Rajko Grlić: “I film sono come l’agopuntura”
Il regista Rajko Grlić è autore, insieme allo scrittore e editorialista Ante Tomić, di un film che sta sbancando i botteghini del sud-est Europa. Quattro personaggi e un esame sulla Costituzione. Un’intervista
Il film “Ustav Republike Hrvatske ” (La Costituzione della Repubblica della Croazia) di Rajko Grlić, famoso e premiato registra croato, sta riscuotendo un enorme successo nei cinema di tutta l’ex Jugoslavia, ed anche oltre.
Il film che ad alcuni erroneamente appare come una commedia, ha per protagonista un professore, Vjekoslav Kralj. Filoustascia, abita proprio in centro a Zagabria ed un giorno viene brutalmente picchiato da un gruppo di adolescenti, nella via dove vive, dopo che lo hanno scoperto vestito da donna.
Vjekoslav, che vive in un grande appartamento borghese, viene aiutato nella cura delle sue ferite dalla vicina Maja Samardžić, che abita nel seminterrato e vive una difficile vita di infermiera. Maja aiuta Vjekoslav anche nella cura del padre paralizzato (da cui quest’ultimo ha ricevuto l’orientamento politico radicale) ed è consapevole delle abitudini del professore di travestirsi e delle sue inclinazioni omosessuali. Maja in cambio chiede a Vjekoslav di aiutare suo marito poliziotto, Ante, a superare l’esame sulla Costituzione della Croazia, necessario per mantenere il posto di lavoro. Ante è però di origine serba e le tensioni fra lui e Vjekoslav presto vengono a galla. “La Costituzione della Repubblica della Croazia” è, come dice anche il sottotitolo, “una storia d’amore sull’odio”.
Come è nata la collaborazione con lo sceneggiatore del film, lo scrittore Ante Tomić?
Dodici anni fa abbiamo iniziato a lavorare insieme sul progetto “Karaula” (film uscito nel 2006). Ante mi mandò il primo capitolo di un libro che stava scrivendo e mi chiese se mi interessava. Gli dissi di sì e così è iniziata la nostra collaborazione. Feci la prima stesura della sceneggiatura mentre lui scriveva ancora il libro. Dopo abbiamo fatto “Che rimanga fra di noi” (2010), scrivendo la sceneggiatura sulla base di un mio soggetto. Poi abbiamo passato tre anni a lavorare alla sceneggiatura del libro “Čudo u Poskokovoj Dragi”. Doveva essere una commedia super commerciale. Un grande film, ma purtroppo un po’ caro. Abbiamo passato due anni nel tentativo di raccogliere i soldi; abbiamo raccolto la metà di quelli necessari e non riuscivamo ad andare avanti. In Europa è molto difficile trovare finanziamenti per qualcosa che arriva da una lingua minore e appartiene al genere delle commedie. I fondi europei sono molto più orientati a cofinanziare storie serie. Sono persone serie che non considerano le commedie un genere di film artistico.
Abbiamo dovuto, spero temporaneamente, rinunciare a questo progetto e allora abbiamo deciso di scrivere una sceneggiatura che, anche se nessuno ci avesse dato i soldi, avremmo potuto girare con l’iPhone. Abbiamo impiegato due anni per scrivere “La Costituzione della Repubblica della Croazia”, un po’ in America e un po’ a Zagabria. Siamo stati presso lo HAVC (il Centro audio visivo croato), Euroimages e poi Slovenia, Repubblica Ceca e Macedonia; così abbiamo raccolto quello che serviva per quel film dal budget basso. E lo abbiamo girato con una infinita tranquillità e con una tempistica che mi ha dato la possibilità di giocare molto con gli attori.
Come siete arrivati al titolo del film? Il titolo è arrivato subito all’inizio oppure solo alla fine?
Di solito coi film i titoli cambiano durante la lavorazione. Io cerco di risolverlo il prima possibile. Credo che questo film non abbia avuto nessun altro titolo oltre a questo. Io e Ante lavoriamo discutendo per circa sei mesi soltanto dei personaggi. Anche questo film è stato creato così. Ante mi ha mandato una e-mail su un personaggio che conosceva a Spalato, che di notte si veste da donna, e che è stato picchiato, e poi è stato aiutato da una donna. Questa è stata l’idea iniziale. Io ho aggiunto altri due personaggi: cosa accadrebbe se questo personaggio avesse un padre, e quella donna vivesse nello stesso palazzo e avesse un marito. E abbiamo iniziato piano piano a creare questi caratteri, prima di iniziare a creare una storia con loro.
Ante lo dice bene: noi li creiamo e li gettiamo nella fossa, e poi grazie alla storia li ritiriamo fuori dalla fossa. Così “La Costituzione della Repubblica della Croazia” ad un tratto è apparsa come l’unione fra questi due personaggi maschili, il poliziotto del seminterrato e il professore dell’appartamento borghese al primo piano. Da qualche parte avevo sentito che ogni impiegato in Croazia deve in qualche modo passare l’esame di Costituzione della Repubblica della Croazia. Ci è sembrato interessante per la storia che il poliziotto, che è anche serbo, dovesse passare l’esame di Costituzione e che il professore, che è un grande croato di destra, lo dovesse aiutare.
Solo allora io e Ante abbiamo iniziato a leggere la Costituzione. Noi, come il 98% di cittadini della Croazia, non l’avevamo mai letta. Dunque l’abbiamo letta e siamo rimasti stupiti perché si tratta di un libro pieno di amore e tolleranza; che si preoccupa delle minoranze, dei deboli… Eravamo sicuri che si trattasse di una buona base per la relazione tra i due personaggi. Ovviamente non volevamo far vedere con il film che la vita e la Costituzione non hanno nulla in comune; per questo basterebbero 15 minuti di reportage televisivo, non si può costruire un film su questo. Ma quello che c’è scritto e il netto contrasto con quello che viviamo è diventata la base che ha portato avanti queste persone nel loro scontro.
Allora questo film è nato come una sorta di reazione all’inasprimento del clima politico e sociale della Croazia? La storia sulla Costituzione è diventata più attuale che mai?
I politici si richiamano alla Costituzione ogni giorno. È sempre sulle loro labbra come una legge suprema. Loro a quanto pare non pensano di applicarla così com’è scritta, ma così come la leggono loro. I miei distributori ad un certo punto si sono preoccupati di andare in sala con un film che ha un titolo così terribile e ripugnante; “Chi andrà al cinema quando vede il titolo ‘La Costituzione della repubblica della Croazia’?” allora in una riunione io ho detto: va bene, mettiamo il sottotitolo “Una storia d’amore sull’odio”. E così questo sottotitolo ha giocato con il titolo, indicando che è una storia sulle persone e non sulla Carta costituzionale.
Quando ha nominato l’amore e l’odio, questo rapporto corrisponde al rapporto fra Vjekoslav e Ante, il poliziotto serbo, e al rapporto fra Vjekoslav e suo padre. In che modo si incastra il personaggio della moglie del poliziotto?
Lei è il personaggio della catarsi personale sia del primo che del secondo personaggio; lei si spezza in loro, loro attraverso lei. Lei possiede quella vera curiosità, che è il primo presupposto di qualsiasi amore. Uso la parola amore in modo condizionato; non si tratta dell’amore fisico, non si tratta dell’amore fra un uomo e una donna ne fra un uomo e un uomo. Appena smettiamo di odiare qualcuno iniziamo ad essere curiosi di scoprire chi è. Allo stesso tempo è il primo passo verso qualcosa di umano dentro di noi, e allora si tratta di una specie di amore. Iniziamo a prenderci cura di qualcuno.
Così all’inizio del film dobbiamo scoprire qualcosa sugli eroi, per poter con una certa cura seguire i personaggi attraverso la storia. La stessa cosa accade nei rapporti umani; quando si scopre qualcosa allora si inizia a preoccuparsi; fino ad allora le persone sono per voi delle etichette: siete ustascia, siete cetnico, siete serbo, siete un nazionalista croato… ma appena scoprite che lui ha un problema con le gambe perché le vene si ingrossano, appena iniziate a scoprire qualcosa su di lui, lui diventa un essere umano con un nome e cognome. E allora inizia un rapporto che vi porta verso qualcosa che chiamo amore.
Tutto questo è legato al personaggio della moglie del poliziotto. Lei ha tutto questo incorporato dentro di sé; prima di tutto la curiosità di voler scoprire qualcosa su qualcuno. Tutte le persone hanno bisogno di essere ascoltate. Fra di noi sono pochi gli ascoltatori e lei è proprio questo. Lei è proprio il personaggio che assorbe, perché ha dovuto abortire, perché ha rinunciato alla vita.
Come mai per il personaggio di Vjekoslav, il croato filoustascia omosessuale, ha scelto l’attore serbo Nebojša Glogovac, che in altri film ha interpretato il capo dei cetnici Dragoljub Daža Mihajović?
Per prima cosa bisogna dirlo, Nebojša Glogovac interpreta quel personaggio perché è un attore fantastico. Il casting per questo personaggio è durato più di un anno. I ruoli del poliziotto e di sua moglie son stati scritti proprio pensando a Dejan Aćimović – il poliziotto – e Ksenija Marinković – la moglie del poliziotto. Durante la stesura, nel mio studio negli Stati Uniti, avevamo le loro foto appese sul muro. Questo aiuta molto perché lo guardi e dici: lui non lo direbbe così, lui non lo farebbe mai. Mentre scrivevamo il testo non sono riuscito a trovare l’attore che avrebbe potuto interpretare il personaggio di Vjekoslav. Ho maltrattato cinque attori bravissimi e li ho mandati indietro 5-6 volte per vedere se riuscivo in qualche modo ad arrivare a quello che questo personaggio doveva essere. Non l’ho trovato, anche se ognuno di loro possedeva degli elementi di questo personaggio.
Mi piace rubare dagli attori i loro caratteri, e non solo piazzargli addosso il mio. Per cui ho deciso di cambiare musica. Andare in contro-casting. Così è nata l’idea di Glogovac. Lui è un attore bravissimo e non corrisponde affatto al personaggio. Gli ho mandato la sceneggiatura, lui l’ha letta e ha accettato di venire a provare a girare a Zagabria. Lo vestivamo e lo truccavamo, provavamo diverse scene. Persino Dejan e Ksenia venivano a fare qualche scena con lui. E durante queste prove era abbastanza chiaro che era l’uomo giusto.
Ho attraversato tutto questo processo senza mai pensare che lui aveva interpretato il personaggio di Draža Mihajlović e che aveva rilasciato alcune dichiarazioni che non erano state proprio felici, e lui lo sa… Io e Tomić allora abbiamo scritto l’ultima stesura in Vojvodina, in una cascina, e lui è venuto da noi. Per caso sei mesi prima, Ante Tomić aveva scritto un editoriale per il settimanale NIN in cui prendeva di mira la dichiarazione fatta da Glogovac, e lo ha massacrato, come si dice a Zagabria: ha scritto che aveva mescolato i personaggi e la storia e che è normale che ogni attore desidera difendere il proprio personaggio, ma che deve distinguere il personaggio dai fatti storici.
Quando è arrivato da noi in Vojvodina la prima ora l’abbiamo passata parlando di questo, perché sapevamo che sarebbe stato un peso che ci avrebbe accompagnato in seguito, quindi volevamo chiarire subito le cose. E ci siamo riusciti benissimo. Da lì abbiamo iniziato a lavorare al personaggio.
È venuto in Istria da me. A Zagabria abbiamo superato l’esame di chi valuta la congruità dei testi, che sono rimasti sbalorditi dalla velocità con cui Glogovac ha imparato la parlata. Lui è erzegovese e gli è stato facile apprenderla. È stato quasi tre mesi a Zagabria, abbiamo girato per parecchio tempo. È stato sempre molto concentrato sul film, veniva pronto, e lavorare con lui è stato infinitamente piacevole. In questi cinquant’anni circa di giochi con gli attori, non so se ho mai con meno parole ottenuto di più di quello di cui avevo bisogno.
Con l’ultima scena dell’avvelenamento dei cani lasciate un messaggio pessimista…
Il film – alla fine – ha uno stile un po’ fiabesco che lascia intuire che si può comunque dialogare. Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo film, la Croazia non era ancora nella merda come adesso. È successo con l’arrivo degli “storici” Karamarko e Hasanbegović. Con loro la Croazia è entrata nella quotidiana macina dell’odio. E Ante e io purtroppo abbiamo avuto una certa esperienza dell’intolleranza. Abbiamo girato il film prima che Karamarko salisse al potere. Così è capitato che la fiction del grande schermo ha corrisposto ai fatti del piccolo schermo. Noi abbiamo anche voluto dire: “Proviamo, forse possiamo parlare, forse non dobbiamo solo odiarci”.
Dall’altra parte noi viviamo in paesi dove le parti politiche si nutrono di odio, essendo la strada più breve per arrivare al potere. Forse non si tratta proprio di odio, ma di intolleranza. Così non ci sembrava onesto non dire che potrebbe succedere ancora un domani, che qualcuno aprirà le tombe delle nostre emozioni, per giocare al gioco dell’avvelenamento dei cani. È come se in un bicchiere lasciate cadere una goccia di qualcosa di scuro e che piano piano e costantemente continua a spandersi.
Nel vostro film fate vedere che dietro ogni cliché c’è una persona, sperate che avrà la forza di mostrare l’umanità in ogni sua forma e sottolineare che c’è dell’umanità nonostante le etichette che vengono apposte?
Io sono uno di quelli che non credono che i film possono cambiare le vite umane. I film non sono qualcosa che provoca rivoluzioni, cambia la società, migliora le persone. Secondo me il film può fare qualcosa sul piano emotivo. Per cui i film devono avere un’emozione che li trasporta e che è l’essenza della comunicazione con gli spettatori.
La cosa più bella che questo film può ottenere è che qualcuno, una volta che si trova nella situazione di avere davanti a sé dei cliché e ha dentro di sé quella frustrazione di allontanare quel cliché da se stesso, di fermarsi per un momento e di provare comunque a vedere; forse dietro quel cliché c’è qualcos’altro, qualche altro frustrato essere umano… Se dovesse riuscire a farlo in un paio di occasioni, di cambiare la nostra prima reazione verso i cliché, allora il film ha fatto molto.
Negli Stati Uniti la prima del film ha coinciso con la vittoria di Trump e con l’intolleranza che ha iniziato a crescere con la sua elezione, così sono stati in molti a dirmi che è un film sul loro futuro. E io ho detto: “Welcome to our past and present”. I film sono come l’agopuntura; se l’ago azzecca il punto giusto forse potrebbe far diminuire il dolore. E non è poco.
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