Ramadan in Kosovo, religione e identità
L’Islam è la religione della maggioranza degli abitanti del Kosovo, anche se per anni questo elemento identitario è rimasto sullo sfondo, eclissato dalla politica. Nel mese di Ramadan, però, riemerge con più forza, e ora a Pristina nuove formazioni politiche lo riportano in primo piano
La Chiesa Ortodossa Serba sembra essere l’unico argomento religioso oggetto di dibattito in Kosovo negli ultimi dieci anni, in particolare quando si parla del processo distate-building del neonato Stato. Coinvolgendo i luoghi santi ortodossi nella battaglia per lo status del Kosovo, Belgrado è riuscita a presentare la religione ufficiale serba come un importante fattore politico nell’area.
Allo stesso tempo gli albanesi musulmani (che costituiscono circa il 90% della popolazione) nonché la classe dirigente di Pristina, non sono riusciti a far passare efficacemente l’idea che anche l’Islam rappresenta un fattore importante nella definizione dell’identità del Kosovo. Tali difficoltà probabilmente sono riconducibili al fatto che i principali alleati del Kosovo nel processo di (ri)scrittura della sua storia più recente sono di diversa religione, ma anche alla diffidenza con cui buona parte dell’opinione pubblica occidentale guarda all’Islam.
Spesso, poi, il tema dell’estremismo religioso monopolizza il dibattito sull’Islam nella regione. Comprendendo il rischio insito dall’emergere di un qualsiasi legame con elementi dell’Islam estremista durante il processo di costruzione dello stato kosovaro, l’opinione pubblica si è astenuta per anni dall’iniziare un qualsiasi dibattito sui temi religiosi, imitata dalle élites culturali e politiche di Pristina.
Sul campo, però, la situazione appare piuttosto diversa. Un sondaggio effettuato quest’anno a livello mondiale dimostra infatti come il Kosovo sia tra gli stati dove la religione viene ritenuta come elemento decisivo dai suoi abitanti. Nell’ambito di un sondaggio Gallup il 90% dei kosovari ha dichiarato infatti che la religione ricopre un ruolo molto importante nella propria vita quotidiana. Ai primi posti di questa classifica ci sono il Bangladesh, il Niger, l’Indonesia e il Malawi.
In Kosovo, la voce degli imam che chiamano i fedeli alla preghiera dai minareti si ode forte e chiara, anche se i fedeli non accorrono in massa al richiamo, specialmente nelle città più grandi. L’impressione è che nello stato più giovane d’Europa la popolazione, prevalentemente musulmana, pratichi l’Islam in maniera molto più moderata rispetto a quanto avviene, per esempio, nei paesi arabi.
Il mese santo del Ramadan viene comunque celebrato in Kosovo in un’atmosfera di grande partecipazione. A Pristina, durante la preghiera, le moschee sono affollatissime. Secondo gli attivisti religiosi, questo è un chiaro segno che nella capitale gli spazi dedicati alla preghiera non sono sufficienti ad accogliere tutti i fedeli. A Prizren diversi bar del centro storico hanno cancellato gli alcolici dai menu, in segno di rispetto per chi osserva il digiuno rituale. Nella città di Peja, a ovest del paese, la gente fa la fila fuori dai forni per comprare il pane appena sfornato da mangiare per la iftar, la cena che si consuma insieme alla famiglia dopo un lungo giorno di digiuno. Quando cade la sera durante il Ramadan le strade del Kosovo sono molto silenziose, a differenza di quanto avviene il resto dell’anno.
Gli esperti del tema dell’identità ritengono che la iftar sia più una tradizione sociale, finalizzata a passare un po’ di tempo insieme alla propria famiglia, che un indizio del grande attaccamento dei kosovari al precetto del digiuno e del loro essere “ferventi musulmani”.
L’editorialista Shkelzen Maliqi afferma che la religione musulmana, in Kosovo, viene praticata soprattutto tra le pareti di casa; tuttavia, ciò non significa che non vi siano pressioni sociali a sfoggiare la propria religiosità. Secondo Maliqi, i kosovari sono oggi più liberi di esprimere le proprie convinzioni religiose rispetto ai tempi della repressione subita negli anni ’90.
Ai tempi di Milošević, infatti, le manifestazioni pubbliche, comprese quelle religiose venivano vietate o comunque fortemente scoraggiate. La situazione oggi è completamente diversa: i datori di lavoro non assegnano incarichi troppo duri ai musulmani kosovari durante il Ramadan, arrivando persino a ridurre l’orario di lavoro.
Kosovari pragmatici
Gli esperti di religione e identità ritengono che l’approccio pragmatico dei kosovari verso la religione abbia favorito la conversione del Kosovo a diverse fedi nel corso della propria storia. Rispetto al Cristianesimo, l’Islam è stato accolto molto più velocemente, anche grazie ai benefici di natura pratica ed economica offerti dall’Impero Ottomano a chi diventava musulmano.
Nuovi partiti giocano ora la carta della religione per sfidare le formazioni più radicate già attive sulla scena politica kosovara. Il Partito della Giustizia (Partia e Drejtësisë), nato nel 2007, si prefigge lo scopo di difendere l’identità culturale e nazionale degli albanesi del Kosovo, affermando che l’Islam non è un ostacolo alla costruzione di un Kosovo moderno.
Il leader del partito, Ferid Agani, afferma che “Molti considerano la religione [l’Islam] la principale causa della tragedia che ha colpito gli albanesi del Kosovo dopo la caduta dell’Impero Ottomano. Non c’è nulla di più sbagliato e non possiamo che prendere le distanze da tali affermazioni.”
Secondo Agani, l’identità religiosa dei Kosovari, espressa dalle tre fedi principali (l’Islam, la Chiesa Ortodossa e il cattolicesimo) è un valore da promuovere come parte dell’integrazione internazionale del paese.
Agani è leader di un piccolo partito senza nessun seggio in parlamento, ma ricopre la carica di vice-ministro nell’attuale governo. La missione di Agani è tessere relazioni con il mondo musulmano. Il leader del Partito della Giustizia sottolinea: “Stiamo lavorando per far fruttare il più possibile i legami personali che gli albanesi hanno stabilito nei 600 anni di Impero Ottomano nei Balcani, e per ora sembra ci stiamo riuscendo.”Agani fa riferimento agli incontri ufficiali che i rappresentanti del partito hanno tenuto in Kuwait, negli Emirati Arabi Uniti e in Bahrain. I membri del Partito della Giustizia affermano che le loro attività di lobby abbiano avuto un ruolo fondamentale nel riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di questi stati.
Il Partito della Giustizia ha invitato il governo ad utilizzare i contatti personali per rafforzare i legami con i 56 paesi-membri dell’Organizzazione della Conferenza Musulmana (OIC). Tuttavia, la leadership politica si è dimostrata titubante a seguire l’incitamento di Agani a candidare il Kosovo a divenire membro effettivo dell’OIC.
Un Islam europeo
L’entrata del Kosovo nell’OIC, tuttavia, non rientra nel programma ufficiale dei diplomatici kosovari. Il vice-ministro degli Esteri, Vlora Citaku, afferma che Pristina nutre perplessità nel presentare domanda di accesso, anche perché molti membri dell’OIC non hanno ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Dei 56 stati membri dell’OIC infatti solo 16 paesi (inclusi l’Albania e la Turchia) hanno riconosciuto lo stato kosovaro.
La Citaku ha rivelato le ragioni delle scelte diplomatiche di Pristina: "Occorre instaurare buoni rapporti con tutti gli stati, compresi quelli a maggioranza musulmana, ma non su basi religiose". Il governo, tuttavia, non ha proibito ai leader della comunità musulmana di fare lobby per ottenere il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.
Le istituzioni di Pristina stanno costruendo una cornice legale in armonia con i principi dell’Unione Europea. Ad ogni modo, secondo la Citaku, l’Unione Europea non impone condizioni che leghino i processi di integrazione alla dimensione religiosa. La Citaku sottolinea che: "Il Kosovo è parte dell’Europa e del suo sistema di valori, e l’Islam praticato qui è un Islam europeo. La religione non è il principale pilastro della nostra identità e del nostro modo di vivere."
I media sostengono che la società kosovara ha ormai adottato uno stile di vita occidentale, e che (re)introdurre un concetto di società di stampo orientale e basato sull’Islam possa generare conflitti sociali.
Eppure i leader politici kosovari continuano a considerare il Ramadan una priorità nel loro programma interno di pubbliche relazioni. I media mostrano costantemente politici seduti davanti a generosi iftar, offerti soprattutto ai propri colleghi durante il mese sacro.
I kosovari stanno ancora tentando di stabilire quale sia il ruolo dell’Islam nella definizione generale della loro nuova identità nazionale. Le istituzioni di Pristina hanno chiaramente mostrato che uno dei principali obiettivi del Kosovo è l’entrata nell’Unione Europea, dove gli stati membri rispondono a regole comuni ma hanno identità culturali diverse e profondamente radicate. In tale prospettiva, sembra inevitabile dare il via a un serio dibattito sugli elementi che costituiscono l’identità kosovara.
Agani, da fervente musulmano, ha già una posizione molto chiara in materia. Secondo lui, un albanese kosovaro dovrebbe presentarsi utilizzando tre definizioni, da dare nel seguente ordine: kosovaro, albanese e musulmano.
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