Raccontare i Balcani: il Belef
Il teatro balcanico è stato "raccontato" a Lecce in un seminario organizzato da AR.CO e Cantieri Teatrali Koreja dall’1 al 4 novembre scorsi, si proseguirà il prossimo 4 dicembre all’Aquila. Abbiamo incontrato Vojislav Milin, coordinatore del Belef Centar di Belgrado, che ogni anno in estate presenta un festival dedicato a teatro, danza, musica e arti visive
Scrive: Giulia Mirandola per Osservatorio sui Balcani
Cos’è il Belef?
Belef è un acronimo: BE è Belgrado, LE è Leto, cioé estate, F è festival. Si tiene sempre in estate o a partire da giugno o nel mese di luglio o di agosto. Ha una tradizione ventennale, parte nel 1986 con un altro nome, Belgrade Summer, e dal 1992 si chiama Belef. Belgrade Summer provò a essere un festival internazionale di prestigio, memorabili i concerti di Tina Turner e di Bob Dylan. Ogni edizione era caratterizzata dalla scelta di un grande drammaturgo nella storia del teatro, per esempio Molière o Shakespeare. Ora la programmazione è divisa in tre sezioni, una dedicata a teatro e danza contemporanea, un’altra alla musica, una terza alle arti visive.
Cosa rappresentano questi vent’anni? Che tipo di cambiamenti ha subito il festival dal 1986?
Negli anni ’90 la situazione politica cambiò radicalmente. Fu necessario concentrarsi su autori locali e dell’est Europa, russi, greci, georgiani.
E alla fine degli anni ’90?
Nel 1997 l’opposizione a Milosevic ottenne la maggioranza nell’assemblea comunale e il governo democratico decise di sostenere il festival. Ci fu una forte relazione con l’amministrazione belgradese. Il primo passo fu quello di coinvolgere nel festival anche artisti provenienti da paesi occidentali. La situazione è ulteriormente migliorata dopo il 2000 quando in Serbia, a tutti i livelli politici, esistevano strutture democratiche. L’attuale struttura del festival, con le tre sezioni teatro, musica e visual arts, ciascuna con un proprio curatore, nasce nel 2001.
Quali le ospitalità significative dell’ultima edizione?
Quest’anno era presente Eric Burdon, leader del famoso gruppo The Animals, secondo me la terza band dopo i Beatles e i Rolling Stones. C’erano i Roxy Music. Cerchiamo di portare anche tradizioni musicali molto diverse dalla nostra, come nel caso delle orchestre cinesi. Nella sezione visual arts segnalerei l’esposizione dedicata ai Manga e agli Anime, molto noti anche in Serbia.
In che settore l’affluenza maggiore?
Le tre sezioni hanno un pubblico differente, forse quella più popolare è il teatro. Il pubblico di Belgrado ha i suoi gusti e a volte si divide, ma c’è chi segue tutte e tre le programmazioni.
Perché questa predilezione per il teatro?
Perché il Belef nasce come festival teatrale, ma negli ultimi anni anche le altre sezioni hanno riscontrato grande consenso. Cerchiamo di essere molto attenti per quanto riguarda le visual arts, tenendo presente quanto accade nel resto del mondo. Abbiamo ospitato Mattew Barney con una sua performance. Nel 2002 e nel 2003 abbiamo proiettato 60 opere di video art locale, materiale prodotto da persone differenti per età e formazione, dagli studenti ad artisti già affermati.
Avete mai avuto problemi lavorando su tre fronti diversi?
Il festival ha un’identità triplice e ciascuna sezione è gestita da tre strutture separate. Penso che questa suddivisione, negli ultimi 5 anni, abbia portato a buoni risultati.
Quante persone lavorano al festival?
Va detto che il festival nasce all’interno di un centro culturale attivo tutto l’anno, il Belef Centar, in cui lavorano solo 5 persone, ma durante il festival si aggiungono moltissimi collaboratori, dalle trenta alle cinquanta persone, che iniziano un mese prima e terminano quindici giorni dopo la sua conclusione.
Perché il titolo GO! per l’edizione 2006?
C’è stato un concorso per selezionare il miglior titolo e progetto grafico. Abbiamo ricevuto 11 proposte e la scelta è caduta sul designer serbo Pavle Parcic: GO! è l’omino verde della segnaletica stradale che indica "andare".
La sezione teatrale era dedicata a "polis e megapolis". Perché questi due termini?
"Polis" puntava l’attenzione sul teatro antico. C’è stato Prometeo di Eschilo in una versione contemporanea diretta da Stevan Bodro?a. Nikita Milivojevic è partita dal ciclo tebano per il suo My Homeland – Seven Dreams, una coproduzione con il Bitef di Belgrado. Infine Antigone di Bertolt Brecht diretta da Ivana Vujic. Con "megapolis", invece, abbiamo mostrato la società contemporanea partendo dal concetto di transizione. In molti casi si è trattato di coproduzioni: The Ugly di Alexander Gulavcki, diretto da Predrag Strbac, è una coproduzione con Little Theatre Dusko Radovic ed è un testo che affronta il tema dell’esclusione a partire dal colore dei capelli del protagonista (Vladimir Aleksic). Disco pigs di Enda Walsh (coproduzione con Beogradsko dramsko pozori?te e Wide Production) chiama in causa la cosiddetta "lost generation" e la storia recente dei giovani serbi. Da ricordare anche Suffering for Freedom (coproduzione con Nathional Theatre Belgrade), un progetto che ha coinvolto quattro autori, Jon Fosse, Marit Tusvik, Arne Ligre e Vida Ognjenovic, che ha diretto la piece.
Cos’è il Belef per Belgrado?
Non è il festival più antico. Il Bitef ha una tradizione di quarant’anni; il Bemus, festival musicale, di trentotto. Belef è singolare perché non è solo teatro, non è solo musica e non è solo visual arts. Conta molto anche il periodo in cui si svolge. In estate la programmazione culturale non offre molto di più e godiamo di una sorta di monopolio. Non è facile perché Belgrado ha standard di qualità molto alti e anche noi ci impegniamo i questa direzione.
Come interpreta l’espressione "Raccontare i Balcani"?
Partendo da questo seminario posso dire che per "raccontare" ci si deve incontrare e qui è accaduto. Vale soprattutto per chi ha un passato in comune ma raramente ha avuto modo di confrontarsi. Questa è un’occasione per chiarire agli altri, anche ai partner italiani, la situazione della Serbia e della Serbia come regione balcanica.
Durante il seminario si è parlato di politica e cultura: come possono dialogare?
Vi è una forte connessione tra i due campi e in qualche modo la cultura dipende molto dalla politica. Nella ex Jugoslavia lo si avvertiva ancora più fortemente. Alcuni scrittori, musicisti, attori teatrali erano sostenuti dallo stato, altri no o addirittura venivano osteggiati. Mi riferisco a un’epoca in cui un’ideologia forte condizionava la politica. Allora io ero ragazzino e ciò che conosco lo devo ai racconti degli artisti più anziani. Il sostegno dello stato si esplicitava anche in sostegno finanziario; vennero sviluppati progetti molto ambiziosi con budget ampi. Azzardando un paragone, ciò che oggi è offerto per la programmazione annuale di un singolo paese, allora poteva valere per un solo progetto.
E oggi?
Siamo in una fase di transizione con un sistema multipartitico. Tornando alla connessione tra politica e cultura, mi auguro che oggi i rappresentanti della cultura possano essere più coinvolti in politica, concretamente, con posizioni di rilievo e non solo come controfigure.
Rappresenterebbe una forma di dialogo tra politica e cultura?
È solo una proposta. La politica ha i propri obiettivi e a volte rischia di guardare alla cultura solo per ottenere dei vantaggi.
Stando allo stesso tema, come vede la situazione nel resto d’Europa?
La cultura è in cattiva posizione, nel budget europeo ad essa si destina meno dell’1%. Nel nostro paese è quasi lo stesso. Torno a dire che in passato era diverso perché bisognava veicolare l’ideologia socialista, era una forma di propaganda. Sono molto critico rispetto a quel sistema, ma è innegabile che si investissero più soldi.
Occasioni come questa di Lecce possono fare la differenza nei processi culturali in Europa?
C’è la possibilità di scambiarsi esperienze e rendersi conto che a volte i problemi sono gli stessi o simili. Io sono serbo e magari riusciremo a guardare ai croati e agli albanesi non come avversari politici o nemici di guerra, ma come soggetti diversi attivi nello stesso ambito di lavoro. In questo senso ci può essere influenza della cultura sulla politica, ma con effetti solo sul lungo periodo.
Cosa l’ha colpita maggiormente durante il seminario?
Qui ho avuto l’occasione, per la prima volta, di vedere un albanese e sentire la sua storia. È stato per me molto interessante. Serbia e Albania sono due territori vicini, con una storia molto divisa e mi ha stupito sentire che abbiamo problematiche simili. Mentre con Bosnia, Croazia e Slovenia esistono ed esistevano contatti.
Se dovesse fare una valutazione della situazione teatrale in Serbia, cosa funziona e cosa no?
Negli ultimi anni alcuni teatri hanno chiuso ed altri si sono rafforzati. Penso sia conseguenza della transizione economica. Solo alcune realtà diventano sempre più ricche, invece la maggor parte si impoverisce. Teatri con una lunga tradizione non hanno più futuro, altri sono sempre più forti: ne resiste circa una ventina, mentre prima nella sola Belgrado ne funzionavano più di cinquanta ed erano molto diversificati.
Link consigliati:
www.teatrokoreja.it
www.belef.org
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