Restare o rientrare? Rifugiati e sfollati nel sud della Serbia
Alcuni ragazzi sono letteralmente cresciuti nei centri collettivi. Fuggiti da Croazia e Bosnia nel 1991-1992 hanno vissuto una vita da rifugiati. E l’uscita dalla precarietà è ancora lontana.
In Croazia il rientro procede a rilento, in Kossovo, nonostante gli ottimismi, tutto ancora è bloccato, in Bosnia la situazione è, almeno di poco, migliore. Ed in Serbia continuano ad esservi migliaia di rifugiati e sfollati. Alcuni vivono presso parenti, altri hanno affittato appartamenti e case ma, i più poveri, sono ancora nei centri collettivi.
Secondo il centro d’informazione sul sud della Serbia messo in piedi dall’UNHCR attualmente vi sarebbero 184 centri collettivi ufficialmente registrati nel sud e nell’est del Paese (tra Kraljevo e Bujanovac). Secondo le ultime informazioni vi risiederebbero circa 5330 rifugiati originari di Bosnia e Croazia e 5620 IDP originari del Kossovo. Le cifre variano comunque in continuazione perché spesso ci si muove dai centri collettivi o per rientrare nei luoghi d’origine o per spostarsi in una sistemazione migliore.
I cosiddetti centri collettivi non sono altro che vecchi hotel e motel distanti dalle vie di comunicazione principali. Durante la guerra in Bosnia e Croazia la maggior parte dei rifugiati vennero sistemati infatti in luoghi deserti, spesso in mezzo al nulla. Era la politica delle autorità di allora che cercavano di tenerli distanti dagli occhi dell’opinione pubblica. Ma dopo la guerra in Kossovo gli sfollati erano talmente tanti che si è dovuto trasformare in centro collettivo qualsiasi struttura minimamente idonea. E quindi sfollati e rifugiati hanno raggiunto anche i centri città.
A Nis ad esempio vi sono cinque centri collettivi, uno dei quali è situato nell’immediato centro cittadino, nell’Hotel Park, al fianco della Municipalità ed a pochi metri dalla fortezza dove si tengono tutti gli eventi culturali più rilevanti per la città. Sul vecchio edificio cadente si nota la scritta "Hotel di categoria D". La reception è deserta, le sale sporche ed i muri scrostati. Le stanze non hanno gabinetti propri, il bagno è in comune: circa uno ogni sei stanze. Le persone che vivono in questo centro collettivo sono sostanzialmente abbandonate a loro stesse se non per un minimo aiuto dato da Croce rossa ed UNHCR: qualche chilo di farina, latte in polvere e del riso o della pasta.
Fuori città la situazione è, se possibile, ancora peggiore. Nella piccola città di Bela Palanka, 25 chilometri ad est di Nis, verso il confine con la Bulgaria, vi sono due centri collettivi. Uno è situato nell’ex "Hotel Es", un edificio del tutto precario che però, a differenza dell’ "Hotel Nis", mostra alcuni segni di tentativi di restauro e riparazione svolti in questi anni. Ospita in maggioranza anziani provenienti da tutta l’ex-Jugoslavia: Croazia, Bosnia, Kossovo. Il secondo centro è situato nel villaggio di Divljana ed era una volta una struttura che ospitava campi estivi per ragazzini delle elementari particolarmente talentuosi. Qui abitano circa 45 persone originarie del Kossovo. Sullo sfondo i lavori per la costruzione di un nuovo centro collettivo proseguono al rilento.
Abbiamo intervistato uno dei pochi giovani che risiedono presso l’ "Hotel Es". Il suo nome è Srdjan Veresnik, ha 25 anni, è originario di Zagabria da dove è scappato con la prima ondata di rifugiati serbi, nell’oramai lontano 1991. Allora Srdjan aveva solo 13 anni. Di lì un peregrinare tra numerosi centri collettivi. I primi due anni li ha passati in un centro collettivo a Belgrado, poi nel 1995 si è spostato nel campo prima menzionato a Divljana ed infine è stato nuovamente spostato ed è finito in un campo nel centro di Nis per trovare poi sistemazione nell’Hotel Es di Bela Palanka.
OB: Hai passato anni nei centri collettivi. Pianifichi di rientrare in Croazia?
Srdjan: No, almeno non nell’immediato. Mio fratello è rientrato in Croazia nel 1999 ed ha impiegato ben due anni prima di riuscire ad avere una carta d’identità. Ovunque subiamo ostruzioni, quando ritorni la burocrazia è terribile. Io ho richiesto un documento di abilità al lavoro e per mesi non ho ricevuto alcuna risposta. Sembra che si stia cercando di ritardare il più possibile il rientro delle minoranze. Non so se questa è la politica ufficiale del Governo croato o meno ma è una pratica che si può riscontrare in tutto il Paese. Dal punto di vista della sicurezza invece mio fratello non ha avuto problemi, a parte, una piccola aggressione subita nei pressi di Dubrovnik.
OB: Chi vive nell’ Hotel Es?
Srdjan: Vi abitano sia rifugiati che sfollati interni. Vi sono persone originarie della Croazia, della Bosnia, del Kossovo. In maggioranza è gente anziana che non ha altri posti dove andare. Ma ci sono anche alcune madri con i loro figli, alcuni dei quali sono cresciuti in questo centro collettivo. Ora sono adolescenti ma quando nel 1991-1992 sono arrivati qui erano dei bambini. Ci sono poche persone in grado di lavorare anche se questo significa veramente poco perché la disoccupazione è altissima anche tra la popolazione locale, immaginati tra i rifugiati.
OB: E le condizioni del campo collettivo?
Srdjan:In media 5 persone vivono in una stanza che non è più grande di 3 metri per 4. Inoltre è più di dieci anni che qui vivono persone senza che sia stata fatta alcuna vera manutenzione e quindi l’immobile sta semplicemente cadendo a pezzi. I residenti si limitano a guardare la TV, giocare a scacchi o a carte con i conoscenti o camminare in giro per la città. Recentemente l’ICS in collaborazione con l’ORC ha promosso alcuni progetti di "generazione di reddito". Senza grandi successi. Hanno permesso di produrre qualcosa per l’autoconsumo ma non si è andati oltre questo.
OB: Le persone vogliono rimanere nel campo?
Srdjan: Assolutamente no. Chi può partire parte. Per i bosniaci la situazione è migliore. Circa il 30-40% di serbo-bosniaci che risiedevano nel campo sono rientrati nelle terre d’origine. Per quanto riguarda invece il Kossovo si sentono storie anche molto diverse tra loro. Alcuni sono profondamente depressi e pessimisti ("Non ritorneremo mai") altri di un ottimismo quasi irrealistico ("Torneremo in pochi mesi"). Conosco una famiglia di Obilic, Kossovo. Hanno mandato indietro i loro figli presso alcuni parenti in modo potessero studiare là ma loro sono rimasti in Serbia. Ma non è un buon esempio perché solitamente accade il contrario: ritornano gli anziani mentre i giovani restano. Per quanto riguarda il Kossovo si sta portando avanti un progetto di rientro nei paesi di Siga e Brestovik, nelle vicinanze di Pec/Peja, ovest della regione. Sono luoghi ancora abbastanza pericolosi, staremo a vedere.
OB: Qualcuno vorrebbe partire per Paesi terzi?
Srdjan: Si, vi era qualcuno interessato e sembrava che il loro desiderio potesse essere esaudito ma poi, qualche mese fa, si è tutto bloccato. Non so dirne la ragione. Ma qualcuno è riuscito a partire grazie all’interessamento di UNHCR e IOM. Quest’anno 3000 rifugiati originari della Bosnia dovevano partire per gli Stati uniti. Ma poi non se ne è fatto niente. Altre volte invece i rifugiati avevano dovuto compilare dei moduli, poi avevano fatto un colloquio individuale, seguito da una selezione del Paese di destinazione. Se si veniva selezionati si avevano a disposizione sei mesi di prova, di solito negli USA, in Canada o in Australia sotto la supervisione di un tutor e con a disposizione tre offerte di lavoro. Dopo di che si poteva iniziare a camminare con le proprie gambe.
OB: Di solito vengono selezionate persone giovani?
Srdjan: Potrebbe sembrare logico ma in realtà sembra non vi sia alcuna regola definita. Conosco una signora bosniaca di 71 anni che è riuscita a partire per la California. Laggiù è stata sistemata in una casa per anziani e dicono che stia bene. Di solito certo si tratta di giovani …
OB: Vi è qualcuno che riesce invece ad integrarsi qui?
Srdjan: Si, questo avviene. Spesso i giovani si muovono verso le grandi città, si sposano ed in alcuni casi hanno trovato un buon lavoro. Dubito però in merito vi siano statistiche. La maggior parte rinnega o nasconde il proprio status di profugo o rifugiato.
OB: Ma allora chi rimane nei campi?
Srdjan: Quelli che non hanno una soluzione migliore. Solitamente anziani. Recentemente il Governo serbo ha reso pubblica una strategia in merito a sfollati e rifugiati. Non finanzieranno i centri collettivi per sempre. L’idea è quella di chiuderli tutti entro il 2004, di aiutare i giovani a raggiungere una situazione stabile e duratura, comporti questo l’integrazione locale o il ritorno nei luoghi d’origine. Ma per quanto riguarda gli anziani non so quale sarà il loro destino. Probabilmente il loro futuro sarà rappresentato da case per anziani, dove però non saranno più IDP. Attualmente il governo sta acquistando case che mette poi a disposizione di alcune famiglie di rifugiati. Il primo anno non dovranno pagare l’affitto ma poi? La disoccupazione rimane ancora il problema maggiore.
OB: E tu cosa pensi di fare?
Srdjan:
Onestamente proprio non lo so. Ogni tanto trovo qualche lavoretto ma niente di duraturo. Ma non penso per ora di rientrare. Mentre sono qui mi terrò stretti i miei documenti da sfollato interno. Potrei richiedere la cittadinanza della Federazione Jugoslava ma questo mi creerebbe solo problemi: perderei anche i pochi aiuti che ricevo e dovrei partire per il servizio di leva. Dopo una vita intera da rifugiato non vorrei proprio. L’anno scorso ho iniziato a studiare psicologia presso la Facoltà di Filosofia di Nis. Non ho molto tempo per questo ma vorrei prima o poi riuscire a laurearmi. E poi si vedrà.
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