Rapimenti d’Italia
Il caso di uno studente bosniaco arrestato dalle forze italiane in Bosnia, consegnato ai militari statunitensi e torturato. La ricostruzione del settimanale bosniaco Dani e le denunce di Amnesty International. Anche la Bosnia nell’arcipelago gulag delle prigioni segrete Cia? Gli italiani sono coinvolti?
Il 25 settembre 2001, a Sarajevo, lo studente bosniaco Nihad Karsic sta andando al lavoro. Per mantenersi agli studi, Nihad fa il barista presso la sede dell’Alto comitato saudita, un’organizzazione umanitaria finanziata da paesi arabi che opera in Bosnia Erzegovina. Si accorge di essere seguito da un’auto. Poco dopo, tre uomini armati lo fermano, lo ammanettano, lo caricano in macchina e partono: "Gli ho chiesto chi fossero, ma non dicevano nulla. A un certo punto però mi hanno fatto vedere i documenti, erano carabinieri della Sfor la forza multinazionale in Bosnia, ndr."
Per il giovane bosniaco inizia un incubo. Gli italiani lo interrogano sui suoi presunti legami con reti terroristiche, garantendogli la sicurezza e la possibilità di studiare in un paese occidentale se avesse collaborato. "Gli ho detto che non capivo di cosa stessero parlando. Dopo alcune ore, mi hanno detto: ‘Abbiamo provato con te con le buone, noi siamo un esercito serio. Ma tu non vuoi collaborare, dobbiamo consegnarti agli americani’".
Bendato e ammanettato, viene portato via in un automezzo, e poi condotto fuori. Quando gli vengono tolte le bende, si rende conto di essere in una gabbia: "Era come una gabbia per le galline, all’interno di un grosso hangar". Poco dopo giunge un americano con un interprete, bendato, che si rivolge a lui in arabo: "Purtroppo io non capisco neanche una parola di arabo, allora abbiamo provato in qualche modo con l’inglese. Mi faceva le stesse domande dei carabinieri. Pensavo che mi avrebbero lasciato dopo essersi resi conto di aver commesso un errore. Invece l’americano ha perso la pazienza, minacciando di portarmi a Tuzla". Dopo un po’ – prosegue il racconto – la gabbia viene ricoperta con della tela e sistemata su un elicottero. E Nihad Karsic sparisce.
Per una settimana il giovane viene tenuto in condizione di "incommunicado", senza poter vedere un avvocato o comunicare con l’esterno. Insieme a lui un collega che lavorava presso il Comitato saudita, Almin Harbaus. Il luogo della detenzione, verosimilmente, era la grossa base americana "Orao" (Eagle), nel nord est del Paese, presso Tuzla.
Chiuso in una cella, senza luce, sottoposto a interrogatori continui ("mi impedivano di dormire"), dal terzo giorno cominciano i pestaggi, in varie forme: "Poi hanno preso un secchio, non riuscivo a capire cosa volessero fare… Uno mi ha messo il secchio in testa e lo batteva con una sbarra… Picchiavano così tanto che ad un tratto il secchio si è rotto… Era un male insopportabile…"
Il settimo giorno gli comunicano che si sono sbagliati (!) e gli chiedono di firmare una carta in cui si impegna di non parlare con nessuno di quanto accaduto: "Altrimenti – mi hanno minacciato – sarebbero tornati a prendermi. Poi mi hanno dato 500 dollari, forse per il silenzio o come indennizzo, non so". La storia si conclude con un nuovo trasferimento e la liberazione dei due a Butmir, la base delle forze internazionali presso l’aeroporto di Sarajevo.
Il racconto di Karsic è stato raccolto dalla giornalista di ‘Dani’ Belma Becirbasic, ed è apparsa in prima pagina nell’edizione del settimanale sarajevese del 16 dicembre scorso. Quattro anni dopo i fatti, a seguito delle denunce emerse sulla stampa internazionale sull’arcipelago gulag americano, il giovane ha infatti capito di essere stato in una delle prigioni segrete della Cia. E ha deciso di parlare. Non si tratta del primo caso di questo tipo avvenuto in Bosnia Erzegovina. Altre persone, come ha denunciato più volte Amnesty International, sono state detenute illegalmente presso la base "Eagle" di Tuzla.
Il caso Karsic, tuttavia, solleva alcune domande imbarazzanti per l’Italia. Il nostro contingente nella Sfor è impegnato nella ‘lotta globale al terrorismo’? Da quando? Su quale base legale cittadini bosniaci vengono prelevati e consegnati all’esercito americano? Sono avvenuti altri casi di questo tipo nei Balcani? Sempre Amnesty International, in passato, ha denunciato l’arresto illegale da parte delle forze italiane in Kosovo, presso Djakovica, di tre esponenti di un’altra organizzazione umanitaria islamica, e la loro consegna alle forze americane della base Bondsteel, presso Pristina.
Si tratta di una piccola porzione di quello che il giornalista Stephen Grey ha definito il "traffico mondiale di prigionieri". Seymour Hersh ("Catena di comando: la strada dall’11 settembre a Abu Ghraib") cita laconicamente un ex funzionario americano dei servizi secondo cui le regole del gioco sono semplici: "Prendi chi devi prendere. Fai quello che vuoi".
Il ministro Fini, nella sua recente visita nei Balcani, ha giustamente sottolineato il ruolo positivo, di difesa delle minoranze e mantenimento della pace, svolto dai militari italiani in questi anni nella regione. La storia di Karsic però rischia di sollevare il velo su di una pagina meno edificante. Se in Italia protestiamo per i rapimenti che avvengono sul nostro territorio (Abu Omar), non possiamo altrove (nei Balcani) collaborare con i rapitori.
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