Republika Srpska ed invasione russa dell’Ucraina: finta neutralità
Quali sono le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina in Bosnia Erzegovina? Cosa pensa la popolazione della guerra in corso? Ne abbiamo parlato con Aleksandar Trifunović caporedattore del portale web Buka di Banja Luka
Dall’inizio della guerra in Ucraina ha notato qualche cambiamento significativo nei rapporti politici interni alla Bosnia Erzegovina (BiH), e più in generale della situazione politica nei Balcani occidentali?
Volendo focalizzarsi su quanto sta accadendo in Bosnia Erzegovina e in Serbia, penso si possa parlare di due situazioni diverse. I sentimenti prevalenti in BiH si differenziano fortemente da quelli diffusi in Serbia per due motivi. Primo, la Bosnia Erzegovina è ancora un paese multietnico in cui vivono serbi, croati e bosgnacchi. Sin dallo scoppio della guerra in Ucraina i serbi hanno scelto da che parte stare in modo molto più esplicito rispetto ai bosgnacchi, e soprattutto rispetto ai croati che quasi non esprimono alcuna opinione riguardo al conflitto in corso. Da quando i serbi si sono schierati con la Russia, nei media, e in generale nel dibattito pubblico in Republika Srspka, quando si parla di quanto sta accadendo in Ucraina, non viene mai menzionata l’aggressione russa, si parla sempre di un’operazione militare speciale, ed è stato più volte utilizzato anche il termine "denazificazione". Questa narrazione viene portata avanti ormai da un anno. Dall’altra parte, nella Federazione BiH si insiste su una narrazione filo-occidentale. Quindi, la situazione in BiH si contraddistingue per il fatto che i cittadini si sono schierati da una parte o dall’altra. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, si ha l’impressione che anche in BiH sia iniziata una nuova guerra virtuale, politica.
La situazione in Serbia è completamente diversa, almeno per come la vedo io. Anche in Serbia è molto diffusa una narrazione filorussa, ma non vi è alcuna forte contronarrazione. Lì persino l’opposizione tende a schierarsi con la Russia, talvolta in modo ancora più palese rispetto a Vučić.
La guerra in Ucraina ha decisamente portato una nuova narrazione. I serbi percepiscono ogni vicenda che vede coinvolta la Russia come una questione che li riguarda. Poi ovviamente, le persone che effettivamente vanno a combattere in Ucraina sono molto meno numerose di quelle che portano avanti una guerra virtuale. Si tende a semplificare l’intera vicenda e sono in molti ad adottare incondizionatamente la versione russa dei fatti, soprattutto per quanto riguarda le cause della guerra. Tuttavia, a differenza della Serbia, in Republika Srpska prevale una narrazione bellicosa: i serbo-bosniaci ritengono di dover schierarsi in difesa della Russia, a maggior ragione considerando che i bosgnacchi si sono schierati dalla parte opposta. Quindi, ancora una volta ci sforziamo di dimostrare gli uni agli altri di non poter vivere insieme.
Eppure la posizione ufficiale assunta da Banja Luka è una posizione di neutralità. Lei come spiega questo fatto?
La neutralità di Banja Luka è pura menzogna. In occasione del Giorno della Republika Srpska [9 gennaio], Milorad Dodik ha conferito un’onorificenza a Putin. Quindi, è chiaro che non si può parlare di alcuna neutralità. Nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, l’ambasciata russa a Sarajevo ha emesso un comunicato con cui invitava Dodik a non dimenticare l’accordo stretto con Putin. Dodik non potrebbe assumere un atteggiamento neutro, nemmeno se lo volesse. Per molto tempo ha sfruttato la popolarità di cui godono Putin e la Russia in Republika Srpska per conquistare facili punti politici, ora non può tirarsi indietro senza alcuna conseguenza. Quindi, credo che il discorso sulla neutralità non sia altro che un tentativo diplomatico di evitare di schierarsi apertamente da una parte o dall’altra.
Come commenta invece l’atteggiamento ambiguo assunto dalla Croazia nei confronti di Mosca?
Si tende a sottovalutare l’importanza del gas russo. L’intera economia croata, soprattutto l’industria petrolifera, è strettamente legata al mercato, alla politica e al capitale russo. Poi Orbán è molto vicino a Putin, e l’Ungheria praticamente controlla l’INA, la più grande compagnia petrolifera croata. Non vi è dubbio che Zagabria vuole proteggere il capitale russo. In fin dei conti, sono state le banche russe a salvare Konzum, la più grande catena di supermercati in Croazia. Credo che in Croazia gli interessi economici abbiano prevalso sui sentimenti, anche se dalle dichiarazioni dei politici croati, compresi alcuni membri del parlamento e lo stesso presidente Milanović, emerge una certa simpatia verso Mosca.
Torniamo alla Republika Srpska. Secondo lei, c’è un dibattito pubblico, o perlomeno una discussione tra le élite locali sulle cause e le responsabilità della guerra in Ucraina?
In situazioni informali, come ad esempio quando si discute in una kafana, qualcuno potrebbe anche cercare di mettere in discussione alcuni aspetti della guerra, il comportamento di Putin, etc. In generale però, nell’opinione pubblica prevale l’idea che la Russia stia facendo la cosa giusta.
La posizione di Dodik sulla guerra in Ucraina è diametralmente opposta a quella europea. Dodik continua a difendere la versione russa dei fatti. Quindi, in Republika Srpska non c’è alcun dibattito su questa questione, tutti i media sono allineati al potere, ad eccezione del portale di cui sono caporedattore. Noi abbiamo deciso di chiamare le cose con il loro nome. Riteniamo sia una scelta logica e giusta. Chi attacca un paese sovrano è un aggressore, punto. Ad ogni modo, in nessun’altra parte d’Europa regna una narrazione filorussa così forte come quella in Republika Srpska e in Serbia, e Mosca può approfittare di questa situazione a proprio piacimento.
Ad oggi non ho notato alcun atteggiamento aggressivo della Russia nei confronti della Bosnia Erzegovina. La posizione ufficiale dell’ambasciata russa a Sarajevo è che la BiH dovrebbe scegliere autonomamente la propria strada. Al contempo però, si sottolinea che la Russia si riserva il diritto di difendere i propri interessi. Quindi, in realtà ci stanno dicendo che, se dovessimo scegliere l’Europa o la NATO, Mosca ci considererà un nemico. E in Bosnia Erzegovina si assiste ad un costante scontro tra due opzioni politiche diametralmente opposte: quella di Dodik, che continua a ripetere di non voler entrare nella NATO, e quella dei politici di Sarajevo, favorevoli alla NATO.
Non dobbiamo poi dimenticare Erdoğan. Nonostante la Turchia sia membro della NATO, Erdoğan è molto vicino sia a Putin sia a Dodik. Ogni volta che si reca in BiH il presidente turco ci invita a guardare ad est, non ad ovest. Ci troviamo dunque in una situazione molto confusa.
Ad ogni modo, attualmente l’influenza turca e russa in BiH è molto più forte rispetto all’influenza di qualsiasi paese europeo, per il semplice fatto che Ankara e Mosca hanno dimostrato un certo interesse per il nostro paese. Lavrov, come anche Erdoğan, si è recato più volte in BiH, mentre nessun politico europeo di alto rango è mai venuto a offrirci un sostegno. Si ha l’impressione che l’Europa non sappia che farsene della Bosnia Erzegovina. Mosca ha approfittato di questo spazio vuoto, di questo disinteresse dell’Europa, per aumentare la propria influenza non solo in Republika Srpska, ma anche nella Federazione BiH.
Secondo lei, gli interessi di Ankara e Mosca in Bosnia Erzegovina guardano nella stessa direzione oppure si differenziano per alcuni aspetti?
Una domanda molto interessante. Penso che Erdoğan stia giocando un ruolo decisivo e che sia più interessato alla BiH rispetto alla Russia. Il presidente turco esercita una forte influenza anche sulla Serbia, ma in BiH ha le mani libere per fare quello che vuole, anche perché Alija Izetbegović gli aveva affidato il compito di proteggere i bosgnacchi. Nonostante il perenne conflitto tra bosgnacchi e serbi, sia la leadership bosgnacca che quella serba vogliono mantenere buoni rapporti con il presidente turco.
Come definirebbe invece la presenza russa in Bosnia Erzegovina? Come si manifesta questa presenza? Attraverso un’influenza economica oppure si insiste maggiormente su un sentimento di vicinanza legato a motivi storici?
La Russia non investe in BiH. Si è parlato di alcuni prestiti che Mosca sarebbe disposta a concedere alla BiH, ma sono rimaste solo parole. La Russia manipola abilmente le emozioni dei cittadini della BiH. In tutti i segmenti della società bosniaco-erzegovese si parla della Russia come di un paese fraterno, anche se la parte russa non ha mai dato alcuna dimostrazione di questo presunto amore fraterno.
Dodik ha dichiarato di essere contrario alla guerra in Ucraina, precisando però di non voler intromettersi. Inoltre, non ha mai condannato [le azioni di Mosca]. Chi conferisce un’onorificenza a Putin nel bel mezzo della guerra, è chiaro da che parte sta. Dodik è ben consapevole che i suoi sostenitori si aspettano da lui simili gesti. Il suo unico obiettivo è quello di rimanere al potere ed evidentemente pensa che riuscirà a raggiungerlo più facilmente sostenendo Mosca, anziché promuovendo l’idea europea.
Questo forte sentimento di vicinanza alla Russia è diffuso solo tra i serbo-bosniaci oppure in tutta la Bosnia Erzegovina?
Solo tra i serbi. I croato-bosniaci non hanno assunto alcun atteggiamento particolare nei confronti della guerra in Ucraina. A differenza di Zagabria – che ha definito quanto sta accadendo in Ucraina un’aggressione – Dragan Čović [leader del principale partito croato-bosniaco] non ha mai utilizzato quella espressione, né tanto meno ha commentato l’intera vicenda. Dall’altra parte, i bosgnacchi, compresa la leadership politica, hanno condannato le azioni di Mosca e spesso fanno paragoni tra la guerra in Ucraina e quella in BiH.
Ha notato qualche cambiamento in BiH per quanto riguarda la sicurezza interna? I media occidentali spesso parlano della possibilità di nuovi scontri, se non addirittura di una nuova guerra in BiH. Secondo lei, si tratta di ipotesi infondate, oppure c’è stato qualche cambiamento tangibile nei rapporti tra la Republika Srpska e la Federazione BiH, e più in generale all’interno della BiH?
La guerra in Bosnia Erzegovina non è mai veramente finita, è stata fermata, ma se non fosse stato per gli Accordi di Dayton, avremmo continuato a combattere. Le leadership politiche sono state costrette a firmare l’accordo, però la guerra è proseguita con altri mezzi, politici, culturali…
Quindi, quando parliamo della possibilità di una nuova guerra in BiH, occorre innanzitutto sottolineare che la guerra degli anni Novanta non è mai finita. Per fortuna non si tratta più di un conflitto armato, le persone non muoiono, ma è un conflitto altrettanto dannoso per la nostra società. Se in BiH dovesse scoppiare un nuovo conflitto armato, credo che sarebbe molto più brutale della guerra degli anni Novanta – che peraltro è stata una delle guerre più brutali mai combattute sul suolo europeo – perché oggi nel nostro paese è diffuso un discorso d’odio molto aggressivo, imperniato sulla disumanizzazione dell’altro. Oltre al nazionalismo serbo, si sono rafforzati anche il nazionalismo croato e quello bosgnacco. Finché nella nostra società prevarrà il discorso nazionalista, non faremo alcun passo in avanti.
Pur essendo circondati dalle prove dell’orrore della guerra e segnati dalle ferite mai rimarginate, i cittadini bosniaco-erzegovesi continuano a parlare di guerra con una strana passione, come se si trattasse di una cosa positiva. La Bosnia Erzegovina è al primo posto tra i paesi europei per numero di persone andate a combattere in Siria. Qui le persone ancora percepiscono la guerra come una possibile soluzione.
Lei dispone di dati concreti sui cittadini della BiH che sono andati a combattere in Ucraina?
Non ci sono dati ufficiali. Immagino che alcune persone siano andate a combattere in Ucraina, ma non si tratta di un fenomeno di massa. Il problema non sono quelle poche persone che decidono di andare a combattere in altri paesi, il problema è che la nostra società ancora non si rende conto che la guerra è un male. Invece di focalizzare il discorso sul fatto che la guerra in corso non porterà alcun beneficio a nessuno, nemmeno alla Russia, si continua ad insistere sull’idea che la guerra può essere una soluzione. Se i cittadini bosniaco-erzegovesi continuano a pensare in questo modo, significa che non hanno imparato nulla dalla guerra degli anni Novanta.
Per quanto riguarda invece il futuro europeo della Bosnia Erzegovina, ritiene che l’atteggiamento dell’UE nei confronti della BiH sia cambiato con lo scoppio della guerra in Ucraina? L’UE ha iniziato a dimostrare maggiore interesse per la BiH?
L’UE si interessa alla Bosnia Erzegovina solo a causa dell’influenza russa, quindi solo in un contesto securitario. Quando finirà la guerra in Ucraina – e prima o poi dovrà finire perché nessuna guerra può durare all’infinito – la BiH sarà di nuovo dimenticata. Noi abbiamo già accettato il fatto che saremo di nuovo abbandonati a noi stessi.
L’UE deve essere consapevole della posizione della BiH. Noi siamo nel cuore dell’Europa, siamo circondati da paesi membri della NATO. È vero che con lo scoppio della guerra in Ucraina a Bruxelles si è iniziato a parlare più spesso di Bosnia Erzegovina. Recentemente anche il segretario generale della NATO ha dichiarato che bisogna prestare maggiore attenzione a quanto sta accadendo in BiH ed elaborare un’adeguata politica di sicurezza. Tuttavia, nessuno si reca in BiH, nessun politico europeo è mai venuto per inviare un chiaro messaggio parlando della Bosnia Erzegovina come di un paese europeo. Nel frattempo, le persone continuano ad andarsene dalla BiH, nessuno vuole rimanere qui. Perché l’Europa dovrebbe impegnarsi a rendere migliore la nostra società se la stragrande maggioranza dei cittadini bosniaco-erzegovesi non crede in un futuro migliore per il proprio paese?
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