in Slovenia a favore di un ”cancellato”. Riconosciuti 17.000 euro di risarcimento. Sino ad oggi altre sei cause si erano chiuse senza la concessione di alcun indennizzo. Nel paese si riaccende il dibattito politico
17.000 euro di risarcimento. Questa è la sentenza emessa dal tribunale di Ptuj a favore di Aleksandar Todorović, il più noto esponente dei cancellati. E’ la prima volta che un tribunale sloveno riconosce, seppur indirettamente, un indennizzo per la vicenda della cancellazione dall’elenco dei residenti di oltre 25.000 cittadini delle altre ex repubbliche jugoslave. Sino ad oggi sei cause si erano concluse senza la concessione di nessun rimborso.
Una sentenza storica, quindi, ma non definitiva. La battaglia legale non è destinata a chiudersi qui. Sia la procura sia Todorović hanno annunciato l’intenzione di presentare ricorso. Per la procura sarebbero persino scaduti i termini per presentare la richiesta di risarcimento, mentre Todorović avrebbe voluto una cifra più cospicua.
La vicenda non riguarda direttamente la cancellazione, ma la mancata concessione del premesso di lavoro. Todorović dovette, infatti, attendere una sentenza della Corte costituzionale per ottenere quel documento. Trascorsero cinque anni e proprio per quel periodo è stato reclamato un indennizzo di 55.000 euro. La cifra – a suo dire – sarebbe stata calcolata al centesimo tenendo conto della sua qualifica, del contratto di categoria e dell’effettiva intenzione manifestata da alcuni datori di lavoro di assumerlo. La corte gli ha concesso molto meno. Ad ogni modo il precedente è significativo, visto che esiste un evidente nesso tra la cancellazione, l’impossibilità di ottenere il permesso di lavoro e l’effettivo mancato guadagno.
La storia di Todorović è simile a quella di molti altri cancellati in Slovenia. Al momento dell’indipendenza decise di non chiedere la cittadinanza. Serbo, laureato in archeologia, lavorava ed era sposato. D’un tratto si trovò senza documenti, senza assistenza sanitaria, senza lavoro e persino senza la possibilità di riconoscere direttamente in ospedale sua figlia appena nata. Nel 1996, dopo aver passato quattro anni nel limbo della cancellazione, ottenne lo status di straniero con residenza permanente in Slovenia. Poi iniziò la battaglia civile per i diritti dei cancellati.
La vittoria parziale di Todorović non significa che per i cancellati si apriranno indiscriminatamente le porte dei risarcimenti. Matevž Krivic, l’ex giudice della Corte costituzionale che da anni cerca di sensibilizzare la società slovena sulla questione della cancellazione dall’elenco dei residenti, parlando al quotidiano di Lubiana, Dnevnik, ha detto: "Si tratta di un rilevante passo nella ricerca della verità e della giustizia". La sentenza è particolarmente importante – ha aggiunto – visto che il tribunale ha stabilito un risarcimento per un danno molto concreto. Per Krivic è chiaro, dunque, che ognuno dovrà "dimostrare materialmente il danno che gli è stato causato".
Il messaggio è eloquente. Da una parte si dice che chi è stato danneggiato ha il sacrosanto diritto di essere risarcito e dall’altra si ribadisce che non ci saranno pagamenti a pioggia. Per ottenerli sarà necessario quantificare e dimostrare il danno subito. Non sarà facile, il procedimento sarà lungo e a decidere saranno i giudici.
Era evidente, però, che il caso Todorović avrebbe riaperto il dibattito politico. Dragutin Mate ex ministro degli Interni, nonché uomo di punta dei democratici, ha cinicamente fatto un rapido calcolo ed ha constatato che se a ognuno dei 25.000 cancellati dovessero essere concessi 17.000 euro di indennizzo la cifra raggiungerebbe i 425 milioni di euro, cioè un importo pari a quello stanziato annualmente per il ministero del Lavoro.
La questione degli indennizzi è una delle ossessioni del centrodestra, ma nemmeno il centrosinistra ne è totalmente immune. In Slovenia, del resto, sembra proprio che ci si preoccupi molto di più di quello che si dovrà sborsare, che delle denunce della violazione dei diritti umani che vengono evidenziate ogni anno nei rapporti dei vari organismi nazionali ed internazionali.
Molti guardano con sospetto ai cancellati e credono che non siano altro che degli speculatori, persone che hanno operato contro l’indipendenza del paese e che adesso vogliono furbescamente trarne profitto. Questa visione sembra essere molto distante dalla realtà, ma piuttosto condivisa. Del resto giocare sui luoghi comuni, puntare su una certa xenofobia e far leva sul senso di superiorità degli sloveni nei confronti di quelli che erano beffardamente chiamati "i fratelli del sud" è un gioco che sembra piacere moltissimo a tanti politici.
Al momento a pochi verrebbe in mente di chiedersi se ad esempio un indennizzo di 17.000 euro – che corrisponde più o meno al valore di un’utilitaria – può bastare per risarcire anni di vita ai margini della società.
Il ministro degli Interni, Karatina Kresal, però non sembra scomporsi e pare voglia tirar dritto. Il mese scorso ha comunicato che i cancellati non erano 18. 305 – come si era a lungo creduto – ma ben 25.671. Poi ha precisato che tra questi c’erano 5630 minorenni e 10.896 tra donne e bambine. Pare difficilmente ipotizzabile che, come sostengono alcuni, queste persone marciassero alla testa delle colonne di blindati dell’esercito jugoslavo che, al momento della proclamazione dell’indipendenza, erano intervenuti in Slovenia. Del resto, oramai, da anni si cerca di spiegare che solo una piccolissima parte dei cancellati erano militari dell’Esercito popolare jugoslavo.
Il ministero degli Interni, comunque, continua a ribadire che intende procedere seguendo le due sentenze della Corte costituzionale – che giudicano illecita la cancellazione – emanando i decreti che sanciscono l’ininterrotta residenza in Slovenia per quei cancellati che oggi hanno ottenuto la cittadinanza slovena o hanno regolarizzato la loro residenza come stranieri. La cosa ha fatto trasalire l’opposizione che ipotizza che a questo punto fioccheranno le richieste di indennizzi. Per la Kresal, però, tra l’emissione dei decreti e gli eventuali indennizzi non c’è nessun nesso di causa-effetto. Dal ministero, intanto, è stato fatto sapere che presto dovrebbe essere portata all’esame del governo una legge che regolarizzerebbe la posizione di quelle 13.426 persone che da 17 anni vivono in una sorta di limbo e che non hanno ancora acquisito la residenza.
Sistemare la faccenda sembra una priorità del ministero. Probabilmente questo atto servirà maggiormente a far prendere coscienza del problema e forse anche a far cadere alcuni luoghi comuni. Per ora a nessun politico passa per la testa di chiedere pubblicamente scusa per quanto accaduto, anche se questa ipotesi comincia ad essere auspicata almeno da qualche giornale. Chiaramente, allo stato attuale delle cose, la priorità dei cancellati è quella di essere reintegrati a tutti gli effetti nella società, poi ci sarà tempo per i cosiddetti atti di riconciliazione.
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