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Referendum in Macedonia: il dilemma del vagone

Domenica 30 settembre la Macedonia voterà nel referendum sul nuovo nome. 10 ragioni per cui vincerà il sì

26/09/2018, Kristijan Fidanovski -

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Domenica 30 settembre una delle dispute più bizzarre della storia europea arriverà, finalmente a termine. Dopo 27 anni di negoziati e il blocco della Grecia all’integrazione della Macedonia nell’Ue e nella Nato, i cittadini macedoni hanno la storica occasione di approvare il cosiddetto accordo di Prespa.

L’accordo, sottoscritto da Skopje ed Atene tre mesi fa, aggiunge il termine “Nord” al nome del paese per distinguerlo dall’omonima regione della Grecia. Vi si riafferma inoltre una identità linguistica e nazionale dei macedoni. Ma soprattutto, rimuove il principale ostacolo all’ingresso del paese nell’Ue e nella Nato.

Il dilemma che dovranno affrontare gli elettori macedoni domenica prossima corrisponde perfettamente al cosiddetto “Dilemma del vagone” nell’ottica della filosofia utilitarista. Provate ad immaginare di starvene vicino a delle rotaie. In lontananza vi accorgete di un vagone fuori controllo che si sta dirigendo verso cinque operai che non si stanno rendendo conto del pericolo. Non vi è tempo per loro di spostarsi. Improvvisamente vi rendete conto che al vostro fianco vi è una leva, con la quale potete direzionare il vagone su un secondo tracciato, dove vi è un solo operaio al lavoro. Che decidete di fare? Tirerete la leva sacrificando una vita ma salvandone cinque?

Se i macedoni voteranno “sì” al referendum di domenica consegneranno alla storia l’attuale nome costituzionale “Repubblica di Macedonia”, tirando la leva. Se invece rifiuteranno l’accordo votando “no” in teoria non faranno nulla di immorale: l’attuale status quo – con la Grecia che blocca il loro futuro – continuerà come prima. Ma, in realtà, far fallire il referendum non è affatto un atto innocente: facendolo i macedoni si renderebbero complici del blocco della Grecia e contribuirebbero a relegare il loro paese in un permanente isolamento internazionale.

Di seguito dieci ragioni per cui è probabile che i macedoni “tirino” la leva e votino “sì” al referendum di domenica:

Accesso all’Ue e alla Nato

La Macedonia non raggiungerà mai il suo obiettivo geo-strategico dell’ingresso nelle istituzioni occidentali, sanciti anche nella costituzione, senza prima raggiungere un accordo con la Grecia. Non importa se i macedoni sono in grado o meno di adempiere ai requisiti e criteri di accesso se, nel frattempo, il loro vicino meridionale pone il veto. Con il 75% degli elettori macedoni che si dichiarano favorevoli all’ingresso nell’Ue e nella Nato la scelta è semplice.

Unanime e convinto sostegno internazionale

Oltre al dolore emotivo di dover cambiare il proprio nome, i macedoni sono preoccupati di altre due cose: che la Grecia non rispetti gli accordi e che l’Ue non li lasci entrare comunque. Funzionari europei di alto livello hanno cercato di tranquillizzarli: negli ultimi mesi hanno fatto visita a Skopje un gran numero di leader mondiali tra i quali il primo ministro britannico Theresa May, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il segretario della Difesa degli Usa Jim Mattis e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Il messaggio più esplicito e convinto è arrivato da quest’ultimo: “Tutto quello che vi serve per diventare membri della Nato è votare ‘sì’“.

Tacito sostegno bipartisan

Ogni partito serio della Macedonia ha un effettivo interesse affinché il referendum abbia successo dato che il futuro del paese è strettamente legato al quesito. Questo è vero soprattutto per il principale partito dell’opposizione, il VMRO-DPMNE, che ha vincolato il proprio nome alla protezione dell’identità macedone. Il VMRO-DPMNE preferisce che sia l’attuale partito al governo, i Socialdemocratici dell’SDSM, a cambiare il nome del paese (e a subirne lo scotto) piuttosto che doverlo fare in prima persona una volta ritornati al potere. È per questo che il partito ha preso una posizione ambigua dando libertà di voto ai propri sostenitori (anche se avevano criticato ferocemente l’accordo di Prespa) invece di incoraggiarli, come ci si sarebbe potuti aspettare, a boicottare il voto.

Ampio sostegno delle élite

Di fatto tutti i politici di alto livello, attuali e del passato, hanno unito le forze per sostenere l’accordo. Anche molti fondatori del VMRO-DPMNE si sono uniti alla campagna per il “sì”. Sostegno è arrivato anche da due ex primi ministri Ljubco Georgievski (VMRO-DPMNE) Branko Crvenkovski (SDSM) che hanno governato, sommando i loro mandati, per 12 anni.

Il fattore albanese

Nessuno è più entusiasta del cambiamento del nome del paese della comunità albanese, che rappresenta secondo il censimento del 2002 il 25% dell’intera popolazione. Tutti i partiti albanesi del paese sostengono l’accordo di Prespa e lo faranno in modo massiccio.

La debolezza della campagna per il “no”

La migliore illustrazione del consenso costruito attorno al referendum è il fatto che non un solo partito parlamentare si oppone all’accordo di Prespa. La campagna per il "no" è gestita da un gruppo di soggetti eclettici e marginali, tra cui un partito leninista di estrema sinistra, un partito dichiaratamente pro-Putin e un movimento nazionalista della diaspora. Non solo questi gruppi sono attualmente fuori dal parlamento, ma non hanno mai ottenuto una rappresentanza parlamentare nella loro storia. Pertanto, la loro capacità di mobilitazione popolare rimane scarsa.

L’accordo di Prespa

Inutile dire che l’accordo di Prespa è ben lungi dall’essere perfetto per l’elettorato macedone che preferirebbe di gran lunga non dover cambiare il nome del proprio paese. Tuttavia, dato il potere chiaramente superiore della Grecia nei negoziati asimmetrici sul nome, l’accordo di Prespa rappresenta per i macedoni una vittoria alla lotteria: viene cambiato il nome del paese ma vengono anche fornite garanzie sul carattere distintivo della lingua e della nazionalità del paese, che la Grecia ha messo in discussione in modo aggressivo per decenni. I macedoni non potevano sperare in un accordo migliore.

Risentimento nei confronti dell’ex partito di governo

Dopo undici anni di corruzione sfrenata e di implementazione di numerose politiche economiche sbagliate dal 2006 fino al 2017, l’ex partito di governo (VMRO-DPMNE) tocca ora i minimi storici. Inoltre, dopo che è emerso il fatto che il partito, segretamente, avesse negoziato per anni con la Grecia, attualmente il VMRO-DPMNE ha una credibilità pari a zero nel sostenere che l’accordo di Prespa non sia la soluzione ottimale. Con l’adozione di un approccio trasparente per quanto concerne i negoziati, il partito SDSM sta cercando di distinguersi dal VMRO-DPMNE in modo da ottenere maggiore sostegno per l’accordo.

Disciplina di voto

Nonostante non sia un fenomeno auspicabile, la cultura politica piuttosto rudimentale della Macedonia accresce la probabilità della riuscita del referendum. Considerata la struttura gerarchica di tutti i partiti politici nel paese e la posizione di forza conquistata dal SDSM dopo la vittoria schiacciante nelle elezioni politiche dello scorso anno, il partito SDSM ed il suo parther di coalizione albanese DUI dovrebbero essere in grado di mobilitare una porzione significativa della loro base a favore del voto di domenica.

L’infinita disputa sul nome

Negli ultimi 27 anni, la Macedonia ha subito instabilità inter-etnica, massiccia fuga di cervelli, costante corruzione e livelli estremi di inquinamento atmosferico. Nessuno di questi problemi scomparirà con il cambio di nome, ma la maggior parte di essi può essere mitigata in modo significativo attraverso l’adesione all’UE, e tutti questi problemi possono trarre beneficio dal ritornare sotto i riflettori pubblici, per troppo tempo catturati da discorsi astratti sull’identità. Il successo del "sì" al referendum di domenica non renderà immediatamente la (Nord) Macedonia un paradiso in terra, ma potrebbe semplicemente renderla un paese normale.

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