Rapimento fuori Mariupol
Husseyn, uno studente azero trattenuto per un mese dalle truppe russe, racconta di abusi quotidiani, torture e esecuzioni extragiudiziali
(Pubblicato originariamente da OC Media )
Il 17 marzo, Husseyn A., 19 anni, si stava dirigendo verso ovest in un’auto con altri sette passeggeri. Stavano fuggendo dalla città portuale ucraina di Mariupol, assediata dall’esercito russo dal 25 febbraio.
"Abbiamo superato diversi checkpoint militari e quando ci siamo avvicinati al checkpoint di Berdiansk siamo stati fermati", racconta a OC Media. "L’autista dell’auto era ucraino. I soldati russi ci hanno fermato e ci hanno ordinato di scendere dalla macchina e toglierci i vestiti".
I soldati hanno detto ai passeggeri che volevano controllare se qualcuno nell’auto avesse tatuaggi. I tatuaggi avrebbero indicato che la persona in questione era un membro del battaglione Azov. Il battaglione, attualmente un’unità della guardia nazionale ucraina, è nato come milizia di estrema destra e ha avuto un ruolo di primo piano nella propaganda di guerra russa. Delle sette persone nell’auto, racconta Husseyn, nessuna aveva tatuaggi tranne l’autista, il quale aveva il segno zodiacale del cancro raffigurato sulla gamba.
I soldati li hanno tenuti al posto di blocco per molto tempo, le ore erano scandite dal rumore di proiettili e spari dalla linea del fronte non troppo distante.
Alla fine, un camion è arrivato al posto di blocco e sono scesi circa due dozzine di soldati. Gli uomini, che sembravano essere di "provenienza centroasiatica", hanno interrogato i passeggeri, chiedendo loro chi fossero e dove stessero andando.
"Anche se ho mostrato loro la mia tessera studentesca e il passaporto, mi hanno colpito diverse volte al petto e alle gambe e mi hanno trascinato nel loro veicolo", racconta Husseyn.
Per i successivi 26 giorni il giovane che era venuto dall’Azerbaijan a Mariupol tre anni prima per studiare ecologia alla Mariupol State University ha subito interrogatori, torture e abusi per mano dell’esercito russo e ha assistito a quelli che sembrano essere almeno due casi di esecuzioni extragiudiziali di prigionieri ucraini.
“Sei un membro del battaglione Azov”
Il viaggio dal checkpoint a dove sono stati poi reclusi è durato poco più di mezz’ora. Al loro arrivo, Husseyn e gli altri passeggeri sono stati nuovamente interrogati dall’esercito russo. Molti dei soldati sembravano essere ceceni, parlavano russo misto a ceceno e sfoggiavano lunghe barbe, con baffi tagliati corti, uno stile tipico indossato dai membri della Guardia nazionale russa della Cecenia.
Ma uno era diverso. Gli altri lo chiamavano "Nachalnik", "capo" in russo. Era basso, tozzo e aveva la barba tagliata aderente al viso.
"Mi è stato chiesto cosa facessi, ho detto loro che sono studente da tre anni, ma non mi credevano", ricorda Husseyn del suo arrivo al centro di detenzione. Racconta poi che gli hanno detto che non gli credevano, che li stava ingannando e che sembrava "un soldato", un "membro di Azov".
“Non importa quanto ho giurato su Dio [che ero uno studente], non mi hanno creduto e mi hanno messo in una cella con le sette persone che erano con me”, spiega.
La cella era spoglia e "incredibilmente fredda", e i detenuti, ancora senza i loro vestiti, sono stati costretti a stare in piedi su un gelido cemento nudo. Diverse ore dopo un soldato ha aperto la porta della cella, con gli abiti di Husseyn in mano. Husseyn ricorda che il soldato gli ha detto ‘Ora puoi metterti i vestiti’, dopodiché è stato bendato e portato in un’altra cella.
Quando la benda gli è stata tolta, il giovane studente si è ritrovato faccia a faccia con un altro soldato, apparentemente ceceno. Il soldato gli ha detto di spogliarsi ancora una volta e di sedersi su una sedia. Ha ubbidito. Il soldato lo ha poi ammanettato.
"Mi ha urlato più volte, facendo domande come ‘quando ti sei unito ad Azov; dove hai combattuto?’", ricorda Husseyn. "Non mi credeva, nonostante ogni volta gli dicessi che ero solo uno studente e che stavo partendo [da Mariupol] per l’Azerbaijan".
Poi, quando l’interrogatorio sembrava ricominciare da capo, un barlume di speranza.
"Hanno detto che stava arrivando un azerbaijano. Pensavo che un altro azerbaijano mi avrebbe capito e mi avrebbe aiutato a esprimere la mia opinione e porre fine a questa tortura".
Ma nel momento in cui il nuovo soldato è entrato, ha iniziato a colpire Husseyn e a gridargli oscenità.
"Hai insozzato l’onore della nostra nazione, cosa ci fai nel battaglione Azov!?" Husseyn ricorda che il soldato gridava. "Più tardi ho capito che era un soldato russo azerbaijano [etnico] nato a Derbent."
Scontento dell’apparente mancanza di collaborazione del suo prigioniero, Husseyn ricorda che l’uomo ha poi ordinato agli altri soldati nella stanza di "portare il dispositivo elettrico".
Il dispositivo era una scatola rettangolare collegata a un alimentatore, che i soldati hanno collegato al diciannovenne con dei cavi. Per tre volte, racconta Husseyn, gli hanno chiesto di "confessare tutto" e quando non lo ha fatto hanno attivato l’elettroshock, ogni volta con una tensione più alta dell’ultima.
Dopo la terza scossa è svenuto. Si è svegliato solamente quando i soldati gli hanno gettato acqua fredda in faccia.
“Ho pregato Dio che almeno la giornata finisse, magari si stancassero, arrivasse il sonno e io mi liberassi della tortura per qualche ora. Ma no, non avevano alcuna intenzione di arrestarsi".
La tortura è continuata per ore fino a quando Husseyn ha potuto "sentire il sangue che usciva dalle [sue] orecchie". Per tutto il tempo, ricorda, hanno chiesto solo una cosa, che confessasse di aver combattuto con il battaglione Azov, dicendogli che se lo avesse fatto, sarebbe stato rilasciato.
“Sono stato picchiato e torturato per circa quattro o cinque ore al giorno. Ho aspettato al freddo per ore. Mi davano circa due cucchiai di grano saraceno e meno di mezza fetta di pane dal giorno. Per quanto riguarda l’acqua, non so esattamente se fosse fango o meno, ma era nera e me ne davano mezzo bicchiere al giorno".
“Buon compleanno”
Nel quarto giorno della sua prigionia, uno dei soldati gli ha puntato una pistola alla testa, mentre il soldato azerbaijano ha detto ad Husseyn di pronunciare lo Shahadat, la dichiarazione di fede islamica, che viene pronunciata in prossimità della morte.
"[Lui] poi mi ha puntato la pistola contro il ginocchio, dicendo che mi avrebbe umiliato e paralizzato", ricorda Husseyn. "Si sono divertiti con me in questo modo per alcuni minuti e poi mi hanno riportato nella mia cella".
Non tutti sono tornati dalla stanza delle torture.
Husseyn ha raccontato a OC Media che il secondo giorno due uomini che indossavano le uniformi dell’esercito ucraino sono stati portati in una cella di fronte alla sua. Lui e gli altri compagni di cella potevano comunicare con i due ucraini parlando attraverso la piccola finestra sbarrata sulla porta della cella. Pochi giorni dopo ha detto di aver visto i due uomini costretti a uscire dalla cella e, solo poco dopo, di aver sentito dei rumori di spari. Non ha mai più rivisto i due uomini.
Il 21 marzo, quinto giorno della sua prigionia, Husseyn ha compiuto 20 anni. Quel giorno, un soldato lo ha salutato con un sorriso e le parole "buon compleanno".
"Ho pensato per un momento che fossero tornati in sé e si fossero addolciti", ricorda Husseyn. "Meno di un minuto dopo, la porta si è aperta e sono venuti, mi hanno afferrato per le braccia e mi hanno riportato nella stanza delle torture".
Lui e gli uomini con cui condivideva la sua cella venivano torturati ogni giorno, ciascuno per "tre o quattro ore al giorno".
“Sono certo che tutto fosse molto chiaro e ovvio per i nostri torturatori. Hanno capito molto bene fin dal primo giorno che ero uno studente", afferma Husseyn. "Posso solo assicurare che siamo stati torturati e picchiati uno per uno solo [affinché i nostri rapitori] non si annoiassero e si divertissero".
Nonostante gli atti che stavano perpetrando, Husseyn ricorda di aver visto i suoi rapitori cantare canzoni e ballare. Quando erano particolarmente su di giri Husseyn ricorda che quelli di apparente origine cecena avrebbero esclamato "Akhmat Sila!" ("Akhmat Power!") – un ritornello reso popolare dal capo dispotico della Repubblica di Cecenia, Ramzan Kadyrov.
L’esclamazione fa riferimento al defunto padre di Ramzan, Akhmat Kadyrov, e si può spesso sentire nei video in cui le unità cecene della Guardia nazionale russa combattono in Ucraina.
Una chiamata per la libertà
Il 12 aprile, dopo quasi un mese di detenzione, Husseyn è stato portato fuori dalla sua cella per l’ultima volta. "Pensavo che sarei stato torturato – ricorda – ma quando meno me lo aspettavo, la guardia ha detto: ‘preparati, uscirai presto". Poco dopo è stato avvicinato da diversi soldati ceceni, i quali, dopo averlo controllato gli hanno detto che lo stavano liberando perché era “il mese sacro del Ramadan”. Fu l’unico a ricevere questo privilegio, gli altri sei passeggeri dell’auto sarebbero rimasti imprigionati.
Husseyn è stato riportato al posto di blocco di Berdiansk dove era stato catturato e gli è stato detto che era libero di andare. Ma prima di essere rilasciato, è stato avvicinato da Nachalnik, che gli ha consegnato un vecchio cellulare. "Se ti fermano per strada o a un posto di blocco, chiamami", ha detto l’uomo a Husseyn, prima di aggiungere che avrebbe dovuto chiamare anche il suo amico Aykhan che lo stava aspettando nella città di Zaporizhzhya, controllata dall’Ucraina.
Quando ha sbloccato il telefono eccoli lì, due numeri. Uno di Nachalnik, e l’altro quello di Aykhan, con cui studiava a Mariupol. Non sapeva perché i russi avevano il numero del suo amico, era troppo stanco e ferito per pensarci.
Sarebbe stato solo più tardi, appena al sicuro, che avrebbe scoperto cosa era successo. Dopo la sua scomparsa, Aykhan ha cercato di chiamarlo per scoprire cosa fosse successo e Nachalnik aveva risposto al telefono.
Aykhan ha dichiarato a OC Media che per oltre venti giorni lui e un altro studente azero della Mariupol State University sono stati in contatto con Nachalnik, usando la loro comune fede musulmana e il fatto che era il Ramadan per stabilire un rapporto e tenerlo in contatto.
"Siamo stati in grado di spiegare che Husseyn era davvero uno studente e non aveva nulla a che fare con questioni politiche o militari", spiega Aykhan.
Husseyn è poi arrivato a Zaporizhzhia il 13 aprile, dopo aver fatto l’autostop dal posto di blocco dove è stato rilasciato.
"Il sorriso sul viso di Husseyn, la sua felicità, non possono essere descritti", ricorda Aykhan a proposito del loro incontro. "Ci siamo abbracciati e lui mi ha detto con gioia che pensava che non sarebbe mai stato in grado di parlare la mia lingua, che non avrebbe mai più potuto riabbracciare i suoi amici". Aykhan ricorda che il suo amico gridava: "Sono la persona più libera e felice del mondo!".
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