Tipologia: Notizia

Area: Balcani

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Ricordare i conflitti degli anni Novanta

Come vengono ricordati i conflitti degli anni Novanta? Una domanda alla quale il mondo accademico, nell’Europa sud-orientale ma non solo, dedica attenzione crescente. Una panoramica

08/05/2017, Marco Abram -

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Le vicende del Ventesimo secolo continuano a rivestire un ruolo importante nei paesi nati dalla dissoluzione jugoslava. Al di là dei cliché che evocano una presunta ineluttabilità del ritorno del passato nella regione, le discussioni sulla storia recente rimangono di grande attualità. A due decenni e mezzo dal loro inizio, le guerre degli anni Novanta rappresentano certamente il capitolo più controverso, frequentemente ripreso e dibattuto sui mezzi di comunicazione di tutta la regione.

Ma quali sono, al di là della vicende della politica quotidiana, le dinamiche più profonde, le caratteristiche e le evoluzioni del rapporto con il passato nei paesi post-jugoslavi? Nell’ultimo ventennio, l’interesse per la memoria è cresciuto esponenzialmente nelle università e nei centri di ricerca di tutto il mondo. Rispetto all’Europa sud-orientale, grande attenzione è stata dedicata alla trasformazione del rapporto con il passato nella fase di transizione dal socialismo e di costituzione dei paesi post-jugoslavi.

Numerosi studiosi, afferenti a diverse discipline, si sono impegnati nello studio delle modalità nelle quali vengono ricordati i conflitti degli anni Novanta. Senza pretese di esaustività, abbiamo raccolto alcune ricerche di recente pubblicazione, utili a comprendere quali sono oggi i principali sviluppi relativi alle memorie delle guerre di dissoluzione jugoslava in Croazia, Serbia e Bosnia Erzegovina.

La Croazia e la Guerra patriottica

Diversi studi sulle celebrazioni e le ricorrenze che si svolgono in Croazia confermano la marcata preminenza della narrazione costruita attorno all’idea della "guerra patriottica". Gli anni Novanta risultano molto meno divisivi nell’opinione pubblica rispetto al passato ustascia e comunista. Secondo Tamara Banjeglav (2012) in tale narrazione "lo Stato croato è al contempo una vittima innocente dell’aggressione serba e un eroe vittorioso che è riuscito a liberare il proprio territorio". La sofferenza e l’eroismo collettivo risultano simboleggiate rispettivamente dalla battaglia di Vukovar e dall’Operazione Tempesta.

In tale contesto, la stessa ricercatrice (2013) rileva comunque la presenza di controversie e sottolinea il lavoro degli attori della società civile impegnati a riconoscere i crimini e le vittime al di là della loro appartenenza religiosa o etno-nazionale. Il coinvolgimento di cariche istituzionali come Ivo Josipović durante il suo mandato presidenziale ha favorito una prima introduzione di tali prospettive nelle commemorazioni ufficiali. Le ricerche degli ultimi anni hanno preso in considerazione anche il ruolo del percorso di integrazione europea. Vjeran Pavlaković (2016), ad esempio, ha evidenziato la riconsiderazione delle tradizioni antifasciste dopo le forti ambiguità degli anni Novanta, un’evoluzione che ha contribuito anche ad ammorbidire i toni nazionalisti nel rapporto con i conflitti recenti.

Come hanno evidenziato altre ricerche, tuttavia, letture controverse del passato vengono riproposte in diversi ambiti della società croata. Guardando agli "agenti della memoria" attivi dal basso, Dario Brentin (2016) ha sottolineato il peso del mondo dello sport e delle tifoserie nel promuovere interpretazioni ultra-nazionaliste che riguardano anche i conflitti più recenti. Vukovar rappresenta un altro epicentro dei contrasti legati alla memoria degli anni Novanta, rafforzatisi in particolare in seguito ai tentativi di introduzione del cirillico in città. Tuttavia, ha spiegato Renata Schellenberg (2015), crescono anche le reazioni a livello cittadino verso l’imposizione del ruolo di "città museo", bloccata nel passato a tutela della memoria collettiva nazionale. Le pubblicazioni più recenti – pur non potendo tenere in considerazione i fatti dell’ultimo anno – hanno sottolineato quanto, dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, le tensioni rispetto a questi temi siano riemerse. Il ritorno al nazionalismo nel rapporto con il passato appare oggi un fenomeno crescente nel mondo politico e nelle istituzioni (Vjeran Pavlaković 2016, SnježanaKoren 2015).

La Serbia e i conflitti "dimenticati"

Le analisi della situazione in Serbia rilevano, al di là della generale lettura nazionale del passato, un rapporto controverso con l’esperienza bellica degli anni Novanta. Le difficoltà del confronto con il passato violento, le questioni della colpa e della responsabilità sono state prese in considerazione da diversi studiosi che si sono occupati di giustizia di transizione (Eric Gordy 2013; Jelena Obradović-Wochnik 2013). Gli studi sulla memoria evidenziano problematicità che si manifestano a partire dal confronto con il ruolo del paese nella fase 1991-1992. Nei recenti lavori di Lea David (2015), ad esempio, viene evidenziato il silenzio generale sull’esperienza dei veterani serbi e la marginalizzazione delle loro associazioni. Secondo la studiosa si tratta di un’efficace strategia messa in atto dalla leadership politica "per evitare ogni tipo di discussione franca e aperta del ruolo della Serbia e delle sue responsabilità delle guerre degli anni Novanta".

In tale contesto, la questione delle responsabilità per il genocidio di Srebrenica – vista la gravità della circostanza e la pressione internazionale – ha ottenuto maggiore risonanza. Secondo Jasna Dragović-Soso (2012) la dichiarazione di condanna votata dal Parlamento serbo nel 2010 sarebbe stata difficilmente approvabile senza la pressione dell’UE. La studiosa ha tuttavia sottolineato le criticità di un risultato "raggiunto principalmente attraverso una politica di compromesso avvenuta dietro le quinte", inefficace come "strumento di trasformazione della società".

Srebrenica è comunque ricordata pubblicamente dalle iniziative di gruppo di pacifisti e di attivisti per i diritti umani, in particolare a Belgrado. Negli ultimi tempi si sono registrate nuove commemorazioni volte a ricordare l’assedio di Sarajevo e il campo di concentramento di Omarska. Secondo Orli Fridman (2015) siamo di fronte all’affermazione di veri e propri "calendari alternativi" che favoriscono l’apertura di spazi di confronto (e di scontro) sul passato.

La memoria pubblica degli anni Novanta resta tuttavia imperniata principalmente sul conflitto con la Nato del 1999. Un recente numero della rivista Südosteuropa (Orli Fridman, Krisztina Rácz, Gruia Bădescu, Marija Mandić, 2016 ) ha evidenziato le diverse prospettive sull’evento presenti nelle memorie collettive e individuali. La commemorazione oscilla tra il vittimismo innocente e l’eroismo in difesa della patria, ma i ricercatori rilevano una certa incertezza nel significato della memoria istituzionale dell’evento. Le commemorazioni promosse dalle autorità appaiono limitate perfino in occasione degli anniversari più importanti, nel tentativo di evitare sia contraccolpi in termini di integrazione europea che un vero e proprio confronto con le responsabilità del conflitto.

Le memorie divise della Bosnia Erzegovina

In Bosnia Erzegovina le divisioni impediscono la formazione di una narrazione dominante. La memoria pubblica delle guerre anni Novanta risulta frammentata lungo i confini amministrativi che separano le entità e i cantoni. Come osserva Nicolas Moll (2013) nel paese coesistono tre memorie ufficiali del conflitto 1992-1995, incentrate sul vittimismo e sulla rispettiva “lotta per la libertà”. Le narrazioni vengono rafforzate facendo riferimento a un passato di costanti contrapposizioni e dando linfa ai tre progetti etno-nazionali concorrenti. Ioannis Armakolas e Maja Maksimović (2014), ad esempio, hanno evidenziato come tale approccio abbia contraddistinto anche la propaganda sul recente censimento nel paese, soffermandosi in particolare su come la memoria traumatica della guerra sia stata utilizzata per sostenere l’identità nazionale bosgnacca in opposizione a quella più genericamente bosniaca all’interno della comunità musulmana.

Nelle diverse realtà politico-amministrative della Bosnia Erzegovina, i tentativi di proporre narrazioni alternative a quelle dominanti determinano forti tensione e risultano spesso inefficaci. Mentre la gravità e la risonanza dei fatti di Srebrenica hanno portato comunque all’apertura del memoriale di Potočari – nel territorio della Republika Srpska – la memorializzazione del campo di Omarska, ad esempio, rimane incompiuta. Le ricerche di Sebina Sivac-Bryant (2015) hanno di recente illustrato le difficoltà che hanno impedito il successo delle iniziative in tal senso, le conseguenze del loro fallimento, le responsabilità degli attori locali e soprattutto di quelli internazionali. D’altra parte Nicolas Moll sottolinea come, diversamente da quanto avvenuto in Croazia e in Serbia, nel caso della Bosnia Erzegovina l’atteggiamento dell’Unione Europea rispetto alle commemorazioni pubbliche sia sempre risultato molto prudente.

Anche in Bosnia Erzegovina le ricerche rilevano la presenza di narrazioni non etno-nazionali, legate all’idea di una "nazione civica bosniaca". I ricercatori riconducono a tale approccio monumenti come le famose "rose di Sarajevo", il monumento alla comunità internazionale della capitale bosniaca o quello che ricorda il massacro di Tuzla del 1995. Secondo Anida Sokol (2014), tuttavia, tali commemorazioni "restano fino ad oggi rare e marginali", mentre molti monumenti dei conflitti recenti testimoniano come la prospettiva etno-nazionale venga spesso promossa anche dal basso. Risultano marginali anche diversi altri aspetti particolarmente significativi del conflitto bosniaco. Janet Jacobs (2016) ha sottolineato, ad esempio, quanto la vasta esperienza di stupri etnici e delle violenza di genere rimanga tutt’oggi fuori dalla cultura della memoria in Bosnia Erzegovina.

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