Rapporti UE-Balcani: assistenza, coesione e nuovi confini d’Europa
Pubblicato un nuovo documento dell’ESI nel quale si indagano i rapporti tra UE e Balcani. Se ne individuano le debolezze e si invita l’Unione a lanciare segnali forti ed a dimostrare che l’integrazione non è un’illusione
L’European Stability Initiative ha recentemente pubblicato un nuovo documento sulla problematica relazione tra Unione europea e Balcani. Il documento è stato inizialmente redatto per un incontro con l’Alto Rappresentante per la politica estera europea Javier Solana, tenutosi il 5 novembre scorso, ed è stato poi pubblicato sul sito dell’ESI stesso.
Secondo i ricercatori del centro di studi l’Unione europea si ritrova impreparata ad affrontare la nuova situazione attraversata dai Paesi dei Balcani. Basa infatti ancora il proprio intervento sulla base dell’emergenza quando invece sono altre le sfide da affrontare. Innanzitutto la forte crisi sociale ed economica attraversata da tutta l’area, tra l’altro in alcuni Paesi accentuata dal brutale diminuire delle risorse della cooperazione allo sviluppo. Situazione che caratterizza ad esempio la Bosnia Erzegovina e, seppur in maniera meno accentuata ma altrettanto evidente, il Kossovo. Per quanto riguarda la prima l’ESI sottolinea ad esempio come la crisi, probabilmente nel 2004, sarà dura. "Solo adesso iniziano ad emergere gli effetti distorti dell’assistenza internazionale … in particolare per quanto riguarda la sostituzione di responsabilità legate alle istituzioni locali … la misura di questo "effetto sostituzione" è enorme, tra il 1996 ed il 2000 l’amministrazione bosniaca ha speso solo per stipendi 9.2 milioni di dollari, che corrispondono al 48% della media del PIL annuale". E naturalmente questo era possibile – lasciano intendere i ricercatori dell’ESI – solo perché altri assicuravano il funzionamento, seppur spesso precario, di tutta una serie di servizi pubblici.
Per questo motivo, anche per non rischiare che proprio dai Balcani arrivino nuove insicurezze fino al cuore dell’Unione, spetta alle autorità europee cambiare radicalmente atteggiamento. Innanzitutto adottando politiche tali da fornire segnali forti ai Paesi del sud est Europa che indichino che l’integrazione non è un miraggio, come ora invece rischia di sembrare. E poi, viene sottolineato in più parti del documento, occorre adottare politiche sul medio e lungo periodo che assicurino una presenza europea stabile.
Sono anche altre le domande poste nel documento dell’ESI ed alle quali si inizia a dare una risposta: innanzitutto quella sulla transizione di questi Paesi, una transizione verso dove? Si può parlare veramente di transizione? E poi, avendo presente il collasso del sistema industriale della ex-jugoslava, si può parlare della fine di una società industriale? E quali le alternative a questo? Ad esempio che tipo di settore privato sta emergendo, costretto tra costi di produzione che non sono così bassi e tecnologie arretrate che non permettono di competere con i concorrenti dell’Europa occidentale? Ma non si dimentica di affrontare anche la crisi della rappresentanza politica, a partire dai dati sull’affluenza alle urne: bassissima in tutta l’area dei Balcani.
Questo lavoro dell’ESI, seppure molto sintetico, mette in risalto tutta una serie di questioni aperte nel rapporto Balcani-UE. Ne consigliamo quindi la lettura.
Per una lettura integrale del documento vi rimandiamo al sito dell’ESI, il documento è in inglese.
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